Grillismodi Rino Genovese

Diciamoci la verità: era abbastanza naturale che per dare la mazzata decisiva a Matteo Renzi si dovesse passare per uno spostamento a destra dell’asse politico del paese. Quello che non ci si aspettava è che il grillismo avanzasse ancora, che crescesse in questa misura (ben sette punti in percentuale rispetto al 2013),  impedendo così qualsiasi ridistribuzione delle carte a sinistra. Sono andate male, non riuscendo a intercettare il voto in uscita dal Pd, sia le liste di “Liberi e uguali” sia quelle di “Potere al popolo” che prendono, a considerarle insieme, soltanto il quattro e mezzo per cento dei voti. L’elettore scontento di centrosinistra e di sinistra preferisce votare per i qualunquisti anziché per dei cartelli elettorali che sanno o di operazioni di ceto politico o di inguaribile minoritarismo. Peggio per lui, si potrebbe dire, se è così fesso da non saper vedere cos’è il qualunquismo – ma questo non sarebbe un modo di parlare politico.

Il punto è che sono bastati pochi anni a Renzi – un piccolo arrivista impossessatosi dell’ultima organizzazione di partito vera e propria esistente in Italia grazie al meccanismo perverso delle “primarie” – per trasformare il Pd in un partito centrista. La scissione è intervenuta troppo tardi (andava fatta già ai tempi del jobs act) e senza un’esplicita autocritica da parte del gruppo dirigente che l’ha promossa. Il magro risultato elettorale non è il frutto di un destino cinico e baro ma di un deficit di credibilità.

C’è però un’altra osservazione da aggiungere: è provato e riprovato che la sinistra in Italia non riesce a essere elettoralmente competitiva se non all’interno di una coalizione di centrosinistra. La si potrà chiamare in un altro modo, si dovrà – è diventato ormai imperativo – centrarla sulla questione sociale e su quella del Mezzogiorno (specialmente su quest’ultima se si trae la giusta lezione dalla marea grillina nelle regioni meridionali), ma si dovrà pure pensare di rifarla se non si vuole lasciare il governo del paese ai qualunquisti o alla destra.

Sembra adesso – è una conseguenza del successo fascioleghista – che il Pd e la piccola formazione alla sua sinistra debbano per forza di cose orientarsi verso un appoggio esterno a un governo Di Maio per impedire al grillismo di cercare una sponda a destra con Salvini. Non si può che preferire il qualunquista (figlio, per inciso, di un fascista matricolato) al fascista vero e proprio. È saggio andare in questa direzione, pur sapendo che un male minore è pur sempre un male. Ma Renzi e i suoi resisteranno fino allo spasimo a questa prospettiva per cercare di sopravvivere almeno come opposizione, visto che non ci sono riusciti come maggioranza.

In alternativa, si dovrebbe ritornare al voto non più tardi dell’autunno, cercando di archiviare per sempre Renzi e presentando un’alleanza elettorale competitiva. Lo so: qualcuno vorrebbe qualcosa di “più forte”, e potrebbe perfino preferire un governo grillino appoggiato dalla Lega – un qualunquo-fascismo xenofobo al governo del paese – per vedere l’effetto che fa (volendo citare una vecchia canzoncina del grillino eponimo Dario Fo). Ma sarebbe una iattura per noi tutti: ci avvicinerebbe all’Ungheria di Orbán. Più che spaventare l’Europa sarebbe un’ignominia per l’Italia.