Oggi, quando si fa il nome di Rocco Scotellaro, non si può piú fingere di ignorarlo o di vederlo confinato in un tempo ormai lontano. Almeno per chi è vissuto dentro i confini di un Mezzogiorno che pure ha saputo emanciparsi dai suoi clichés, Scotellaro e la sua breve vita hanno la qualità di una meteora che ha lasciato il suo segno ben marcato nel cielo del secondo Novecento. Le sue opere, prima sparse in alcune edizioni e solo in parte pubblicate, oggi sono totalmente sistemate in veri e propri tomi a cui si sono dedicati specialmente tre brillanti studiosi come Franco Vitelli (da lunghi anni il piú fedele al nome di Scotellaro), Giulia Dell’Aquila e Sebastiano Martelli. Tra il 2016 e il 2024 essi hanno approntato in una squadra ben affiatata una serie di lavori critici, filologici, testuali capaci di portare alla luce l’intero ventaglio di sfaccettature dell’autore di Tricarico, facendo convergere nel 2023, anniversario della nascita, un pool di iniziative davvero imponente che si è rivelato prezioso per la messa a punto dell’intera sua opera. Le citazioni bibliografiche di rito qui assumono il titolo di una scoperta fondamentale: Lucania within us. Carlo Levi e Rocco Scotellaro (Special Issue), [New York], «Forum Italicum», vol. 50, 2, August 2016 (a c. di F. Vitelli, G. Dell’Aquila e S. Martelli); R. Scotellaro, Tutte le opere (a c. di F. Vitelli, G. Dell’Aquila e S. Martelli), Milano, Mondadori Oscar Baobab, 2019, pp. XX-800; R. Scotellaro, Taccuini 1942-1953 (a c. di F. Vitelli e G. Dell’Aquila), Macerata, Quodlibet, 2024, pp. 504; R. Scotellaro, I fuochi di San Pancrazio (a c. e con un saggio critico-filologico di S. Martelli; pref. di G. Fofi), ivi, 2024, pp. 384; R. Scotellaro, Un intellettuale contadino scrittore oltre la modernità – Convegno internazionale di studi – Tricarico-Matera, 26-27-28 giugno 2024 (a c. di F. Vitelli e G. Dell’Aquila), ivi, 2024, pp. 480. Quest’ultimo è diviso in quattro parti: I – In forma di preambolo; II – Tra storia, politica, economia e socioantropologia; III – Filologia, lingua, letteratura; IV – Aperture; conclude una finale Appendice, per un totale di trentatré interventi. Le ricchezze del «giacimento» letterario e umano di Scotellaro emergono sondate sotto ogni dimensione, in plurime linee prospettiche e con ipotesi avvincenti.

Un lavoro cosí complesso e uno sforzo di interpretazione cosí tenace conferma l’intuizione che si aveva di questo autore, come di uno snodo culturale che porta a congiungere le strade della storia che ha messo in comunicazione l’antico col moderno, sfociando in una umanità ricca dell’uno e dell’altro e impegnata in un cimento di contraddizioni e di contrasti anche aspri. Vi confluisce un po’ tutto, dopoguerra, ricostruzione, Sud, lotta per le terre, Riforma agraria, Cassa per il Mezzogiorno, industrializzazione, emigrazione interna ed esterna, nuovi modelli di sviluppo, mutazione antropologica, rimescolamento di classi, neorealismo e modernismo. È un vortice storico che rimbalza dalle macerie della guerra all’ambizione di status, dai modelli di sopravvivenza all’opulenza dello spreco, dal mondo trainato con gli animali al jet che sorvola i grattacieli, dal casolare all’attico, dal focolare contadino al focolare catodico della televisione.

