di Massimo Jasonni
Ciò che accomuna il Pd, cosà come ora si presenta nell’immagine dell’attuale segretario, e Forza Italia, come si ripropone nella fotografia di un Berlusconi che sfida la vecchiaia, temiamo non sia solo una momentanea e fugace ipotesi di accordo preelettorale, ma nasconda ragioni di intesa ben piú salde e profonde. Come dire? Nozze d’amore, o se si vuole stare all’idea di solidità del vincolo di Schopenhauer, nozze per interesse. E quale interesse, e con quale forza dettato dal dominio dell’economia.
Certo nel rinnovato dialogo tra Renzi e Berlusconi ci sono anche obiettivi superficialmente strumentali, non ultimo quello dell’accorparsi per cercare di contenere l’assalto dei 5S, divenuti prima forza politica italiana e destinati, nonostante l’ostilità delle fonti di informazione, a crescere di numero. Tuttavia, non è questo che determina la perversa comunanza di intenti; ma un qualcosa che merita un attimo di cura nella riflessione, giacché parliamo di un comune programma di radicale mutamento dell’assetto costituzionale del Paese.
Oggi tutti, se non tutti i piú, mugugnano all’interno delle sedi del partito, e dei governi locali piddini, avvertendo la natura essenziale dello stravolgimento di identità e presagendo l’inevitabile disfatta elettorale che si prepara. Ma la vecchia mentalità partitica dell’elettorato tende a mantenersi ferma in un connotato non persosi nel corso del tempo, anzi accresciutosi negli anni con l’evaporazione degli ideali della Resistenza: quello del rigoroso, religioso si soleva dire una volta, allineamento alle direttive del partito. Per esprimere questa stessa “lealtà ” si utilizzò in passato la categoria della laicità : il Pci veniva considerato sinistra non laica proprio in ragione di tale fedeltà , e cosà distinto dal socialismo di matrice salveminiana o azionista. Quando qualcuno alza la cresta per esprimere una critica, sale subito al cielo un ululato, cui ha creduto di potersi associare, da ultimo, il pallidissimo Pisapia: guai a chi attenta all’unità , guai a chi crea divisioni interne. Sul punto, inutile perdere tempo con le mistificazioni: D’Alema è già , in sua parte, e non piccola, responsabile della scomparsa della sinistra antagonistica; per di piú, ora appare impresentabile sul piano della pubblica comunicazione. Ma è pur vero che quando dice che Renzi non è un socialista, e insiste nel sottolineare che Renzi sta alla tradizione del socialismo italiano come le vongole nei tortellini alla panna, dice cosa vera, indiscutibile e inoppugnabile.
Renzi incarna un’aspirazione risalente nel tempo, manifestata dagli americani sin dall’immediato secondo dopoguerra, di spegnimento dell’ardente fuoco socialista nella palude liberaldemocratica realizzata, con la Democrazia cristiana, da De Gasperi. E non solo. Perché, oltre a questo, si trattava dell’azzeramento, da parte delle tecnocrazie, delle spinte anticapitalistiche di una matrice etico-religiosa cristiana, tendenzialmente gnostica, ben presente nel mondo contadino di allora e in piú vasti strati della nostra gente. L’occasione che con Renzi si presenta risulta ghiotta: viene da una forza e da un oscuramento. La forza sta dall’acquisizione della segreteria di partito della sinistra, l’oscuramento dipende dal retroscena che fa a pugni con quella storia: il classico triangolo Firenze-Arezzo-Siena, l’onda oceanica proveniente da Stati Uniti e Nato.
Qui va forse colta la ragione profonda delle nozze con Berlusconi. Dove questo abbraccio mortale debba condurre è ben chiaro. Si ripensi ora a due fonti in sé insospettabili, espresse in tempi non sospetti: la GP Morgan, forse la prima e la piú importante banca d’affari del mondo, e quell’acutissimo osservatore politico, di sicura fede berlusconiana, che fu Gianni Baget Bozzo.
Vediamo la banca d’affari, già attentamente visitata nelle pagine di questa rivista da Tommaso Montanari e Marcello Rossi1 che cosà si esprimeva nel giugno del 2013:
Le Costituzioni e i sistemi politici dei Paesi della periferia meridionale dell’Europa […] tendono a mostrare una forte influenza socialista, che riflette la forza politica che le sinistre conquistarono dopo la sconfitta del fascismo. Questi sistemi politici periferici, mostrano, in genere, le seguenti caratteristiche: governi deboli; Stati centrali deboli rispetto alle regioni; tutela costituzionale dei diritti dei lavoratori; […] e il diritto di protestare se cambiamenti sgraditi arrivano a turbare lo status quo […]. Ma qualcosa sta cambiando: il test chiave avverrà l’anno prossimo in Italia, dove il nuovo governo ha chiaramente l’opportunità di impegnarsi in importanti riforme politiche.
