di Lanfranco Binni

Il 24 settembre 1961 si svolgeva tra Perugia e Assisi l’esperimento capitiniano di una «marcia della pace per la fratellanza dei popoli» concepita come assemblea intellettual-popolare in cammino, rivoluzionaria e nonviolenta, di un altro mondo possibile e necessario, radicalmente “altro” rispetto al quadro internazionale e nazionale. Un esperimento di “diplomazia dei popoli” ispirato a valori non genericamente pacifisti («hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato pace», Tacito) ma fondato su precisi contenuti antimperialisti, anticapitalisti, di “omnicratica” democrazia integrale (più che democrazia, più che socialismo). Quell’esperimento era inserito in un processo che Capitini, tenace organizzatore persuaso del «primato della prassi sulla conoscenza», sviluppò negli anni successivi, in un confronto costante con i movimenti studenteschi e operai che avrebbero dato vita alla stagione rivoluzionaria del ’68-’69 e degli anni settanta. Dopo la morte di Capitini nell’ottobre 1968, a quel processo di “esperimenti” venne a mancare l’impulso della forza teorica e organizzativa del suo attivissimo e geniale promotore, e della marcia del 1961 si persero i più radicali contenuti politico-sociali che l’avevano caratterizzata, istituzionalizzandosi, nella gestione politica dei successivi promotori sempre più di area cattolica, come rito genericamente pacifista, compatibile con i governi di tutte le stagioni. Nell’attuale stagione della schiavistica “resilienza” predicata dal potere oligarchico ai sudditi ribelli e volontari, a esorcismo dei pericoli di una “resistenza” sociale e politica delle classi subalterne vecchie e nuove (ma le reazioni operaie si stanno moltiplicando, con nuove tendenze a una ricomposizione di classe), è oggetto di “resilienza” anche il passato storico, da adattare alle esigenze di un presente che in nome di retoriche e non credibili “transizioni” a debito sta opponendo le virtù criminali di un ordocapitalismo malthusiano (la “grande riforma”) alla crisi profonda di un sistema politico-economico monarchico, cattolico e gestito dalla finanza internazionale. A ognuno la propria storia.

 

 24 settembre 1961
Nel corso del 1959 Capitini comincia a rielaborare la sua lunga esperienza dell’antifascismo, per testimoniarla e documentarla, convinto che nell’Italia del boom economico e del consumismo dilagante sia necessario trasmettere ai giovani conoscenze e informazioni. La destra fascista è di nuovo presente e attiva, soprattutto tra gli studenti universitari e nei licei, e si stanno stringendo i rapporti tra la Dc e il Msi; a sinistra, l’esaltazione del solo momento della lotta armata nel 1943-’45, certo fondamentale, rischia di far dimenticare i lunghi anni di preparazione della Resistenza. I percorsi storici sono piú lunghi e complessi. Nel gennaio 1960 pubblica sul «Ponte», la rivista fondata da Calamandrei a cui collabora dal 1945, un primo articolo di bilancio storico, La mia opposizione al fascismo, seguito da un secondo articolo, Gli anni della grande speranza, nel numero di dicembre. Negli anni successivi terrà aperto questo prezioso “cantiere della memoria”, fino a ricostruire nel volume Antifascismo tra i giovani (Trapani, Célèbes, 1966[1]) un quadro organico della cospirazione antifascista e del liberalsocialismo dagli anni trenta alla Liberazione, all’immediato dopoguerra: una miniera di informazioni puntuali su persone, collegamenti, idee.