Per noi fortunata opportunità e per Scotellaro crudele destino, l’essere rimasto giovane per sempre coi suoi appena trent’anni di vita. Il che significa capace di ribellione e di opposizione, di parabole eccentriche e di prospettive singolari, il non essersi piegato al conformismo poi dilagante, l’aver intuito che per uscire da una storia occorreva inventarsi un altro racconto. Scotellaro non è solo poeta, narratore, saggista, è un “contadino” (come nel titolo azzeccato degli Atti) nell’accezione leviana, cioè uno che lavora per migliorare il mondo, per contribuire a costruire un’umanità piú giusta, per trarre dalla terra una pianta d’uomo capace di nutrire le generazioni future. Non si riesce a pensare a Scotellaro senza diventare inquieti come lui, senza essere piú sensibili a una qualunque forma di intervento, senza rinunciare alla sua metafora principale: quel “bivio” davanti a cui bisogna scegliere, tentare, azzardare, osare sapendo che incorreremo negli errori, nelle fragilità, nelle recriminazioni. Il suo percorso somiglia a quello di ognuno di noi, confinati nei nostri limiti geografici e storici, nel perimetro delle nostre esperienze e della nostra lingua, condizionati dall’ambiente circostante. In fondo, ogni giorno è un bivio in cui scegliere la propria strada, seguire la personale storia, ma sempre facendo della nostra esperienza un punto di riferimento per individuare altre strade. Fu Calvino a dire, avendolo conosciuto e stimato, che Scotellaro aveva un «groppo drammatico fortissimo dentro» da sciogliere, e che potremmo individuare nel dramma di mediare tra strade diverse, seguendo volta a volta il suo demone, lasciandosi nelle orecchie cullare dalle voci ancestrali dei suoi avi.

Man mano che si proseguiva nel cammino, ritornavano le vecchie voci di un tempo e i sintomi, la constatazione, l’analisi della nuova realtà, della nuova storia, crescevano su questa colonna sonora appresa nella piú remota infanzia. Il vecchio bambino si innestava sul nuovo uomo che procedeva sui sentieri della vita e si affaticava a scegliere una via al bivio: un bivio dopo l’altro, l’ossessione della scelta, del proseguimento ad ogni costo, della consapevolezza dolorosa, del raggiungimento di un paese dopo il quale c’è un altro da raggiungere. Sempre cosí, instancabilmente, pertinacemente, fino a un giorno nuovo, a un’alba nuova in cui svegliati bisogna riprendere la propria storia, raccogliere il proprio corpo, la propria volontà, per andare avanti, ora dopo ora, ritornando sulle stesse ore del mattino, del pomeriggio, della sera, della notte. Ora dopo ora, con l’orologio che ci chiede di vivere, niente pause, qualche blackout, qualche flashback, per riposarci nel nulla o nel passato, in qualche momento di mitizzante beatitudine.

La vita, l’opera, il tempo di Scotellaro ritornano periodicamente a parlarci e a dirci in quale storia abbiamo proseguito il cammino. Ritornano a darci un punto di partenza, uno stimolo a tentare un’interpretazione. Ne ricordiamo brani di poesia, qualche racconto, qualche brano di lettera, qualche appunto sparso nelle sue carte di precario zibaldone e ci domandiamo quanto siamo lontani da quell’epoca e cosa essa abbia significato per la nostra identità. Evidentemente Scotellaro ci pone delle domande, ci invita a un moto di coscienza, ci interroga sulla nostra umanità: e ci ritroviamo sempre entusiasti di rispondergli, ma a monosillabi, a frammenti, e ci sentiamo come lui in uno stradario pieno di bivi. Crisi attiva, produttiva, problematica che si riflette anche nella dinamica partire/tornare, mettendo in gioco confronti tra passato e presente, rilevandone il carente progresso, le fallibili speranze.

Reali e simboliche due date che stanno nella vita di Scotellaro: 1942, quando ritorna al paese dopo aver lasciato le molteplici sedi di studio, e 1950, quando ne riparte disilluso. La prima volta per tentare di cambiare Tricarico (ma può essere un qualsiasi altro paese meridionale), la seconda per protesta contro l’impossibilità di cambiarlo. Ce lo fa notare Giuseppe Grimaldi negli Atti citati e suggerisce forse una sorta di paradigma per capire perché molti paesi interni hanno scelto piuttosto l’emigrazione che il cambiamento dei loro luoghi, continuando cosí a restare subalterni per poi piú tardi esaltare fin troppo un loro tratto identitario. Nello stesso volume Valter Boggione tende un parallelo tra Scotellaro e Beppe Fenoglio e ne fa degli “Omeri” delle rispettive terre (Basilicata e Langhe): si guardi al paese come a un’Itaca da cui occorre allontanarsi, che bisogna riscattare, in cui bisogna impegnarsi per farlo diventare davvero una comunità. Scotellaro capí il suo paese quando se ne allontanò e capí il Sud quando questo diventò la questione meridionale, mettendolo sotto osservazione con strumenti sociali e antropologici, operando con strumenti politici e pedagogici.