Vediamo, poi, Baget Bozzo, su «La Stampa», Lettere e Commenti, di sabato 26 luglio 2008:
La Costituzione del ’48 supponeva il consenso dei partiti antifascisti che ne erano mallevadori, la sua costituzione materiale. La loro pluralità e differenza era la base della legittimità politica della Costituzione. Il documento stesso era un compromesso politico: e supponeva che i partiti fondatori, nella loro diversità , rimanessero la base politica dello Stato. La riduzione al solo Pdf dei partiti antifascisti creava un vuoto politico, non sul piano del governo, ma sul piano dello Stato, cioè sul piano dell’accettazione della Costituzione come base politica della Repubblica. A ciò si aggiunge il fatto che l’indipendentismo padano (che aveva allora figura etnica e si richiamava alla tradizione celtica del Nord Italia come base di una differenza radicale) metteva in crisi l’impianto del sistema politico italiano fondato sulla centralità della questione meridionale. Poteva un partito rispondere a tale stato di eccezione politica, quando tutte le tradizioni politiche diverse da quella comunista erano dissolte e vi era un vuoto obbiettivo, un vuoto che corrispondeva alla sfida indipendentista del Nord? Ci voleva un volto, perché non c’erano piú i partiti. Perché questo sia stato quello di Berlusconi non si può spiegare, esso è un fatto e non vi è dubbio che ciò corrisponde a un carisma politico, a una capacità di interpretare il popolo oltre i partiti. Berlusconi fu un evento straordinario, non prevedibile e quindi non facilmente giustificabile. Non entrava nella logica della politica e si pensava che non entrasse nelle regole della democrazia. Invece la tesi di Berlusconi fu quella di rappresentare la sovranità popolare e il suo potere costituente di un ordine politico diverso da quello dei partiti antifascisti ormai distrutto.
Qui ogni velo cade. E la scrittura ricalca fedelmente l’insistita presenza del sacerdote, in allora, nei teleschermi: schiva e arrogante, ammaliante e sgradevole. Dal punto di vista interno al mondo cattolico, Baget Bozzo procedeva alla demolizione del mostro sacro del «cattolicesimo democratico», di Dossetti e del dossettismo; dal punto di vista esterno a quel mondo Baget Bozzo giungeva all’immedesimazione del «volto di Berlusconi» con l’obiettivo dello smantellamento dei capisaldi socialisti e azionisti della Costituzione repubblicana.
L’obiettivo renziano dunque non è nuovo, né possiede l’originalità del volto di Berlusconi, e tuttavia ha avuto il “merito” comunicativo di avvalersi del termine «rottamazione» quanto mai evocativo. Richiama con veemenza nient’altro, se non la medesima demolizione dell’impianto costituzionale cui Berlusconi mirava. La differenza tra i due personaggi non sta negli obiettivi strategici, che anzi li accomunano, ma nell’età e nei dialetti di provenienza, e forse anche nella scelta del truccatore prima della ripresa televisiva.
Alle spalle di questo coagulo erano e sono i “poteri forti” o, per dirne piú inequivocamente, le oligarchie finanziarie che tengono in pugno un’economia globale vorace e rapinosa, quanto mai si era visto nella storia del pianeta. Esse, nell’appoggiare incondizionatamente Renzi, appoggiano l’azzeramento del valore della socialità e della politicità dell’essere dell’uomo, che sono essenziali nell’ottica tecnocratica. Lo stesso disprezzo per i beni naturali, la stessa indifferenza per la forbice drammatica che si è venuta a determinare tra una stretta cerchia di ricchissimi e una larghissima fascia di uomini in miseria. In Berlusconi e in Renzi si ritrova il medesimo, spregiudicato uso dei media, l’intento di mistificazione della realtà , un dato allarmante di alienazione. Renzi ha un “merito” in piú: quello, di cui abbiamo fatto parola in precedenza, ovvero dell’avere conquistato da ragazzo la segreteria del partito della sinistra italiana, trasformandola in momento di forza a sostegno di una democrazia ridotta, come diceva un grande padre liberale, a “scatolone vuoto”.
Si obietterà che le nozze tra Renzi e Berlusconi dovranno fare i conti con il voto del popolo italiano, che già si è espresso – e in maniera forte e inequivoca – con il referendum di abrogazione costituzionale. Ma i nostri eroi hanno la risposta pronta, già iscritta in quel dispregio della voce popolare che è il c.d. Rosatellum: non sono le elezioni che determinano, non è il voto su cui poggia il potere politico. Renzi è stato esplicito, al proposito, presagendo una débâcle nel prossimo appuntamento siciliano: ha anticipato che quelle elezioni non saranno indicative, esprimeranno mere preferenze particolari di natura amministrativa, insignificanti sul piano del corso istituzionale degli eventi.
Prepariamoci, poi: Renzi, e i suoi, e Berlusconi, e i suoi, fingeranno di litigare, per sostenere una distinzione di obiettivi, in realtà inesistente, e per difendersi dagli oppositori interni: D’Alema e i suoi, entro il Pd; Toti, e i suoi, in Forza Italia. Questa ennesima mistificazione mirerà a oscurare quel comune disegno di «rottamazione» della Costituzione repubblicana, che la GP Morgan auspicava e che Baget Bozzo benediceva.
1 T. Montanari, Le ragioni di un no, in «Il Ponte», anno LXXII, n. 10, 2016, p. 42 ss., e M. Rossi, E se vince il No?, in «Il Ponte», anno LXXII, n. 11-12, 2016, p. 5 ss.