Appello di Piero Bevilacqua e altri 74, pubblicato su «il manifesto», 1 settembre 2021
Tomaso Montanari, eletto rettore all’Università per stranieri di Siena, è da tempo oggetto di una campagna denigratoria su cui, a questo punto, non possiamo tacere, come docenti, attivi o in pensione, e come comunità intellettuale. Montanari, ovviamente, sa difendersi da solo e da par suo, e ha la possibilità di farlo quale collaboratore del «Fatto Quotidiano», benché inquieti il silenzio, la mancata difesa da parte dei suoi colleghi, rettori e docenti.
Ma il caso personale di questo rettore in pectore assume ormai una dimensione politica più generale su cui occorre far sentire una voce collettiva. Ricordiamo che ai primi di agosto, da poco eletto, e ancora non in carica, Montanari ha subito la richiesta di dimissioni da parte della viceministra alle infrastrutture e mobilità sostenibile, Teresa Bellanova, con la motivazione che «non sa tenere la lingua a freno». Una intimidazione davvero grave, da parte di un membro del governo, che attacca la libertà di parola e l’autonomia universitaria con una disinvoltura rivelatrice del torbido spirito pubblico dei nostri giorni. Clima culturale e politico in cui un altro viceministro, Claudio Durigon, ha avuto l’ardire oltraggioso di proporre il nome di Arnaldo Mussolini per un parco che porta quello di Falcone e Borsellino: i due magistrati massacrati dalla mafia con le loro scorte, due figure che hanno riscattato con la loro vita l’onore della Sicilia e dell’Italia di fronte agli occhi del mondo, Non a caso, in questi ultimi giorni si è scatenata la canea neofascista contro il neorettore, accusato di aver negato le foibe, e altri sono intervenuti con posizioni pilatesche che testimoniano solo l’ignoranza dei fatti.
Ora a dare inopinatamente man forte a queste polemiche, che fanno male a uno spirito pubblico nazionale già gravemente inquinato, interviene Aldo Grasso, il quale, sul «Corriere della sera» (29 agosto), definisce l’intervento di Montanari sulla questione foibe «una mascalzonata».
Montanari, faziosamente equivocato dai commentatori, ha ulteriormente chiarito la sua posizione di studioso che certo non è quella di un negazionista («il Fatto», 26 agosto). Ma se ora si aggiunge la voce del «Corriere», la confusione diventa ancora più grave. Grasso, che non è uno storico, dovrebbe però sapere che da anni il tema doloroso delle foibe è usato dai fascisti in stolida funzione anticomunista e antisinistra quale controaltare nientemeno che alla Shoa. Ed esiste una letteratura fantasiosa e biliosa in cui le cifre dei morti raggiungono numeri spaventosi, proprio per tale esplicito fine propagandistico.
La “meschina contabilità” dei morti, che Grasso (ora si è aggiunto buon ultimo il solito Vittorio Sgarbi sulla stessa linea) rimprovera a Montanari, è da anni materia asperrima di controversia tra storici, e soprattutto inventori di leggende, e purtroppo, in un paese in cui il fascismo non muore mai, la verità storica deve imporsi anche tramite questa tristissima conta. A tale scopo hanno lavorato pioneristicamente Claudia Cernigoi, Sandi Volk, Alessandra Kersevan, Federico Tenca Montini e da ultimo Eric Gobetti, col suo E allora le foibe? (Roma-Bari, Laterza, 2020). Tutti costoro sono stati oggetto di attacchi scomposti o addirittura di minacce, soltanto perché hanno provato, documenti alla mano, a ristabilire le dimensioni reali del fenomeno, riconducendolo al suo contesto, quale pagina, per quanto atroce, di una guerra in cui gli italiani furono aggressori, e si comportarono in Jugoslavia in modo particolarmente feroce. In nessun caso, comunque, risponde a verità storica parlare di un piano di pulizia etnica da parte jugoslava contro gli italiani.
Esprimiamo dunque la nostra solidarietà e condivisione a Tomaso Montanari, al quale non viene evidentemente perdonato il fatto che, in quanto rettore, egli non si senta parte dell’establishment culturale e politico del paese, non si faccia difensore e cantore dello status quo. Noi lo esortiamo a continuare la sua critica radicale, anche nel nuovo ruolo che ricoprirà. Non possiamo infatti dimenticare che negli ultimi anni i rettori italiani, tranne pochissime eccezioni, hanno accettato in solenne silenzio le riforme “aziendalistiche” e i devastanti tagli finanziari imposti alle università italiane. Come del resto ha fatto la grandissima maggioranza dei docenti universitari, le anime morte della vita civile italiana, che si destano da profondissimo sonno solo quando qualche provvedimento governativo tocca i loro stipendi.
Piero Bevilacqua, Enzo Scandurra, Angelo d’Orsi, Vezio De Lucia, Maria Pia Guermandi, Luigi Ferrajoli. Ginevra Bompiani, Enzo PaoIini, Massimo Veltri, Ilaria Agostini, Alberto Magnaghi, Alberto Ziparo, Carlo Cellamare, Paolo Favilli, Ignazio Masulli, Alberto Olivetti, Gaetano Lamanna, Luigi Pandolfi, Franco Toscani, Franco Cambi, Tonino Perna, Maurizio Acerbo, Tiziana Drago, Franco Navelli, Rossano Pazzagli, Laura Marchetti;Domenico Gattuso, Angela Barbanente, Vito Teti, Lucinia Speciale, Andrea Ranieri, Simonetta Del Bianco, Raffaele Tecce, Graziella Tonon, Giancarlo Consonni, Mario Fiorentini, Marisa D’Alfonso, Giovanni Losavio, Riccardo Barberi, Paolo Berdini, Armando Taliano Grasso, Sonia Marzetti, Giuseppe Saponaro, Domenico Rizzuti, Luigi Vavalà, Domenico Cersosimo, Vittorio Boarini, Pino Ippolito Armino, Franco Blandi, Simona Maggiorelli, Daniele Vannetiello, Rita Paris, Giuseppina Tonet, Anna Maria Bianchi, Amedeo Di Maio, Roberto Budini Gattai, Francesco Trane, Anna Angelucci, Tommaso Tedesco, Battista Sangineto, Giuseppe Aragno, Roberto Scognamillo, Giovanni Carosotti, Massimo Baldacci, Francesco Gaudio, Piero Caprari, Francesca Leder, Marta Petrusewicz, Diego Amelio, Maria Paola Morittu, Piero Caprari, Francesco Santopolo, Umberto Todini, Claudio Greppi, Irene Berlingò, Francesco Cioffi, Romeo Bufalo, Amalia Collisani, Cristina Lavinio, Luisa Marchini, Vera Pegna, Tiziano Cardosi, David Arnando, Antonio Ciaralli.