Davvero molto interessante l’ampio saggio conclusivo di Dell’Aquila contenuto nei Taccuini, compresi in 333 pezzi dal 1942 al 1953, divisi anch’essi in quattro parti: I – Annotazioni e scritti a diario; II – Spunti abbozzi e racconti; III – Progetti, schemi e frammenti dell’Uva puttanella; IV – Urbanistica, Appunti di viaggio in Calabria, Riforma agraria, Per un libro sui contadini del Sud. Si tratta di frammenti del suo discorso umano, la registrazione testarda di ogni battito di cuore, di ogni idea che parla nella testa. Nelle sue «cartuscelle» Scotellaro riversa il vissuto e le sue passioni, gli aspetti piú diversi del rapporto con la realtà, i tanti viaggi, i nuovi contatti, le scoperte, gli stupori, i rebus, le idiosincrasie, le noie che ci opprimono, i limiti che ci angosciano, gli appuntamenti mancati col proprio tempo. Ci sono anche le curiosità e certe singolari coincidenze, come per esempio quella contenuta nell’annotazione n. 146 del 1950 dove Scotellaro descrive il suo soggiorno nella casa-studio romana di Carlo Levi a Villa Strohl-Fern, all’interno di Villa Borghese. Si tratta di un brano di rara bellezza in cui il giovane ospite rimasto solo descrive gli oggetti di quel vero bazar che finisce per somigliare ad una barca: «Le tende delle finestre hanno giocato alla donna con me. Al colmo del buio nella notte, e all’alba e per le prime ore del giorno, le tende avevano svolazzi capricciosi, si mettevano alla danza, si offrivano col corpo al mio corpo disteso sul divano e la casa, questa barca che domina le case come onde, era presa da queste e tremava. […] Le barche, queste case, tutte le case di Roma si muovono per scrollarsi di dosso le antiche vesti e svegliarsi al sole del giorno nuovo o com’è?». Singolare quell’analogia con una barca, ma molto simile a quella usata da un altro amico di Levi, il regista e scrittore Glauco Pellegrini, che nel suo libro Nel sole di Villa Strohl-Fern paragona quella casa a una tenda araba, una specie di oasi in cui sostare in mezzo al caos della capitale. Evidentemente le sensazioni sono simili, a confermare la particolare magia della personalità dell’esperto viaggiatore di Novecento che fu il pittore-scrittore torinese.

I Taccuini si offrono come un tracciato esistenziale di impagabile valore autobiografico e morale, compiuto nella realtà dei lontani anni del dopoguerra: una realtà fatta di vecchio e nuovo, dove tutto ribolle come quella «tina» di cui scrive Levi nell’introduzione all’edizione congiunta L’uva puttanella-Contadini del Sud (Bari, Laterza, 1986), la prosa e la poesia dei giorni in cui si vince e si perde la battaglia della vita, in cui emergono le opere iniziate o abortite nel ciclo continuo del destino, tra giorno fatto e sera ormai incipiente. Detto in modo diverso, è quella mente “porosa” dello scrittore che nel suo diario di lavoro sintetizza interessi, propositi, situazioni che formano il suo universo intellettuale e che testimoniano, come sottolinea Dell’Aquila, la natura di questo work in progress, questa qualità di “non finito”, questo qualcosa che bisogna ancora edificare con la mentalità dei costruttori, che bisogna far crescere, espandere, moltiplicare a guisa di un’erba che trema e che genera polloni o rami in grado di fruttificare, benché in dimensione piccola, benché “uva puttanella”. Per farlo, lo strumento principale è la consapevolezza e ancora piú radicalmente l’educazione, la cultura. Ecco perché il tasto dolente su cui ritorna a insistere Scotellaro è la scuola, la lotta contro l’analfabetismo forti di quell’ente, l’Unla, che promuove appunto quest’azione fondamentale. Il germe pedagogico Scotellaro lo apprende dall’educatore Guido Calgari, operante a Trento dove il giovane studente lucano frequenta gli anni di liceo. Gli altri suoi maestri, Carlo Levi e Manlio Rossi Doria, glielo confermeranno aprendo il varco a una decisiva trasformazione della mentalità. Lo sottolinea nel suo introduttivo «Preludio per Rocco Scotellaro» premesso ai Taccuini uno dei curatori, il già citato Vitelli, quando spiega come il dramma del confronto tra mondo contadino e mondo moderno è superabile solo attraverso quegli strumenti, ricordando anche un saggio fondamentale dello stesso autore, Scuole di Basilicata, pubblicato postumo su «Nord e Sud» nel 1954. È lo stesso lavoro segnalato da Marco Rossi Doria negli Atti, richiamando anche la filiazione culturale dalla pedagogia di John Dewey e ribadendo che conoscere è cambiare e che Scotellaro trasse dall’esperienza dei suoi incontri, dalla capacità di intessere relazioni la spinta a guardare a un paese diverso, ispirato alla migliore intellettualità di allora, che oltre a Levi e Rossi Doria (Manlio, padre di Marco) conduce ad Aldo Capitini, Tristano Codignola e Adriano Olivetti.

