sondaggidi Aldo Garzia

Malgrado il sostegno di Barack Obama e dei socialisti europei, la premiership di Matteo Renzi scricchiola vistosamente. Secondo gli ultimi sondaggi, i no sono in testa con il 54% trovando vasto consenso tra i più giovani e in prevalenza al sud (Corriere della Sera del 22 ottobre, fonte Ipsos). I sono prevalenti tra gli ultrasessantacinquenni ma fermi al 46%. L’8,5 dichiara invece che non sa ancora come voterà. Le intenzioni di voto sono inoltre segnate socialmente: maggioranza di favorevoli alla riforma costituzionale tra occupati stabili e laureati, forte prevalenza di contrari tra i disoccupati, i precari e le categorie disagiate in genere.

Evidente che la scadenza referendaria abbia assunto il massimo di politicizzazione al di là degli schieramenti contrapposti (Pd non tutto intero e frattaglie centriste, da una parte, tutta la destra e i grillini, Sinistra italiana più dalemiani, bersaniani, Cgil e Anpi, dall’altra). Il referendum del 4 dicembre è diventata occasione troppo ghiotta per chi vuole esprimere il proprio dissenso variamente motivato contro il governo, il che fa alzare ulteriormente le quotazioni del no. Non bisogna stupirsi, allora, se il merito del quesito su cui si vota riguarderà una minoranza dell’elettorato e se pochi, tra gli stessi contrari più avvertiti, si porranno il problema di cosa potrebbe accadere dopo la vittoria dei no. Anzi, proprio questo è il non detto post-elettorale.

Eppure, nonostante i mancati pronunciamenti dei protagonisti, nell’aria c’è già profumo di governissimi “tecnici”, “istituzionali”, di “garanzia” o “di scopo”: tutti sostenuti da Forza Italia, centristi vari e Pd (o ciò che ne resterà), con l’astensione o il voto contrario di Lega, Fratelli d’Italia, 5 Stelle e Sinistra italiana. Lo scenario dato per più probabile, in caso di vittoria dei no, è infatti quello delle dimissioni di Renzi e della formazione di una maggioranza per il varo di una nuova legge elettorale con cui andare al voto nel giro di un anno o due (cercando di tarpare le ali, anche tecnicamente, ai grillini dati per potenziali vincenti). Sulle riforme costituzionali si metterebbe nel frattempo una pietra tombale in attesa della nuova legislatura. A presiedere il nuovo governo potrebbe essere chiamato Pietro Grasso, attuale presidente del Senato. A sinistra, in più settori, e tra i grillini, lo scalpo di Renzi verrebbe festeggiato come la fine di un pericolo per la democrazia e il tramonto precoce di un intruso a vocazione rottamatrice. A destra lo stesso scalpo avrebbe il sapore di una partita politica che si riapre. In tale eventualità, da subito, sinistra e centrosinistra, separati o insieme, dovranno lavorare a nuove alleanze e nuovi candidati premier per sostituire Renzi e la sua formula di governo.

In caso di una vittoria al momento improbabile dei , lo scenario si presenterebbe meno tumultuoso all’insegna della continuità-stabilità: rafforzamento della leadership renziana e dell’attuale governo, con l’impegno a modificare la non certo esaltante legge elettorale (premio alla coalizione e non al partito, abolizione del ballottaggio?). Seguirebbe poi l’impegno legislativo sulla riforma costituzionale approvata, a iniziare dai meccanismi di elezione del Senato.

Le cose andranno in un modo o nell’altro? Basta aspettare il 4 dicembre.