di Silvia Calamandrei
Ottima idea quella di rendere di nuovo disponibile questa preziosa corrispondenza (Piero e Ada Gobetti, Nella tua breve esistenza. Lettere 1918-1926, Torino, Einaudi, 2017), riveduta e integrata da Ersilia Alessandrone Perona, con una postfazione che ne spiega le novità e le ragioni. In primis la forte richiesta di un pubblico, non specialista, appassionatosi alle figure dei due protagonisti di questo eccezionale amore e sodalizio, troncato dalla scomparsa di Piero giovanissimo. Letture pubbliche, spettacoli teatrali, trasmissioni e romanzi come quello di Paolo Di Paolo, Mandami tanta vita, ne hanno fatto oggetto di culto, ed è bene che i documenti originali siano a disposizione nella loro integralità per afferrarne tutto il significato e per consentirne una lettura più meditata.
Solo pochi passi delle lettere di Piero vennero resi pubblici subito dopo la sua morte, e poi fu Ada a pubblicarle sopprimendo la propria parte dell’epistolario, rinvenuta dopo la sua scomparsa nel 1968. Ci è voluto del tempo perché si passasse dalla concentrazione sulla figura di Piero, esaltata e curata dalla stessa Ada, alla consapevolezza di un sistema Ada-Piero (definizione di Ersilia Alessandrone Perona), presentato pubblicando nel 1991 il carteggio integrale e aprendo all’esame della dialettica del rapporto tra i due corrispondenti.
Leggendo la corrispondenza giovanile e i diari di Ada Prospero degli anni 1919-1926 si riesce meglio a cogliere come la presentazione della vita di Piero come capolavoro ed esempio sia stato il risultato della volontà lucidissima e determinata della sua compagna di vita.
Subito dopo la morte di Piero, nel 1926, Ada si interroga nel suo diario se avrebbe dovuto impedirgli di partire da solo per Parigi, seguendo i propri istinti di moglie e di madre, ma preferisce essergli stata compagna «di pensiero e di fede» e non averlo trattenuto:
Ma allora non ci sarebbe stato il nostro amore, il nostro amore così alto e perfetto, quasi divino. […] Non potevo io farmi forte della mia debolezza e della mia incomprensione per sbarrarti la via. […] Non potevo e non dovevo: sarebbe stato tradirti, mancarti, farti soffrire.
E trova in qualche modo consolazione nel vedere nella vita stessa di Piero « la giustificazione della tragedia»:
L’urto che ha spezzato, senza un grido, silenziosamente, austeramente la tua vita, non ne è forse il coronamento logico e perfetto? Non c’è forse nella tua fine quella eroica e solitaria bellezza a cui tu sempre, nelle tue concezioni di vita tendevi?
E aggiunge:
Nella tua breve esistenza c’è stato tanto ardore, tanto lavoro, tanta gioia, da farla più ricca e felice di tante altre lunghissime vite: e non c’è stato in essa nulla di laido, di imperfetto, di malsicuro. È stata tutta luce: parabola breve, dall’intensità luminosissima.
E penso che tu non vorresti che ti si piangesse, ma si considerasse la tua vita un capolavoro e un esempio.
Ada, che è stata la sua più fedele collaboratrice e fattiva redattrice delle riviste «Energie Nove», «Rivoluzione Liberale» e «Il Baretti», individua come propria missione quella di costruire il monumento a questa vita esemplare. Sarà lei a farne un capolavoro, edificando anche la base documentaria e di iniziativa del Centro studi Gobetti. Ma ci riuscirà facendosi lei stessa protagonista, nella Resistenza e nel dopoguerra, della battaglia di libertà. Sarà la Ada che si racconta nel Diario partigiano (Torino, Einaudi, 2014), che vede una prima edizione nel 1956, così presentato da Italo Calvino:
Questo libro di memorie della resistenza ha un carattere d’eccezione più che per l’importanza dei fatti che racconta, per la persona che l’ha scritto e il modo in cui la guerra partigiana viene vista e vissuta. È il libro di una donna la cui vita era già segnata dalla lotta antifascista: Ada Prospero, la vedova di Piero Gobetti, il giovane martire dell’antifascismo italiano, animata da una passione di libertà, da un bisogno di azione, da un coraggio eccezionali […] il libro d’una madre che va a fare la guerra partigiana insieme a suo figlio di diciott’anni, e con lui divide pericoli e disagi.