La soluzione del problema è nell’equilibrato matrimonio tra antico e nuovo, tra socialismo e liberalismo, tra agricoltura tradizionale e agricoltura biologica, tra tutto ciò che di buono sta nell’uno e nell’altro. Un concetto ribadito nel volume degli atti anche dall’innovativa analisi di Marco Gatto che attribuisce sinteticamente a Scotellaro la qualità di «mediatore culturale», di chi mette in contatto non conflittuale due civiltà ed è capace di un neo-umanesimo anticonvenzionale. ispirato agli ideali cristiani. Bella, poi, la conclusione di Pier Giorgio Ardeni che scrive: «la sparizione di quella “civiltà contadina” […] non era inevitabile, come non lo era quel modello di sviluppo»: a dire, col senno di poi, come oggi si versino lacrime di coccodrillo grazie a una ritrovata bio-mentalità tutta preoccupata di devastanti effetti sull’ambiente e sulla salute. Quello che distingue Scotellaro, fa notare d’altra parte Palumbo nel suo intervento, è questo suo io lirico che si fa io plurale, si aliena in un io collettivo per ritornare come io arricchito di istanze comuni, secondo un processo che inaspettatamente è simile a quello filosofico hegeliano. Sia in prosa che in poesia egli “traduce” l’oralità della sua lingua collettiva tanto che le due ultime opere della sua produzione, L’uva puttanella e Contadini del Sud, risultano come una sorta di autobiografia collettiva in grado di inventarsi una lingua corrispondente ad una realtà finalmente riscoperta.

In questo quadro descritto per sommi capi, spicca singolare la sceneggiatura de I fuochi di San Pancrazio contenuta nel volume a essa dedicata ed esaminata capillarmente da Sebastiano Martelli. Al cinema Scotellaro si mostra fin da subito interessato, ne intuisce la qualità di medium popolare e giunge a questa iniziativa solo nell’ultimo tratto della sua vita quando è già impegnato nell’Osservatorio di Economia di Portici. Non ultima ragione di tale interesse anche la necessità di entrate piú generose, visti anche i contemporanei tentativi di amici importanti (Levi su tutti) di portare sullo schermo le proprie opere. La sceneggiatura non sarà mai realizzata come film per molteplici motivi (un po’ come succede allo stesso Levi per il suo Cristo si è fermato a Eboli, realizzato postumo soltanto nel 1979 da Francesco Rosi), ma rimane un esito molto interessante delle potenzialità espressive del suo autore.

Martelli si sofferma sul contesto storico del neorealismo e del cinema mélo ibridato con stilemi americani, proponendo una sinergia molto forte tra letteratura, antropologia e settima arte. Fin dal 1942 Scotellaro accenna al cinema nei suoi Taccuini, che testimoniano anche come quello del Nostro sia un feeling comune alla sua generazione, non piú solo nutrita di radio e di rotocalchi, ma sempre piú sensibile alle potenzialità del nuovo mezzo. Un gramscismo attivo in Scotellaro sta anche qui, oltre che in tutti gli altri succhi assorbiti mediante i suoi molteplici contatti, cioè nel piegare anche il cinema come strumento di massa alla rappresentazione dell’incontro tra vecchio mondo contadino e codice cinematografico. Il cinema si può prestare, perciò, a rappresentare luoghi, riti, sentimenti, desideri, emozioni che mettano in evidenza e facciano conoscere piú da vicino mondi che appartengono ad altre culture. Il pubblico di massa si sarebbe appassionato cosí a nuove storie, si sarebbe identificato nelle difficoltà e negli ostacoli che impediscono la realizzazione dei desideri e dei sogni piú intimi. Insieme a scuola, musica, teatro, giornali il cinema poteva tornare utile per le classi popolari nel passaggio e nel confronto con la modernità. Martelli ricostruisce passo per passo tutte le intricate fasi di realizzazione del manoscritto nelle sue varie redazioni, fatte anche in collaborazione con altri, fino all’esito finale che dimostra anche in questo caso le capacità realizzative di Scotellaro sul versante di questa nuova esperienza. Ma non se ne fece nulla, come s’è accennato, perché i tempi erano già cambiati e i produttori erano già orientati verso altre tematiche e altri stili.