Il 1960 è un anno di ripresa politica della sinistra in Italia: le giornate di luglio contro il governo Tambroni (Dc-Msi) vedono una forte mobilitazione antifascista dei giovani; in Parlamento si stanno creando le condizioni per il primo governo di centro-sinistra, e il Psi torna a svolgere un ruolo importante. In Europa e negli Stati Uniti crescono i movimenti contro il pericolo della guerra atomica, mentre sia gli Stati Uniti che l’Unione sovietica moltiplicano i test nucleari. A Londra Bertrand Russell promuove sit-in e marce contro la guerra nucleare. I due blocchi, atlantico e sovietico, schierano missili e truppe. Nel 1962 il confronto militare rischierà di trasformarsi in conflitto, in occasione della “crisi dei missili a Cuba”. In questo clima politico Capitini comincia a organizzare una “Marcia della pace per la fratellanza dei popoli” che si svolge domenica 24 settembre 1961 attraverso la campagna umbra, da Perugia ad Assisi. La concepisce come assemblea popolare in cammino, aperta a tutti ma senza bandiere di partito, preparando con il suo gruppo di Perugia le parole d’ordine, i cartelli, il testo della mozione che sarà deliberata alla Rocca di Assisi, al termine della marcia. «Marcia»: il termine è militare, marciano i soldati, si marcia in guerra. Il lessico viene rovesciato: si marcia in pace contro ogni guerra. Nell’estate del 1961 l’esito dell’iniziativa è incerto: Capitini ha invitato a partecipare tutti i partiti tranne i fascisti; hanno aderito i comunisti anche con il loro movimento dei “Partigiani della pace”, mentre i socialisti non sembrano garantire un impegno efficace; i democristiani e la gerarchia cattolica diffidano elettori e “fedeli” dal partecipare a una iniziativa “antiamericana e filosovietica” promossa per di più da un nemico dichiarato del confessionalismo cattolico che solo due anni prima, nel 1959, ha osato pretendere pubblicamente dall’arcivescovo di Perugia di essere cancellato dagli elenchi dei battezzati, non solo perché battezzato “a sua insaputa”, ma anche come atto di denuncia politica e religiosa della monarchia cattolica e delle sue continue ingerenze confessionali nella società italiana.

Il rischio è che l’iniziativa della “marcia della pace” risulti targata Pci, e Capitini, socialista libertario dagli anni trenta, diffida del tatticismo togliattiano e delle sue astuzie in nome della teorizzata e praticata “doppia verità”. Un appello alla partecipazione di Ferruccio Parri, Enzo Enriques Agnoletti e Walter Binni (8 settembre) sblocca la situazione, procurando una forte presenza di intellettuali e artisti (Italo Calvino, Franco Fortini, Renato Guttuso…) e dirigenti e militanti di area socialista e libertaria. Ma l’aspetto principale per Capitini è la partecipazione popolare a un’iniziativa dal basso di “diplomazia dei popoli” («la pace è troppo importante per lasciarla nelle mani dei governi», dice una delle parole d’ordine della marcia), in una bella giornata domenicale. Ed è nella grande e imprevista partecipazione popolare il vero successo: man mano che la marcia avanza verso Assisi, dai paesi attraversati dalla marcia si aggregano intere famiglie contadine, con l’abito della festa. La mozione finale, approvata dall’assemblea sulla Rocca, definisce i principi generali di una concreta strategia di pace: il superamento dell’imperialismo, del razzismo, del colonialismo, dello sfruttamento; l’incontro tra Occidente e Oriente; l’educazione alla pace «nei rapporti con tutti a tutti i livelli»; la nonviolenza come pratica attiva e rivoluzionaria, come lotta di liberazione da una realtà inaccettabile e costruzione di una nuova “realtà liberata”.

 

MARCIA DELLA PACE PER LA FRATELLANZA DEI POPOLI

(PERUGIA-ASSISI, 24 SETTEMBRE 1961)

MOZIONE DEL POPOLO PER LA PACE[2]

 

Il Centro di Perugia per la nonviolenza e il Comitato esecutivo della Marcia della pace per la fratellanza dei popoli, al popolo convenuto domenica 24 settembre 1961, a conclusione della Marcia svoltasi da Perugia ad Assisi, sul prato della Rocca, propongono di approvare i principî e le applicazioni concrete espresse nella seguente mozione:

PRINCIPÎ

Primo Nell’idea di «fratellanza dei popoli» si riassumono i problemi urgenti di questo tempo: il superamento dell’imperialismo, del razzismo, del colonialismo, dello sfruttamento; l’incontro dell’Occidente con l’Oriente asiatico e con i popoli africani che aspirano con impetuoso dinamismo all’indipendenza; la fratellanza degli europei con le popolazioni di colore; l’impianto di giganteschi piani di collaborazione culturale, tecnica, economica.

Secondo Per preparare la pace durante la pace è necessario diffondere nell’educazione e nei rapporti con tutti a tutti i livelli una capacità di dialogo, una sincera apertura alla coesistenza e alla pacifica competizione di ideologie e di vari sistemi politici e sociali, nel comune sviluppo civile, e affermare il lavoro come elemento costruttivo fondamentale.

Terzo La pace è troppo importante perché possa essere lasciata nelle mani dei soli governanti; è perciò urgente che in ogni nazione tutto il popolo abbia il modo di continuamente e liberamente informarsi, e sia convocato frequentemente ad esprimere il proprio parere.

