di Tomaso Montanari
[Questa storia non riguarda solo me, dice Tomaso Montanari in conclusione di questo intervento, riguarda tutti quei fiorentini – e non solo loro – che hanno a cuore la tenuta democratica della loro città e del paese. Noi del Ponte – e Montanari fa parte della direzione della rivista – già nel lontano 1988 costruimmo un numero (Firenze s’è desta) contro l’operazione Fiat-Fondiaria in cui cominciavamo a intravvedere «una città all’incanto». L’operazione evidentemente continua].
Il sindaco Dario Nardella e la giunta comunale (Giachi, Bettini Del Re, Funaro, Gianassi, Giorgetti, Guccione, Martini, Sacchi, Vannucci) della mia città mi chiedono i danni in sede civile: 15.000 euro a testa, per un totale di 165.000 euro. Lo fanno «in proprio e quale sindaco» e «quali assessori»: se dovessero mai vincere, però, i miei soldi andrebbero a loro, non alla città. Lo fanno per una singola frase di trentaquattro parole che ho pronunciato, rispondendo a una domanda, nel corso di un’intervista di Report l’8 giugno scorso. Eccola: «Firenze è una città in svendita. È una città all’incanto, è una città che se la piglia chi offre di più, e gli amministratori di Firenze sono al servizio di questi capitali stranieri».
La ripeto qui, solo perché si sappia di cosa sto parlando, ma absit iniuria verbis!
Come è noto, le interviste televisive non vengono trasmesse integralmente. Quella frase, infatti, arrivava alla conclusione di un lungo ragionamento sulla teleferica che dovrebbe esser costruita nel tutelatissimo Giardino di Boboli per portare più agevolmente i facoltosi clienti nel resort a cinque stelle in cui sarà trasformato l’ex convento ed ex ospedale militare di San Giorgio alla Costa, bene pubblico alienato a privati e consacrato al mercato del lusso. Prima di quella frase, infatti, avevo detto al mio intervistatore (Giuliano Marrucci): «Si dice “lo potranno usare i fiorentini”: ce le vedo le massaie fiorentine mettersi in fila con i clienti del resort di lusso, con le borse della spesa per farsi portare in un luogo dove appunto non ci abita quasi più nessuno grazie alle politiche del comune. È un po’ il simbolo, perché è davvero lo spazio più pregiato (un altro era San Firenze)». Mi interrompe Marrucci, chiedendo: «Quindi attrarre investimenti con appunto la possibilità di cambio di destinazione d’uso anche molto impattanti, possibilità di ristrutturazione anche molto impattanti e una volta che hai attratto questi investimenti, mettere la progettazione urbanistica della città, i servizi della città, al servizio di quegli investimenti là». E io rispondo: «la teleferica di Boboli, la possibilità di farla, ha avuto il via in un cambio di piano urbanistico del Comune di Firenze dopo che l’acquisto di Costa San Giorgio era stato fatto. Cioè, le amministrazioni si impegnano: poi noi non sappiamo tutto quello che si dicono nelle cene private che preludono a questi acquisti, ma è chiaro che l’amministrazione dà delle garanzie, sta dalla parte degli investitori, e si dice continuamente che Firenze deve attrarre investitori stranieri. Firenze è una città in svendita, è una città all’incanto, una città che se la piglia chi offre di più: e gli amministratori di Firenze sono al servizio di questi capitali stranieri che prendono la città e la smembrano».
L’espressione “essere al servizio” la usa Marrucci, e io la riprendo: e la riprendo volentieri, perché l’ho usata mille volte, anche per i governanti della mia disgraziata, amatissima città. Mi è rimasta nell’orecchio fin da bambino, quando lessi per la prima volta Lettera a una professoressa di don Lorenzo Milani. Criticando con durezza la scuola pubblica che tradisce il suo compito, egli scrive: «Certe scuole di preti sono più leali. Sono strumento della lotta di classe e non lo nascondono a nessuno. Dai barnabiti a Firenze la retta d’un semiconvittore è di 40.000 lire al mese. Dagli scolopi 36.000. Mattina e sera al servizio d’un padrone solo. Non a servire due padroni come voi». Come spesso succede, le parole di don Lorenzo sono quelle del Vangelo: «non si può servire a due padroni». Né Gesù né Milani pensavano che ci fosse “corruzione”: condannavano, sotto il profilo etico, una libera scelta. Io condanno, sempre sotto il profilo etico, una scelta politica: l’amministrazione di Firenze ha scelto di essere al servizio di una idea di città che – è il mio giudizio politico – la uccide. Lo spopolamento del centro storico è il frutto di questa scelta a favore dei capitali stranieri e non dei cittadini; per i resort di lusso e non per la residenza; per i frazionamenti al servizio della trasformazione in air bnb e non per politiche a favore delle famiglie.
Io credo che Nardella e i suoi assessori abbiano capito, come tutti gli altri, che la mia era, ed è, una dura critica politica, non certo l’allusione a scambi illeciti. Potrei amaramente dire: magari ci fossero quegli scambi, almeno capirei che c’è una ragione per massacrare una città!
Invece non ci sono, per quel che so e, dunque, è un massacro gratuito.
Questa richiesta di danni, allora, come altro può interpretarsi se non come un’intimidazione contro un oppositore, assai pesante sotto il profilo economico. I miei contradditori mi definiscono «personaggio politico di livello nazionale»: ne sono onorato, ma è una definizione ingiustificata. Ho certo delle idee che non ho mai nascosto, ma non sono mai stato iscritto ad alcun partito, non mi sono mai candidato in alcuna competizione politica nazionale o anche solo locale. La verità è che si cerca di ridurre al silenzio un intellettuale libero e scomodo: non coinvolgendo Report o la Rai, ma chiamando in giudizio solo me, personalmente. In una Firenze in cui non c’è praticamente opposizione politica, in cui la stampa è allineata al potere e le personalità libere si esprimono cautamente in privato, ci si accanisce contro una delle poche voci contro.
Per amore della mia città, non tacerò. Ce la metterò tutta perché questa improvvida causa diventi una grande questione civile, non solo fiorentina. Appena sarà possibile indire assemblee civiche, proietterò l’intera intervista, e chiederò ai fiorentini che si riconoscono in questa battaglia per un’altra Firenze di contribuire anche economicamente, perché no, sostenendo insieme a me non solo la battaglia processuale, ma anche le spese legali, ammesso che io debba pagarle, perché nessun giudice, ne sono certo, potrà condannarmi per un’opinione e se dovessi vincere le spese me le pagheranno loro.
Questa storia non riguarda solo me: è in gioco la libertà del pensiero critico e la tenuta democratica del nostro stare insieme, non sarò solo a combattere ne sono certo.