Un orizzonte in movimento questo dell’epoca in cui operò Scotellaro. Con questi libri ora a disposizione diventa molto piú intrigante ricostruire percorsi e direzioni, rendendosi anche conto di quanto tempo è occorso per togliere le incrostazioni dal nome di questo autore. Non sono mancate altre pubblicazioni (alcune qui sotto elencate per comodità panoramica), ma quelle ora approntate ci riconducono direttamente al laboratorio mentale e creativo di chi aveva intravisto un’alba nuova per il futuro delle terre del sud.

 

 

Bibliografia essenziale

Opere di Rocco Scotellaro

È fatto giorno. 1940-1953, pref. di C. Levi, Milano, Mondadori, 1954

Contadini del Sud, pref. di M. Rossi Doria, Bari, Laterza, 1954

L’uva puttanella, pref. di C. Levi, Bari, Laterza, 1955

Uno si distrae al bivio, pref. di C. Levi, Roma-Matera, Basilicata, 1974

Margherite e rosolacci, Milano, Mondadori, 1978

Giovani soli, Matera, Basilicata, 1984

Lettere a Tommaso Pedio, a c. di R. Nigro, Venosa, Osanna, 1986

L’uva puttanella – Contadini del Sud, a c. di F. Vitelli, Bari, Laterza, 1986

Scuole di Basilicata, Napoli, RCE, 1999

Tutte le poesie (1940-1953), a c. di F. Vitelli, Milano, Oscar Mondadori, 2004

Il prezzo della libertà. Lettere da Portici, a c. di P. Doria, Matera, Giannatelli, 2015

Tutte le opere, a c. di F. Vitelli, G. Dell’Aquila, S. Martelli, Milano, Mondadori, 2019

Taccuini 1942-1953 (a c. di F. Vitelli e G. Dell’Aquila), Macerata, Quodlibet, 2024

I fuochi di San Pancrazio (a c. e con un saggio critico-filologico di S. Martelli; pref. di G. Fofi), Macerata, Quodlibet, 2024

Vitelli e G. Dell’Aquila (a cura di), Un intellettuale contadino scrittore oltre la modernità – Convegno internazionale di studi – Tricarico-Matera, 26-27-28 giugno 2024, Macerata, Quodlibet, 2024

 

Contributi critici su Rocco Scotellaro

F. Fortini, La poesia di Scotellaro, Roma-Matera, Basilicata Editrice, 1974

L. Mancino (a cura di), Omaggio a Scotellaro, Manduria, Lacaita, 1974

Aa.Vv., Il sindaco poeta di Tricarico, Roma-Matera, Basilicata Editrice, 1974

C.A. Augieri, Provocazioni critiche su Rocco Scotellaro, Lecce, Adriatica Salentina, 1977

M. Dell’Aquila, Giannone. De Sanctis. Scotellaro. Ideologia e passione in tre scrittori del Sud, Napoli, Società Editrice Napoletana, 1981

E. Bonea, A. Marasco, C.A. Augieri, Trittico su Scotellaro / le ideologie, le donne, le biografie, Galatina, Congedo, 1985

P. Giannantonio, Rocco Scotellaro, Milano, Mursia, 1986

A. La Rocca (a cura di), Le ragioni del Sud nella vita e nella poesia di Rocco Scotellaro, Atti del Convegno di studio promosso e organizzato dalla rivista Hyria, Napoli, 30-31 marzo 1984, Napoli, Liguori, 1987

G.B. Bronzini, L’universo contadino e l’immaginario poetico di Rocco Scotellaro, Bari, Dedalo, 1987

L. Parola Sarti, Invito alla lettura di Rocco Scotellaro, Milano, Mursia, 1992

F. Vitelli, Il granchio e l’aragosta. Studi ai confini della letteratura, Lecce, Pensa Multimedia, 2002

De Blasi, “Infilo le parole come insetti”. Poesia e racconto in Scotellaro, Venosa. Osanna, 2013

Vitelli, G. Dell’Aquila e S. Martelli (a cura di) Lucania within us. Carlo Levi e Rocco Scotellaro (Special Issue), [New York], ‘’Forum Italicum’’, vol. 50, 2, August 2016

C. Biscaglia (a cura di), Album di famiglia di Rocco Scotellaro, Foggia, Claudio Grenzi Editore, 2019

M. Gatto e L. Pallini (a cura di), 1923-2023: Rocco Scotellaro, presente e futuro, nr. monografico «L’ospite ingrato», 13, gennaio-giugno 2023

M. Gatto, Rocco Scotellaro e la questione meridionale. Letteratura, politica, inchiesta, Roma, Carocci, 2023