Aldo Palazzeschi, cognome d’arte ereditato dalla nonna materna per Giurlani, morí a Roma, dove si era trasferito da Firenze fin dal 1941 in seguito alla scomparsa dei genitori, e dunque della sua unica e sola famiglia d’origine, la mattina del 17 agosto di cinquant’anni fa, nel 1974.

Tra le città piú amate e rappresentative della sua personalità di uomo e di scrittore c’era in primis Firenze, dov’era nato e vissuto fino alla maturità, poi Roma dove poté vivere piú liberamente l’espandersi del profilo della sua personalità creativa e di uomo all’interno della società letteraria, quindi l’amatissima Venezia, definita da lui stesso «la piú poetica delle città», meta di soggiorni, d’ispirazione e vacanze gratificanti e piene d’incontri artistici e umani essenziali (la Fondazione Querini Stampalia, d’intesa con il Centro Studi “Aldo Palazzeschi”, ha ricordato il rapporto tra Palazzeschi e Venezia in uno specifico convegno nel 2008). Un caso a sé rappresenta poi Parigi, la città europea che ha fornito la base d’esperienza non solo per le Avanguardie storiche ma per il milieu insostituibile che l’ha contraddistinta, per ogni artista di rango e provenienza che abbia lasciato un segno non effimero nel Novecento non solo letterario. A Firenze Aldo Palazzeschi tornò infine a riposare per sempre nel sereno paesaggio, circondato da uno dei panorami sulla città piú belli in assoluto, del cimitero di Settignano.

Scrittore dunque tra i piú versatili, liberi e originali dei primi tre quarti del Novecento europeo, apre lo scenario novecentesco con raccolte liriche che entrano a buon diritto nella memoria letteraria dei manuali di letteratura italiana del ventesimo secolo: da Cavalli bianchi (1905) a Lanterna (1907), fino ai Poemi (1909), solo per citare alcune tra le piú note. È narratore prolifico, sperimentatore di stili i piú vari, da Riflessi (1908) romanzo in stile liberty pubblicato dall’editore fittizio Cesare Blanc (in realtà, il gatto dell’autore) a Il Codice di Perelà (1911) con la centrale invenzione futurista dell’uomo di fumo, fino a Sorelle Materassi (1934), Tre… imperi mancati (1945) – i Due imperi… mancati sono del 1920 –, Roma (1953), Il Doge (1967) e Stefanino (1969), solo per ricordare alcune delle opere in prosa di maggior richiamo. Fu inoltre titolare prestigioso di numerosi e corposi carteggi con diversi esponenti della letteratura italiana contemporanea, da Marinetti a Prezzolini, da Lucini, Soffici e Papini a Marino Moretti, l’amico   di una vita, al critico letterario Pietro Pancrazi, fino agli editori Arnoldo e Alberto Mondadori.

Della fortuna palazzeschiana piace dunque qui brevemente ragionare, in occasione dell’attuale cinquantesimo anniversario della scomparsa. In un tempo odierno abbastanza avaro di memoria storica, particolarmente in campo critico letterario, in controtendenza, possiamo dire, si può osservare come Aldo Palazzeschi faccia parte dei fortunati pochi a cui è stata riservata una fortuna certa, ampia e solida. Ciò si deve, credo di poter dire ancora una volta, alla prudenza progettuale spesa dallo stesso artista verso di sé, che nulla ha lasciato al caso del proprio destino d’autore. Aldo era certo infatti che a Firenze la facoltà di Lettere dell’Università, designata nel giorno del suo ultimo compleanno, il 2 febbraio 1974, a diventare sua erede universale, avrebbe onorato la sua opera. Cosí è stato. La valorizzazione è durata cinquant’anni e dura tuttora, prosegue e si rinnova senza sosta, portando al vaglio del laboratorio scientifico le carte di un archivio d’autore, in fondo piuttosto arduo da trattare al meglio, perché, sebbene appunto di eccezionale valore, anche impervio nella grande varianza di cui risulta costituito per la tipologia di genere, la diversificata e non sempre certa cronologia, la scarsa uniformità ai fini della necessaria classificazione e per il trattamento filologico e critico da realizzare sulle carte autografe. E tuttavia, già due anni dopo la scomparsa dello scrittore, con Palazzeschi oggi, nel 1976, ecco celebrarsi un memorabile convegno internazionale a Firenze, presso il Gabinetto Vieusseux, a cura di Lanfranco Caretti e dei suoi allievi, i cui atti usciranno presso Il Saggiatore due anni dopo, nel 1978.