Grazie agli studi più recenti (soprattutto di donne), basati sulla documentazione completa del suo percorso, lumeggiando anche quello giovanile, Ada è assurta al Pantheon delle «donne della Repubblica», come scrive Ersilia Alessandrone Perona, assumendo un’identità a pieno titolo.
Ma il tassello giovanile che emerge da questo epistolario e dai suoi diari, di educazione sentimentale e spirituale in simbiosi con Piero Gobetti, in un attivismo di pensiero e azione straordinari per degli adolescenti e poi giovanissimi, costituisce un trampolino fondamentale per comprendere lo slancio e la traiettoria successiva.
Ada è la Beatrice di un giovane dotato di qualità eccezionali, maturate precocemente, e appartiene a quella generazione che non ha fatto la Grande Guerra, ma vuole bruciare le tappe per raccoglierne le conseguenze drammatiche. È una generazione che si caratterizza per volontarismo e si ispira a grandi figure eroiche, cercando il proprio posto nella storia. Alla concitazione e all’esaltazione che caratterizza spesso le lettere di Piero, Ada fa da contrappunto con la propria apparente ingenuità infantile, che lui spesso stigmatizza.
Un esempio, la gioia dei diciotto anni di Ada, nella lettera 92 del 1920:
È così bello avere 18 anni, quando splende il sole, quando si è la bimba adorata di Piero, quando si sta diventando Beatrice, quando ogni mattino sorridendo si può benedire la vita. Non è così, amore?
E non si contano le descrizioni di spettacoli naturali, di canti e musiche contenute nelle lettere di Ada, che Piero giudica artificiali: «un parossismo di gioia che mi sembrava esteriore e artificiale, senza che tu ne avessi coscienza. Gioia che brillava, perché solo ne appariva la superficie».
Piero è severo con se stesso ed esigente con Ada, canzonandola per le sue ebbrezze e i suoi rimpianti zingareschi:
La realtà è nella civiltà millenaria che abbiamo faticosamente costruito. La barbarie piegherà. I primitivi saranno civilizzati. La campagna diventerà città. Le siepi e i cespugli saranno solo più artificiali.
Vogliamo serietà e non abbandono infantile: lavoro costruttivo, non mistici rimpianti.
E tu lo sai ed è bene sospendere la predica.
L’intensità della pressione comunica sentimenti di inadeguatezza in Ada, che per superare i propri «sdilinquimenti» si dà la missione di affiancare e supportare Piero, ridimensionando i propri sogni infantili: avrebbe voluto essere un grande guerriero e conquistare il mondo, o lo scienziato che riesce a catturare i raggi del sole, o una grande musicista. Ed invece si convince che:
Non tutti nella vita hanno la missione di fare delle cose grandi: c’è anche chi ha scelto la missione di aiutare e di sorridere soltanto a chi può salire tanto in alto. Ed è questa la mia. Non pare anche a te?
