di Ilary Langeli
Il 14 settembre scorso la video-blogger cinese Lamu, famosa per i suoi video su Douyin, – un’applicazione simile a quello che noi conosciamo come Tik Tok – è stata aggredita dal suo ex marito con un coltello per poi esser cosparsa di benzina fino a prender fuoco, e il tutto è avvenuto durante una diretta della donna proprio su Douyin. Lamu, trentenne e originaria del Sichuan, aveva lasciato il marito lo scorso maggio e l’uomo non accettava la decisione presa dalla moglie; Tang con la sua rabbia e violenza ha portato la giovane donna alla morte dopo due settimane di lunga agonia di costei per le gravi ustioni riportate sul corpo. Oggi l’ex coniuge è in arresto con l’accusa di omicidio volontario. La morte di Lamu ha originato non poche polemiche a livello mediatico, in particolar modo sul social media cinese Weibo in cui gli utenti, tramite l’utilizzo di hashtag, hanno rivendicato giustizia per la vittima.
La triste vicenda è coincisa, in contraddizione, con il discorso del presidente cinese Xi Jinping pronunciato il primo ottobre in teleconferenza durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite per celebrare il venticinquesimo anniversario della Conferenza mondiale di Pechino sulla donna, sottolineando l’impegno del Partito nel voler tutelare i diritti e gli interessi della donna in quattro proposte: uguaglianza di genere, sostegno allo sviluppo femminile, tutela dei diritti e maggiore attenzione per l’epidemia Covid-19. A settembre del 2019, l’Ufficio Informazioni del Consiglio di Stato ha pubblicato un libro bianco intitolato Uguaglianza, sviluppo e condivisione: il progresso della causa femminile nei 70 anni dalla fondazione della nuova Cina in cui la parità dei sessi e lo sviluppo della donna sono tematiche centrali per il Partito comunista cinese. La realizzazione di tali propositi si è concretizzata con l’Assemblea Nazionale del Popolo, che ha promulgato una serie di leggi finalizzate al miglioramento della tutela dei diritti delle donne mentre il Partito ha sottolineato il suo impegno riguardo al lavoro femminile all’interno della società cinese.
Il primo ottobre del 1949, con la fondazione della Repubblica Popolare Cinese sotto la guida di Mao, nacque una “nuova” Cina e, di conseguenza, un’immagine rivoluzionaria della donna. Nel 1950, contemporaneamente alla riforma agraria, fu emanata la «Legge sul matrimonio» con l’obiettivo di liberare milioni di donne dai dettami del confucianesimo, che sosteneva la famiglia di tipo patriarcale in cui vi era una gerarchia di obblighi e diritti impari. Nella «famiglia armoniosa» di Confucio la donna era sottomessa alla volontà della suocera e del marito, scelto dal nucleo familiare della sposa, trattata con indifferenza e nel contempo tenuta sotto pressione affinché mettesse al mondo un erede maschio, assicurando continuità alla discendenza. Nella società tradizionale le famiglie meno agiate preferivano sacrificare le neonate oppure vendere come concubine o serve le proprie figlie, anziché privarsi del figlio maschio, ma con la legge del 1950 l’infanticidio, la poligamia, la fasciatura dei piedi e il matrimonio tra minori vennero vietati e la possibilità di divorziare dal proprio coniuge fu certamente un’importante novità per la vita delle donne cinesi di quel tempo; tale misura era conosciuta dai contadini come “legge sul divorzio” o “legge delle donne” perché erano sempre queste ultime a chiederlo.
Salito al potere Xi Jinping, nel novembre 2013 si svolse il terzo plenum del XVIII Comitato centrale e furono varate le «Risoluzioni del Comitato centrale del Pcc» riguardanti alcune importanti questioni relative a un pieno approfondimento delle riforme in cui erano presenti misure relative a diversi settori come quello finanziario, fiscale, bancario, industriale, statale e del benessere sociale; a distanza di due anni, precisamente nell’ottobre 2015, nel Comunicato del quinto plenum vennero dettate le linee guida per il tredicesimo programma quinquennale 2016-2020. Lo slogan «xiaokang shehui», ossia una “società moderatamente prospera”, fu un argomento di particolare importanza all’interno del programma: oltre l’intento di voler eliminare il divario tra città e campagna, ridurre la povertà, migliorare l’assistenza sanitaria, il sistema pensionistico e le assicurazioni sociali, fu necessario abolire la “legge del figlio unico”, visto il crescente invecchiamento della popolazione. La misura era stata emanata nel 1979 da Deng Xiaoping per controllare la crescita demografica del paese e, se fosse stata violata, si sarebbe dovuto ricorrere a tecniche obbligatorie come l’aborto, spesso compiuto con gravidanze in fase avanzata, la sterilizzazione e l’infanticidio femminile. Il primo gennaio del 2016 la legge sulla pianificazione delle nascite, che violò per anni i diritti delle donne, fu finalmente abolita anche se nella Cina odierna rimangono comunque fattori ostativi per la nascita di un secondo genito, come per esempio il costo della vita sempre più elevato, in particolar modo nelle aree urbane.
Oggi le donne cinesi ricoprono ruoli di grande responsabilità e ne sono un esempio tutte quelle infermiere o quel personale medico femminile che hanno combattuto in prima linea per sconfiggere l’epidemia Covid-19, dimostrando ciò che il Grande Timoniere sosteneva: «le donne sono in grado di reggere l’altra metà del cielo», ma la strada è ancora lunga per arrivare a ricoprire ruoli dirigenziali all’interno del partito o del governo stesso.
Xi Jinping, a fianco della “lunga marcia” delle donne cinesi, afferma di voler prendersi cura di tutte quelle donne che vivono in condizioni disagiate, delle anziane, disabili o con fragilità, e di eliminare la discriminazione, il pregiudizio, la violenza nei confronti delle stesse, in modo che la parità di genere possa diventare veramente un codice di condotta e uno standard di valori comuni per tutta la società.