Nascevano intanto le borse di studio intitolate ad Aldo Palazzeschi, importanti proprio perché pluriennali, poi diventate «Premio Palazzeschi» (chi scrive ne è stata nell’anno 1990-1991 ancor oggi grata beneficiaria) per una sola volta e, in ogni caso, funzionali alla natura che intendevano svolgere di buon viatico verso il futuro. Ma ciò che piú ha contato per assicurare alla fortuna palazzeschiana una forma e una storia di lunga e felice durata è stata l’istituzione del Centro Studi Aldo Palazzeschi, fondato e diretto nel 1999 da Gino Tellini.

Per lunghi, operosi anni si sono cosí potute gettare le basi per costruire e stabilire una struttura complessa, unitaria e fortemente produttiva nel tempo, capace di testimoniare coraggiosamente, con edizioni scientifiche numerose e solidamente organizzate presso editori fiorentini (da Le Lettere a Sef editrice, da Polistampa a Olschki) e romani (soprattutto Edizioni di Storia e Letteratura), la buona salute di quella stessa fortuna letteraria editoriale e storico-critica che ha comunque avuto le sue radici lontane nel progetto illuminato di uno scrittore veramente attento a fare della propria fortuna come memoria storica un programma ben studiato e ricercato.

Nel laboratorio del Centro Studi Aldo Palazzeschi, nel corso di ciascuno degli scorsi 25 anni che vanno dal 1999 a oggi, ha avuto spazio e trovato risorse adeguate un’attività molto vivace di valorizzazione “a tutto tondo” dell’opera palazzeschiana, in tutti i suoi variegati aspetti. Basti in tal senso volgere il pensiero al ricordo di un momento effettivamente memorabile, segnato dal convegno e dalla mostra palazzeschiani, svoltisi nel 2001 di nuovo al Gabinetto Vieusseux e al Museo Alberto della Ragione. Con l’edizione di Scherzi di gioventú e d’altre età. Album Palazzeschi (1885-1974), a cura di Simone Magherini e Gloria Manghetti, prefazione di Gino Tellini (Firenze, Polistampa, 2001); L’opera di Aldo Palazzeschi. Atti del Convegno internazionale (Firenze, 22-24 febbraio 2001), a cura di Gino Tellini (Fondazione Carlo Marchi, Quaderni, vol. 18, Firenze, Olschki, 2002), si è messo un punto fermo, un sigillo, che ha segnato un nuovo, tangibile successo alla fortuna dello scrittore fiorentino.

E non soltanto: Gino Tellini fin dagli esordi, e da un tempo piú recente Simone Magherini, succeduto al suo maestro nella direzione del Centro Studi, si sono spesi al massimo, prodigandosi perché giovani e meno giovani italianisti del Dipartimento fiorentino e non, potessero contribuire alla vivace attività di valorizzazione della vasta opera di Aldo Palazzeschi, promuovendo, per esempio, l’edizione sempre aggiornata delle singole opere dell’autore, in collane anche popolari ma sicure sul piano della qualità editoriale come gli Oscar Mondadori.

Il destino di Aldo Palazzeschi ha decisamente segnato nel giro di boa del suo percorso post mortem solo buone, ottime notizie. Segnali e promesse mantenute al meglio, dopo quella scelta originaria generosa del protagonista che ha visto svolgersi davvero un viaggio tutto in discesa, per lui rimasto “signorino” tutta la vita. Insomma, come si osserva dagli esempi fatti, il bilancio per la parabola ascendente della fortuna di Aldo Palazzeschi risulta essere a oggi, a cinquant’anni dalla sua scomparsa, molto positivo e, direi, in prospettiva ricco di futuro.

Palazzeschi è stato certamente un “antiaccademico”, come ricorda Gino Tellini nel titolo di una bella pagina che gli ha dedicato sul «Corriere della sera» lo scorso 17 agosto. Ben sapeva tuttavia l’uomo di mondo Palazzeschi che l’unico modo per sopravvivere nella stessa memoria del mondo consiste nell’affidarsi completamente, lui raffinato gestore del proprio personaggio pubblico e privato, essendo stato anche un provetto attore professionale, alle cure di chi per professione (non certo per caso) ha la responsabilità di mettere in luce con le opere la “polvere d’oro” che vi è sottesa e di far rimanere nel tempo, quando è autentica, la figura dell’artista che ne è autore.

Un significato simile – con cui concludo la mia leggera riflessione per Palazzeschi scrittore che fu, com’è universalmente noto, il funambolo per eccellenza dal tocco lieve, maestro del “lasciatemi divertire” – trovo in ciò che ebbe a dire Luigi Baldacci dell’amico Aldo Palazzeschi: «questo è il suo vero sigillo di moderno: il poeta non è piú dentro la poesia: la gestisce».

 

 

Immagine: da Sorelle Materassi, regia di Ferdinando Maria Poggioli, 1944