Le prossime elezioni italiane sembrano confermare le tesi di Ernesto Laclau, per il quale l’unico orizzonte della politica è il populismo, in diverse varianti e in contesa egemonica tra loro. Io credo che si debba invece cercare un’alternativa, oltre questa apparenza di superficie e opporre la divisione del sociale al fantasma del Popolo-Uno.
Laclau pensava che fossero quattro le caratteristiche fondamentali di un movimento populista: la crisi dell’ordine simbolico democratico, l’identificazione di massa con l’Io ideale incarnato dal Capo, la costituzione di un “altro”, come nemico esterno del popolo, la capacità di comporre almeno provvisoriamente in unità domande e critiche apparentemente incompatibili. Ora sembra che i principali contendenti delle elezioni italiane rientrino tutti in questo contesto. Sui migranti, per esempio, e dunque sulla frontiera da stabilire tra noi e loro, tra Minniti, Berlusconi, Di Maio e Salvini c’è solo una differenza di grado e di modalità, non di principio (il peggiore per ora è Minniti, finanziatore di veri e propri campi di concentramento in Libia).
Tutti personalizzano e incarnano il proprio movimento nella figura di un capo e accettano una logica sociale gerarchica e piramidale. Tutti si muovono in un’ottica di critica della finanza e non del capitale. Tutti peraltro presentano un lato buffonesco e grottesco, perché lo sproloquio decisionista malcela una reale impotenza di fronte ai poteri economici transnazionali. Stanno lì per rappresentare la democrazia, non per esercitarla, e del resto la novità emergente è un ibrido populismo governamentale, che assume forme protestarie, ma agisce in effetti a favore dell’establishment capitalista. Il caso più eclatante è Macron in Francia, ma Salvini e Di Maio in genuflessione davanti agli industriali a Cernobbio vanno nella stessa direzione. Non a caso invece che a leader carismatici i populisti nostrani si affidano a comici professionisti o a buffoni improvvisati, che impettiti e col naso all’in su finiscono per sbattere contro il duro palo del ridicolo. Una prospettiva di democrazia insorgente, orientata verso il socialismo, è il loro vero nemico, perché sconvolge il quadro unanimista del Popolo-Uno, riproponendo il conflitto sociale e una critica di sistema.
Da una simile prospettiva è purtroppo assai lontano anche Liberi e uguali. Vorrebbero proporsi come il “populismo di sinistra”, auspicato da Laclau e Mouffe, ma ci sono tra loro troppi quadri di partito per andare decisi in questa direzione. Sono timidi e gravati da sensi di colpa: il loro cuore batterebbe per un buon vecchio partito, ma sanno che è ormai impresentabile. Tra le loro fila hanno D’Alema, il dottor Stranamore di Belgrado, mentore politico di Minniti, e molti ex-quadri dirigenti del Pd, veri responsabili della svolta neoliberista della sinistra italiana e della vittoria di Renzi. Quadri di partito, che cercano di darsi una verniciata di populismo, eleggendosi anche loro un capo (carismatico?) come Grasso, né di destra né di sinistra, come lui stesso dice, e un programma che sembra occhieggiare a un retrogrado sovranismo, come quello proposto da Fassina: senza rendersi conto che il tempo degli Stati-nazione, anche quelli socialdemocratici, è finito e occorre invece muoversi verso un diverso concetto di federalismo sovranazionale e di critica del capitale, a livello europeo.
Non so bene se Potere al popolo sfugga interamente a questo contesto e rappresenti davvero un’alternativa all’orizzonte populista. Il termine “popolo” è ovviamente ambiguo; e quadri di piccoli partiti sono presenti anche al loro interno. Ma c’è, soprattutto nei più giovani, la ricerca e la speranza di un processo decisionale che parta dalla federazione di realtà di base, che conferisca deleghe provvisorie e revocabili, che non si cristallizzi nella figura di un capo decisionista: che insomma si muova verso una forma di organizzazione politica alternativa alla macchina dei partiti, al populismo acclamatorio, e anche all’assemblearismo puro e destinato a dissolversi alla prima onda di riflusso. Per tutte queste ragioni, per questa speranza che possa nascere un movimento di democrazia insorgente consiliarista e comunalista, riprendendo una tradizione volutamente dimenticata dai partiti comunisti del Novecento, voterò – incrociando le dita – Potere al popolo.