di Rino Genovese

Strana vicenda: è stato proprio il meno socialista dei segretari del Pd a portare questo partito dall’identità introvabile nel Partito del socialismo europeo. Non che per Renzi la cosa abbia un grande significato. Ai fini del suo disegno di potere, uno qualsiasi dei raggruppamenti presenti in Europa sarebbe andato bene, tranne restarne fuori continuando ad aleggiare nel limbo. Allora perché non dirimere la questione, che si trascinava da anni, facendo del Pd un membro a tutti gli effetti del socialismo europeo? In fondo – Renzi si sarà detto, e non a torto – che cosa sia il socialismo nessuno lo sa più: perché non concedere agli ex comunisti (ex Ds) la loro foglia di fico? È un po’ la stessa logica con cui sono stati distribuiti i posti di governo e di sottogoverno, senza scontentare nessuno. Alle elezioni di maggio, dunque, il Pd appoggerà la candidatura di Martin Schulz alla presidenza della Commissione europea – e lo farà da co-artefice a pieno titolo della proposta.

Noi non abbiamo niente contro Martin Schulz, anzi, il tipo ci è simpatico e prendiamo atto che – nell’attuale frangente – conduce una campagna piuttosto spostata a sinistra. La socialdemocrazia tedesca, del resto, nella grande coalizione con Angela Merkel, si è fatta sentire su alcuni punti qualificanti come l’introduzione di un salario minimo (qualcosa che il Pd delle larghe o piccole intese non è riuscito neppure a immaginare). Tuttavia non ce la sentiamo di votare per lui. E le nostre perplessità non sono tanto di carattere ideologico quanto di opportunità politica.

È prudente, in una situazione che vede la Germania (a torto o a ragione) sotto accusa come principale beneficiaria della sconquassata costruzione europea, che sia proprio un socialdemocratico tedesco, cioè un esponente del partito che collabora al governo della Bundesrepublik con la signora Merkel, il vessilifero della sinistra riformista in Europa? Non ci sembra. La candidatura di Schulz può dare adito ai sospetti, quindi spazio alle forze antieuropeiste ed euroscettiche, populistiche e di destra. Il candidato socialista doveva essere meno connotato in senso nazionale, o, meglio ancora, andava scelto in quei paesi dell’Europa del sud che hanno pagato, e ancora stanno pagando, il prezzo più alto della crisi.