La sua grande opera, in quanto Beatrice, sarà quella di dedicare la propria vita alla felicità di Piero. E non pare che lui la scoraggi, tanto è il senso di sé e della propria eccezionalità che avverte in questi anni convulsi, grazie anche all’apprezzamento ricevuto da tanti grandi intellettuali, da Salvemini, a Croce, a Gentile. Gobetti si sente superiore a molti altri, anche della passata generazione, e nega di essere precoce reputandosi «perfettamente maturo in ciò che faccio». Pur non avendo che sfiorato la guerra e ignorando «i tormenti, le crisi, le debolezze di cui i combattenti hanno sofferto», è convinto di essere «perfettamente padrone più di loro della verità che essi sono riusciti a mala pena a conseguire». Non teme il confronto né con Salvemini o Missiroli negli studi politici, né con Gentile in filosofia, e non scrive drammi e romanzi solo perché vorrebbe «scrivere subito un capolavoro». Il suo difetto più intimo non sarebbe «una mia impotenza, ma una mia soverchia maturità espressiva». Piero non è mai indulgente con se stesso, e si accorge che la sua «concezione della vita è con troppi, quasi con tutti». Le autoanalisi che trasmette alla sua Beatrice, canzonandone spesso il «sentimentalismo», che considera una vera e propria malattia, sono spietate e ispirate a uno spirito eroico e ascetico, sull’esempio di Croce, Gioberti, Leopardi o Dante, «perseguitati senza posa e riesaminati, e limitati e discussi, ma adorati non mai»:
Rinunciare per offrire tutto a chi di noi non si curerà e ci negherà persino nell’atto in cui imparerà da noi quel che potevamo insegnare. E tuttavia non fermarsi nella rinuncia, perché il nostro spirito non è nulla, è vilmente miserando se per un momento si astiene da quell’attività che è un dovere.
Conservare il senso di responsabilità per tutto. Questo è l’eroismo tragico perché silenzioso, perché umile e sconosciuto dell’uomo moderno. Eroismo che la folla chiama superbia, arrivismo, ecc.
È con questa figura di eroe tragico sempre sopra le righe, che ha il percorso folgorante di una meteora, che Ada si troverà a confrontarsi per il resto della sua vita. Ma saprà farne lievito di tanta operosità, aprendosi agli altri, nella tessitura della rete di «Giustizia e Libertà», nella rete clandestina della Resistenza, e infine nella costruzione di una memoria collettiva dei combattenti della Libertà con il Centro Gobetti.
L’epistolario giovanile illumina le ragioni del suo impegno, ma è anche il ritratto di una coppia eccezionale di giovanissimi degli anni venti del secolo scorso, che maturano precocemente nel precipitare degli eventi fino alla tragedia del fascismo e della prematura scomparsa di Piero. Due giovani fuori del comune, con un progetto intellettuale alto, di costruzione di una nuova élite all’altezza dei tempi e di divulgazione culturale e politica. Un’esperienza che sembra troncata e soffocata dal trionfo del fascismo, ma che darà i suoi frutti, anche grazie alla tenacia di Ada.
C’è ancora tanto da studiare su queste carte, soprattutto per ricostruire i molteplici riferimenti culturali a cui si abbeverano i due giovani, dalla cultura classica a quella russa a quella moderna europea, in una sete di conoscenza e di confronto. L’accumulazione straordinaria di cultura dovrà poi depositarsi ed essere sfrondata, ma servirà di lievito alle loro intelligenze e sensibilità, nonostante l’“aridità” che Piero ostenta e che Ada mette in dubbio.
Ada fa i conti con il proprio senso di solidarietà umana già giovanissima (Lettera 144, 1920), accorgendosi di aver maturato un ideale umanitario meno astratto di quello nebuloso dell’adolescenza. Dopo aver attraversato una fase di distacco con i più e di fratellanza con pochi spiriti eletti, in una aristocrazia spirituale lontana dagli umili, ha compreso che ogni vita ha «la sua ragione ed il suo fine». L’amore per Piero le ha dato un senso più ampio di amore per l’umanità, che le consente di superare un eroismo troppo individualistico ed elitario: «in ogni esistenza, per quanto possa parere semplice e vuota, c’è sempre un eroismo nascosto, che non perché piccolo è meno eroico: ogni uomo ha il suo eroismo proprio, in relazione alla forza e all’ampiezza del suo spirito».