crisi di Seldi Rino Genovese

Il compagno Giuseppe Brogi, coordinatore regionale toscano di Sel, che ho avuto modo di ascoltare di recente nel corso di un’assemblea, ha svolto un’egregia analisi della situazione in cui versa in questo momento il suo partito, pronunciando più volte l’espressione “e tuttavia…”. Non si tratta di un tic linguistico: l’espressione, con il suo carattere concessivo-avversativo, riassume piuttosto il disorientamento in cui si trova oggi Sel. Cerco di spiegarmi. Questo partito era nato per essere un “ma anche” (ricordate l’intercalare portato agli onori del dibattito politico dall’imitazione che il comico Crozza faceva di Veltroni ai tempi in cui questi, con scarsa fortuna, fu il candidato alla presidenza del Consiglio?), nel senso che nello schieramento ampio di un centrosinistra di governo avrebbe dovuto rappresentare la sua componente di sinistra non confusionaria ma capace di collocarsi all’interno di un dignitoso compromesso politico. Il fatto che, per un lungo tratto, questo piccolo partito si sia identificato in maniera personalistica con Vendola, è stato vissuto come un che di transitorio, il prezzo da pagare a una mediatizzazione e spettacolarizzazione della politica cui nessuno, pur con le migliori intenzioni, può sottrarsi. Ciò che era veramente in gioco era la possibilità di contare, facendo valere le proprie ragioni, all’interno di un centrosinistra con un programma progressista.

Questa prospettiva è venuta meno nel 2013 con la non vittoria elettorale del Pd di Bersani e il pasticcio che ne è seguito, da cui si è (apparentemente) venuti fuori grazie al giovane uomo della provvidenza Matteo Renzi. È naturale che, in un paese politicamente emotivo come il nostro, Renzi goda al momento di un credito e di un consenso fuor di misura rispetto alle cose concrete che ha fatto e sta facendo. Tra queste c’è senz’altro l’ottima uscita riguardo ai famosi ottanta euro in più in busta paga per chi ne guadagna all’incirca mille. Qualcosa la cui giustezza è incontestabile, anche se fosse stata una trovata semplicemente elettoralistica. E tuttavia – ecco che compare la locuzione – ciò non è in alcun modo sufficiente a dare fiducia a Renzi su tutto il resto: in particolare non lo è, o non dovrebbe esserlo, per un gruppo parlamentare come quello di Sel collocato attualmente all’opposizione. La rotta verso il Pd, intrapresa da Migliore e da altri deputati, s’inscrive nella perfetta tradizione italiana del trasformismo parlamentare. Nulla più di questo: si va a incensare il vincitore del momento. E tuttavia – ecco che ricompare la locuzione – il progetto stesso di Sel si palesa come in crisi, per la semplice ragione che la possibilità di un centrosinistra articolato non esiste più con Renzi, che ha ripreso su nuove basi il discorso veltroniano circa la vocazione maggioritaria del Pd.

Che cosa dovrebbe allora fare un piccolo partito di sinistra? Dovrebbe, di quell’ “e tuttavia…”, fare di necessità virtù. Attrezzandosi per un tempo probabilmente non breve – ma neanche così lungo, perché i nodi della politica renziana prima o poi dovranno venire al pettine. È la costruzione di una forza politica di sinistra – compito non impossibile ma neanche facile in una situazione che vede il declino della forma partito – l’obiettivo cui puntare nel frattempo. Con quanti ci stanno: cioè con tutti quelli che, senza ridursi in una riserva per definizione minoritaria, non rinunciano all’idea di una sinistra autonoma e, al tempo stesso, capace di governare quando se ne presentino le condizioni.