Quarto Nel pericolo che la pace sia spezzata da una guerra immane, è urgente l’unione di tutti coloro che nel mondo sono disposti a resistere alla guerra.

 Quinto L’umanità è giunta al punto che è in grado di apprezzare altamente un tipo di educazione aperta, rinnovatrice delle strutture legate a privilegi e pregiudizi, una educazione eroicamente nonviolenta.

 

 

APPLICAZIONI CONCRETE

 

1 – Tutti nelle Nazioni Unite, e le Nazioni Unite per tutti: ciò significa che debbono essere accolti nelle Nazioni Unite, senza altri indugi, tutti gli stati usciti dalla guerra passata e dalle rivoluzioni successive, in modo da coinvolgere tutti nelle responsabilità, negli impegni, nei provvedimenti, negli aiuti ai paesi sottosviluppati, indipendentemente dagli interessi di un blocco o dell’altro.

2 – Disarmo totale controllato: ciò significa che deve procedere parallelamente lo sviluppo progressivo del disarmo e del controllo, cominciando con il disarmo immediato delle due Germanie e con la creazione di vasti spazi neutralizzati, particolarmente dove sono avvenute guerre ed esistono residui di pericoli, ed eliminando al più presto le varie basi missilistiche che attirano rappresaglie distruttive della popolazione inerme nell’Occidente e nell’Oriente.

3 – Cessazione degli esperimenti nucleari di qualsiasi genere volti a scopi non pacifici e convocazione di una conferenza di tutte le potenze non atomiche allo scopo di premere in tale direzione.

4 – Conversione della politica estera, culturale ed economica ad un deciso avvicinamento ai popoli non impegnati, affratellati dalle conferenze di Bandung e, più precisamente, di Belgrado.

5 – Diversa impostazione dei bilanci statali di tutti i paesi, ponendoli al servizio dell’assistenza, della scuola, e della elevazione civile di tutti.

6 – Massimo sviluppo di tutta la vita democratica dal basso in ogni Paese.

7 – Progresso dell’iniziativa collettiva e dell’aiuto reciproco tra i popoli per lottare contro le varie forme di sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

8 – Informazione periodica e popolare in ogni paese dell’Occidente e dell’Oriente mediante una permanente tribuna settimanale di politica internazionale alle Radio, aperta anche ai pacifisti e ai neutralisti.

9 – Scambi di migliaia di giovani lavoratori e di studenti tra tutti i paesi dell’Oriente e dell’Occidente per lunghi periodi.

10 – Stretta alleanza di tutte le forze pacifiste per una azione unitaria.

Il popolo, memore dei morti delle guerre e delle immense ricchezze sottratte per esse allo sviluppo civile, impegnato a dedicare la pace al bene proprio e dei figli in un mondo aperto ai più alti valori della coscienza e della scienza, esige da tutti i governi di smobilitare la guerra fredda, e di trattare immediatamente con animo di pace.

 

 

La pace di cui parla Capitini non è l’assenza di guerra, è lotta per un mondo liberato da una storia che gronda sangue e sopraffazione, in cui il libero sviluppo di ognuno sia garantito da assetti istituzionali veramente democratici, e il potere non sia di pochi ma di “tutti”, rovesciando dal basso la piramide sociale. Nella mozione di Assisi l’“omnicrazia” (il potere di tutti, più che democrazia, più che socialismo) che Capitini sta proponendo dagli anni del dopoguerra, e che ha sviluppato teoricamente in Nuova socialità e riforma religiosa[3] sulla base delle esperienze del liberalsocialismo degli anni trenta e dei Centri di orientamento sociale (prime esperienze di democrazia diretta) nell’immediato dopoguerra, si confronta con l’assetto internazionale del mondo nel periodo di massimo sviluppo dell’imperialismo e dei movimenti di liberazione dal colonialismo, dall’Algeria all’America latina; la sua prospettiva intende far incontrare, in una «rivoluzione aperta» e nonviolenta, le esperienze di democrazia diretta e le scelte strategiche dalle quali dipende il futuro dell’umanità; pochi giorni prima della marcia Perugia-Assisi, all’inizio di settembre, il movimento dei paesi non allineati con i due blocchi statunitense e sovietico hanno definito la loro strategia nella conferenza di Belgrado, con un ruolo fondamentale della Repubblica Popolare Cinese esclusa dall’Onu per il veto statunitense.

