di Tomaso Montanari e Salvatore Settis
Come il collettivo di scrittori Wu Ming e come Carlo Ginzburg, anche noi abbiamo deciso di annullare la nostra partecipazione al Salone del Libro di Torino: avremmo dovuto presentare il nostro manuale di storia dell’arte per le scuole, improntato alla Costituzione. Ma non lo faremo: per protestare contro la decisione della Fondazione del Salone del Libro – e cioè di Aie e Adei (le associazioni degli editori), del Comune di Torino e della Regione Piemonte – di assegnare uno stand a un editore collegato direttamente a Casa Pound, e che ha in catalogo testi esplicitamente fascisti e nazisti.
Crediamo sia stato un grave errore imporre questa presenza alla direzione editoriale del Salone, che con il suo direttore Nicola Lagioia aveva scritto: «per quanto riguarda me e il comitato editoriale crediamo che la comunità del Salone possa sentirsi offesa e ferita dalla presenza di espositori legati a gruppi o partiti politici dichiaratamente o velatamente fascisti, xenofobi oppure presenti nel gioco democratico allo scopo di sovvertirlo». Parole forti e chiare, che sono state clamorosamente smentite dagli editori e dalle autorità pubbliche che, pur potendo dire no, hanno invece ritenuto di dire di sì.
Noi non comprendiamo le ragioni di questo sì: crediamo che la Costituzione, e le leggi Scelba e Mancino dessero tutti gli strumenti per dire di no.
E, in ogni caso, è una questione politica, con la “P” maiuscola: noi non abbiamo alcuna intenzione di partecipare, per la nostra minuscola quota, a un oggettivo, ulteriore sdoganamento della presenza della voce fascio-nazista nel dibattito pubblico italiano.
Ci chiediamo dove stia portando la diffusa volontà di non vedere, dal vertice della Repubblica giù giù fino a Torino: rimangono senza risposta le richieste di prendere atto che Casa Pound è fuori legge, e che dunque va sciolta. E ora il Ministero per i Beni Culturali (per bocca della sottosegretaria leghista Paola Borgonzoni) interviene nella vicenda del Salone (di cui detiene il marchio) non per espellere l’editore fascista, ma per minacciare Christian Raimo, che l’aveva attaccato e che si è dovuto infine dimettere lui dal Salone.
Ebbene, crediamo che qualcuno debba iniziare a dire di no. Per il poco che tocca a noi, sentiamo il dovere morale di opporci: per questo non saremo a Torino.
Al Salone ci sono probabilmente sempre stati editori fascisti. Ma oggi è il contesto a essere diverso: ed è il contesto a conferire significato ai singoli testi.
Oggi quell’editore pubblica un libro intervista al ministro dell’Interno. Oggi la massima agenzia culturale del paese, la Rai, è presieduta da un uomo di Salvini che suggerisce che «il vero scopo» della politica migratoria dell’Unione europea sia arrivare a «una destabilizzazione e a uno sradicamento identitario e culturale della civiltà europea». Il modello che viene opposto a quello europeo è quello della Russia di Putin: «Piazza Rossa, Mosca. Città pulita. Non c’è un mendicante, non c’è un lavavetri, non c’è un Rom, non c’è un clandestino, non c’è un rompiscatole» (Matteo Salvini, 2014). Ed è dal palco di Piazza del Popolo il 25 febbraio 2015 (la più grande manifestazione pubblica della Lega salviniana) che il leader romano di Casa Pound Stefano di Stefano dice: «Noi condividiamo ogni singola parola del programma di Matteo Salvini».
È tempo di aprire un dibattito serio e documentato sulla vera natura della Lega: il partito cui il cinismo del Pd e l’opportunismo complice del M5S hanno consegnato di fatto il paese.
Uno di noi (Settis) ha scritto, fin dal 2010 su «la Repubblica», circa le radici esplicitamente naziste dell’etno-nazionalismo padano della Lega fondato sul sangue e sulla stirpe. Non è folclore: è una matrice culturale terribilmente attiva, e supportata da una folta pubblicistica (che oggi celebra se stessa al Salone di Torino) e da una rete di persone che, dall’epoca di Bossi, arriva fino al più stretto cerchio magico di Matteo Salvini (uno tra i tanti: Gianluca Savoini, ben noto all’entourage di Franco Freda e Maurizio Murelli, e poi portavoce di Salvini e tra i promotori, per dirne una, della conferenza stampa del nostro ministro dell’Interno all’agenzia Tass a Mosca, nel luglio 2018).
Sarebbe un errore aspettarsi di vedere Salvini in camicia nera, per quanto i suoi tweet con motti fascisti, la sua iconografia neomussoliniana e alcune esplicite rivendicazioni possano dare quella impressione. Il punto è quali forme nuove e “moderne” assuma oggi la pianta velenosa che rinasce da quel ceppo storico.
In Origini del totalitarismo, Hannah Arendt sostiene che «a convincere le masse non sono i fatti – neppure quelli inventati – bensì la robustezza dello schema in cui i fatti vengono inseriti». Lo schema del discorso pubblico della Lega è molto chiaro: crediamo che questo schema non debba trovare benevolenza, accoglienza, diritto di cittadinanza in nessun luogo o evento finanziato o sostenuto dalla Repubblica italiana. Se questo avviene, noi non ci stiamo.