di Rino Genovese
Intendiamoci: non è che un accordo tecnico tra il Pd e il cartello elettorale di sinistra che si prepara, per cercare di sbarrare la strada nell’uninominale ai candidati di una destra odiosa – unita a sua volta da un accordo di facciata –, non abbia un senso. Servirebbe tra l’altro a stoppare la campagna renziana per il cosiddetto voto utile, che di sicuro ci sarà nel caso di un mancato accordo a sinistra. E il cartello elettorale di cui sopra, anziché i venticinque deputati di cui al momento è accreditata potendo puntare a eleggere i suoi soltanto nella quota proporzionale, avrebbe forse una dozzina di seggi in più contrattati con il Pd nei collegi più sicuri dell’Emilia e della Toscana. Questo, ripeto, un senso ce l’ha. Ma se, com’è abbastanza facile prevedere, dopo le elezioni ci troveremo davanti a un parlamento in cui saranno possibili unicamente le larghissime intese (a parte la soluzione di ritornare a votare), beh, in questo caso per il cartello elettorale di sinistra sarebbe come volersi già prenotare per quelle intese. Sarebbe una posizione trasformistica. Un conto, infatti, è convergere – eventualmente – in parlamento, sulla base di un programma di governo chiaro, ammesso che sia possibile strappare qualcosa nel senso delle politiche sociali al blocco di conservazione berlusconiano-renziano che si profila; un altro è prendere già in partenza il biglietto per entrare in maggioranza. Chi ci crederebbe a sinistra? Intendo nell’elettorato. O Renzi è quella conservazione stessa o non lo è, tertium non datur. Se si pensa che Fassino & company (leggi: Franceschini) in extremis possano persuadere il segretario del Pd non soltanto a non essere arrogante ma a convertirsi a una linea politica differente da quella tenuta finora (che è una linea di sfondamento a destra, non riuscita ma perseguita con ostinazione) ci s’illude.