Nel corso dello stanco andare di uno dei tanti salotti televisivi, una conduttrice ha posto, lo scorso 3 aprile, ore 21, al Cingolani della ditta «Leonardo» una domanda rimasta però senza risposta: «Le guerre commerciali sfociano prima o poi in guerre vere e proprie?». Un produttore di armi sarebbe quasi ingolosito da una tale prospettiva, purché – beninteso – le auspicate guerre si svolgano il più lontano possibile, magari a danno di esseri umani che la «civiltà occidentale», in questo tempo incarnata dallo Stato di Israele, considera sotto-uomini (Untermenschen). Non a caso l’esponente della «Leonardo», in quella medesima seduta televisiva, si mostrò molto preparato in materia e precisò che attualmente sono in corso, nel pianeta, circa ottanta conflitti armati: «il maggior numero in assoluto – precisò – dal tempo della Seconda guerra mondiale». Peraltro l’Italia “antifascista” ha il primato, né solo per merito della «Leonardo», nella vendita di armi ai quattro angoli del pianeta senza tentennamenti né favoritismi ma anzi con equanime mortifera generosità erga omnes.
Oggi però una increspatura del reale è venuta a complicare il «fatale andare» di tutto ciò. Poiché una prospettiva di pace si è profilata in riferimento alla guerra Nato-Russia su suolo ucraino, la cosiddetta “Europa” s’è desta e a maggioranza, col valido supporto esterno del governo laburista britannico, ha deciso di impedire l’eventuale accordo di pace intensificando alla grande la produzione e l’acquisto di armi (800 miliardi di euro è la spesa prevista) onde consentire al «Quisling» di Kiev di proseguire la guerra a oltranza.
L’orfano Macron probabilmente già pensa di inviare al fronte ucraino la “Legione straniera” (le «truppe di colore» si diceva anche, ai bei tempi dell’impero coloniale) mentre il laburista avrà qualche problema in assenza degli impagabili «Gurkas» mandati britannicamente al massacro durante la Prima guerra mondiale. Gioisce il «Quisling», intimamente sereno visto che, in caso di sconfitta, lo attende re Carlo III, noto filantropo. Meno gioiscono i predestinati a far da “carne da cannone”; appena possono, nonostante le retate dei battaglioni tipo «Azov», gli ucraini atti alle armi ormai si imboscano. Unica possibile difesa.
Ed è anche possibile che si svegli l’opinione pubblica dei paesi che la cosiddetta «Unione Europea» ha portato in guerra non consentendo peraltro che si dica apertamente che da circa tre anni siamo entrati in guerra. Non è detto che il risveglio sia rapido giacché il lavaggio del cervello operato dalla macchina della sedicente “informazione” ha lavorato sodo in questi tre anni (al canto dell’inno «aggressore/aggredito» di buona memoria). Ora quel canto non funziona più. Con la follia degli 800 miliardi di euro in armi il danno diretto ai rintronati spettatori della guerra appare vicino e incombente. Drastiche sforbiciate a quel che resta ancora dello «Stato sociale» si annunciano: e lo percepisce anche il cittadino finora cullato da quel canto ossessivo.
Ovviamente non è edificante che ci si desti solo quando si è direttamente colpiti, ma è pur sempre meglio di niente.