Gomorra 3di Mario Pezzella

Postilla su Gomorra 3

Ho visto anche le ultime puntate della serie, di cui ho parlato nel mio articolo del primo dicembre scorso. L’identificazione dello spettatore con l’eroe criminale, se possibile, si intensifica fin quasi all’irresistibile. Tutto il passato di tradimenti e omicidi di Ciro, uno dei due protagonisti, diventa irrilevante di fronte alla sua esaltazione finale: non è solo un eroe, è un santo, che si sacrifica per l’amico, una specie di Humphrey Bogart in stile Casablanca e in salsa di Scampia. Non c’è traccia di pentimento, è solo un gesto di gratuito eccesso; così che lo spettatore non può non ammirarne l’amoralità sublime. Difficile dire se questo possa portare a un’imitazione nei fatti, come sostiene il sindaco di Napoli De Magistris (sembra che le stese aumentino di numero e di intensità dopo le puntate di Gomorra). Certo è che non vedo traccia di torsione critica nella presentazione del personaggio: l’idea che sia mille volte meglio essere un Padrino, uno Scarface, un Ciro piuttosto che un grigio disoccupato umiliato e impaurito affiora irresistibile nella mente, ma soprattutto nel cuore, dello spettatore. Non c’è traccia nella serie di quella che chiamavo – nel mio articolo – l’indomabile stupidità e banalità del male, che è l’unica vera critica interna alla sua rappresentazione. I protagonisti della serie possono essere sconfitti, crudeli, traditori o eroi: ma non sono mai banali. Si muovono nell’atmosfera rarefatta di una tragedia senza catarsi. Lo spettacolo di Gomorra 3 – anche se di buon livello, lo confermo – non diventa mai critico di se stesso e dei suoi archetipi.

Postilla sull’imbecillità dei re

Un’indomabile stupidità non manca invece nella vicenda del trasferimento della salma di Vittorio Emanuele III di Savoia in Italia. Sulla metafisica imbecillità dei re ho scritto commentando l’intervento di Felipe il piccolo di Spagna sulla Catalogna; quando un omuncolo pretende di incarnare l’essenza universale e sacra della Nazione, oggi non è più sublime, è ridicolo: perché è il concetto stesso di Stato-nazione che è divenuto obsoleto, sostituito da quello di Stato-funzione dei poteri economici e finanziari. Così la regalità diventa la recita di un falso, affidata a un imbecille.

Ora si discute sulla sepoltura dell’ex re d’Italia e d’Albania, imperatore di Etiopia: nel sacrario in Piemonte o al Pantheon? Credo che l’unico luogo degno di questo signore sia in un punto qualunque della strada da lui percorsa da Roma a Brindisi, scappando davanti ai tedeschi e abbandonando alla disfatta e alla morte i suoi soldati, eterno Schettino archetipico della nazione. Gli si dedichi una lapide a ricordo: “Di qui passò il re fuggiasco, esempio e monito di viltà”.

Al Pantheon si trova invece felicemente la tomba del “Re buono”, Umberto I; quello che fece un pubblico encomio a Bava Beccaris. Per i giovani giustamente smemorati della storia patria, Bava Beccaris è quello che nel 1898 sparò coi cannoni contro una folla inerme di operai che chiedeva il pane (a Milano), provocando centinaia di morti e feriti. Ma il buon re gli conferì pubblici onori: ricompense alle truppe che hanno sparato, elogi per la disciplina e il coraggio del generale, conferimento della croce di grand’ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia (dal comunicato del re: “…Per rimeritare il grande servizio che Ella rese alle istituzioni ed alla civiltà e perché Le attesti col mio affetto la riconoscenza mia e della patria”), seggio senatoriale. Avanzo una modesta proposta: che le ossa di questo regio mandante di assassini siano sostituite (posto che esistano ancora) da quelle di Gaetano Bresci e il Pantheon sia trasformato in monumento alle vittime della Repubblica.

Per completare quest’opera di deregalizzazione si potrebbe buttare fuori anche quell’ignorante cialtrone vizioso di Vittorio Emanuele II, che neanche si degnò di cambiare il suo numerino in 1, quando diventò re d’Italia: a sottolineare il modo autoritario, coloniale e centralista con cui è stata realizzata l’unità d’Italia. Al Pantheon dovrebbero starci semmai i caduti della Repubblica Romana del 1849.

Buon 2018 repubblicano a tutti!