di Gabriella Palli Baroni
È difficile restare indifferenti leggendo il Ritratto immaginario che Alice Zanotti dedica ad Amelia Rosselli nel suo Tutti gli appuntamenti mancati (Milano, Bompiani, 2021), tanto intenso e partecipe è il racconto dell’autrice. Alice Zanotti ha attraversato e ricreato la vita e la poesia di Amelia, legandosi intimamente con la protagonista di una tragedia familiare che ha segnato la sua esistenza. Era bambina undicenne quando il padre Carlo e lo zio Nello, intellettuali antifascisti, furono uccisi a Bagnoles-de-l’Orne nel giugno 1937 da sicari della Cagoule francese, su incarico del regime fascista, di Galeazzo Ciano, Filippo Anfuso e Santo Emanuele. Con la nonna Amelia, la madre Marion Cave, i fratelli, la zia Maria e i cugini, fu costretta a espatriare, seguendo un itinerario che la condusse dalla Francia alla Svizzera, dall’Inghilterra al Canada agli Stati Uniti. Qui i Rosselli nel 1941 si stabilirono a Larchmont, un sobborgo di New York, dove l’adolescente compì gli studi, e rientrarono a Firenze nell’estate 1946.
Zanotti fa della perdita del padre e delle conseguenze psicologiche sulla vedova e sulla figlia il motivo d’avvio della sua interpretazione, sorretta da rigorosi dati storici e biografici, ma lascia intravedere la continua assenza affettiva della madre che Melina (era questo il suo diminutivo) avvertì al punto che, a vent’anni, dopo la sua morte, assunse il nome di “Marion”, quasi a identificarsi con lei e a ritrovarne la presenza nella propria vita. Con questo nome la conobbe Rocco Scotellaro a Venezia, «bella e composta, seduta con la schiena dritta»; così la chiamò nella loro relazione amorosa lo psichiatra Mario Tobino, finché fu soltanto “Amelia”, trovando nella poesia la propria voce e la propria verità.
Alice Zanotti scrive nella Nota al testo di aver sentito il bisogno di confrontarsi con lei, «di stare al suo fianco, di guardare attraverso la sua vita e le sue poesie, prendendomi cura di un ricordo che non è mio, ma lo è diventato. Sono partita dalla realtà per andare da un’altra parte, in un luogo che fosse nostro». Da questo sguardo, che Amelia, con la slantless di Emily Dickinson, avrebbe detto «obliquo», graduale, proprio di chi cerca la verità, impedendole di dissolversi, è nata un’opera che si muove tra realtà e invenzione, al fine di giungere a una conoscenza più profonda, al colloquio con colei che si è scelta come compagna e amica, della quale si è scrutato sino in fondo l’animo nell’intreccio tra vita e poesia. Due piani del racconto si intersecano in un dettato che si fa narrazione in terza persona e, per giustapposizione, talvolta indicata con una semplice virgola, senza il tradizionale passaggio virgolettato, diviene voce in prima persona, che risuona improvvisa e portatrice di flussi di coscienza, di pensieri, memorie e desideri. Ne deriva uno stile originale e assai calzante soprattutto nel tessere le paure e le ansie di una donna che scompone e ricompone il proprio difficile vissuto e lo affida alla sua ardua e alta poesia. Un terzo piano narrativo, anch’esso in terza persona, staccato e situato alla fine di molti capitoli, porta avanti, a modo di commento e di chiarificazione, vicende interiori ed esteriori. È in questo momento che interviene una figura femminile confidente, Giacinta, che nel nome ricorda Giacinta Gallo, che la frequentò con affetto, ma è personaggio importante e inventato con sensibilità.
Il ritratto, al modo di una tragedia greca, si apre, con un Prologo, che anticipa il suicidio di Amelia, suicidio con cui si chiude nell’ultimo capitolo la biografia. Questa è scandita attraverso le tre età di bambina (Melina), di ragazza (Marion) e di donna (Amelia), che cronologicamente procedono dal confino di Carlo Rosselli nel 1927 a Lipari, «l’isola che bisbiglia», dove è concepita, fino alla morte (11 febbraio 1996). Si avvia contemporaneamente il tema centrale, leit motiv drammatico, dell’acqua-pioggia che, con le parole di Amelia, «sciacqua la mia vita rimasta al sole». È un motivo simbolico quanto mai suo, presente nell’ opera dai Primi scritti al Diario ottuso: «eau», «fond du lac», «fleuve», «mer», «fine plui qui tombe douce» e, nel Diario, «L’acqua è una grande rana. /Il fiume si scioglie di carità. […] Le acque scorrono con appena un suono. /[…] Mare, ti hanno proclamato. Sei una grande bestia lumaca. Hai la sordità nel fondo tufo. Mare mare hai la gioia e la misericordia con te. Sei un fiore trasparente una forte tomba // […] Il fiume delicatamente si torce. Bello che sei fiumicino cadaverino». Nel Ritratto immaginario il tema, affiancato dal secondo motivo della “polvere”, che è «impasto di innumerevoli e distanti memorie, il passato sminuzzato», diviene figurazione psichica e poetica di uno stato fortemente emotivo e drammatico e rende perspicace il disagio mentale e l’affacciarsi nella protagonista di paure, incertezze, ossessioni, «voci» e «fantasmi», «spie» e «inquilini» e «cartelli».
Zanotti ha compreso che i giorni di Amelia sono stati contrassegnati dalla perdita e dall’assenza; perdita degli affetti più cari a causa degli insulti della Storia. Ma appuntamenti mancati anche nella vita privata, con Scotellaro, «Bello, troppo fino e troppo caro»; con Celui que j’aime, Mario Tobino, figura di amante-padre, come altri, Carlo Levi o Guttuso, ai quali si legò; con la nonna Amelia, su cui, morente, «lieve s’appoggia la polvere»; con Pasolini, «frassine /oh lungo fratello d’una volta, chiamato Pierpaolo» (Impromptu), che aveva pubblicato 24 poesie sul «menabò» facendola conoscere; con l’esistenza infine, travolta da quell’acqua che «precipita e lei precipita, l’acqua inonda e lei inonda, sciacqua via il suo corpo insieme a tutto ciò che ha perso e non ha dimenticato proprio perché l’ha perso». Intatta resta naturalmente la sua poesia, che, dal giorno in cui Bobi Bazlen le disse «È buona», ci accompagna con le sue invenzioni linguistiche e la sua musica, con le sue parole nuove che dicono la ricerca di una lingua universale: «forzieri antichi che custodiscono la sua storia e tutti i suoi pensieri sovrapposti e stratificati, come l’erba umida del bosco che sotto nasconde terra e radici, materie mobili in decomposizione e altre del tutto inerti, rocce e minerali».
[Fotografia di Dino Ignani]