Dopo la marcia del 1961, attaccata dalla stampa di destra come manifestazione antiamericana e filosovietica, Capitini istituisce una Consulta per la pace che, sulla linea della mozione approvata ad Assisi, costruisca una rete nazionale di associazioni, Comuni, singole persone attive, ovunque sia possibile, intrecciandone le attività con quelle del Movimento nonviolento e delle sue relazioni internazionali. Il 18 marzo 1962 si svolge una seconda marcia della pace, sul confine tra Umbria e Toscana, da Camucia a Cortona.

Nel 1963 Capitini, con la collaborazione di Lanfranco Mencaroni, ex Pci su posizioni maoiste, definisce una piattaforma programmatica, Per una corrente rivoluzionaria nonviolenta, per sviluppare il movimento; il primo punto: «La situazione politica italiana presenta un vuoto rivoluzionario: i partiti stanno o su posizioni conservatrici o su posizioni riformistiche, prive di tensione e di forza educatrice e propulsiva nelle moltitudini. Cosí si va perdendo anche l’esatta prospettiva che pone come finalità decisiva della lotta politica il superamento del capitalismo, dell’imperialismo, dell’autoritarismo. Vi sono tuttavia delle minoranze che vedono chiaro, ma tali minoranze devono giungere ad un’azione organica nella situazione italiana, per cui, da una società dominata da pochi, si passi ad una società di tutti nel campo del potere, della economia, della libertà, della cultura». Nei quattordici punti successivi viene delineato un programma di transizione a una società socialista, oltre l’insufficienza del metodo leninista, costruendo strumenti di democrazia diretta e controllo dal basso. L’ultimo punto: «Nella politica internazionale attuale la nostra posizione è, oltre che di lotta per la pace – primo ed urgente obiettivo –, di pieno appoggio a tutti coloro che lottano contro il capitalismo, l’imperialismo, l’autoritarismo; di aiuto incondizionato ed immediato a tutti i popoli sottosviluppati da concretarsi in grandi piani di collaborazione; e nella diffusione dei nostri metodi nonviolenti per il raggiungimento dei fini comuni».

Quando Capitini parla di «minoranze che vedono chiaro» non si riferisce soltanto ai gruppi nonviolenti, ma soprattutto al clima politico della società italiana che si sta riaprendo dal basso: la rivolta degli operai Fiat a Piazza Statuto, nel 1962 a Torino, l’operaismo dei «Quaderni Rossi» del socialista Raniero Panzieri, il movimento degli studenti che si sta sviluppando all’interno delle Università per una loro «democratizzazione” attraverso la pratica delle assemblee.

Sulla linea della piattaforma Per una corrente rivoluzionaria nonviolenta Capitini fonda e dirige due strumenti di formazione e informazione politica: i periodici mensili «Azione nonviolenta» e «Il potere è di tutti», i cui primi numeri escono contemporaneamente nel gennaio 1964 e che si aggiungono alla pubblicazione (dal 1951) delle «Lettere di religione». In «Azione nonviolenta», sono approfonditi i temi piú specifici del movimento nonviolento, i suoi collegamenti internazionali, le sue iniziative locali; «Il potere è di tutti» è centrato sui temi della democrazia dal basso e della trasformazione politica della società; nelle «Lettere di religione» si approfondiscono le tematiche filosofico-religiose, con una sempre maggiore centralità della teoria della “compresenza”, l’unica vera religione di Capitini, la compresenza come visione e percezione della cooperazione di tutti, morti e viventi, nella creazione del valore dell’esistenza umana, oltre i limiti della condizione biologica, della pura e semplice sopravvivenza, e dei condizionamenti sociali, per una nuova “realtà liberata”.

 

[1] Volume riedito nella collana «Opere di Aldo Capitini», Firenze, Il Ponte Editore, 2018.

[2]Mozione del popolo per la pace, in A. Capitini, In cammino per la pace, Torino, Einaudi, 1962, pp. 47-49. È il testo approvato dall’«assemblea in cammino» dei partecipanti alla «Marcia per la pace e la fratellanza dei popoli» (Perugia-Assisi, domenica 24 settembre 1961) promossa e organizzata da Capitini, che nel volume del 1962 ne ricostruisce l’esperienza.

[3] Il volume, pubblicato da Einaudi nel 1950, è stato riedito nel 2018 nella collana «Opere di Aldo Capitini», Firenze, Il Ponte Editore, 2018.