di Rino GenoveseMarine Le Pen

Non penso che vincerà, tuttavia la previsione è che Marine Le Pen arriverà molto in alto, superando ampiamente la soglia del quaranta per cento. La ragione è semplice. Se si mettono in sequenza i fatti della politica francese degli ultimi tempi, si vede che le condizioni per un’affermazione lepenista ci sono tutte: 1) il governo “di sinistra” di Hollande delude più di quanto qualsiasi sinistra di governo abbia mai deluso; 2) l’attacco terroristico alla Francia (in parte determinato dallo stesso bellicismo di Hollande nell’area iracheno-siriana, in parte imputabile alla questione interna postcoloniale) esaspera l’elettorato più conservatore; 3) il marasma di cui è preda il Partito socialista – con un Hollande costretto a ritirarsi dalla corsa per la riconferma, con delle “primarie” che consegnano la candidatura a un esponente della sinistra non sostenuto dall’apparato – ha spostato il suo elettorato sia verso il “voto utile” al centrista liberale Macron sia verso Mélenchon, paladino di una sinistra a tinte euroscettiche, non particolarmente affezionata al “fronte repubblicano” contro l’estrema destra; 4) la stessa affermazione di Macron, che dietro di sé non ha un partito strutturato ma solo l’appoggio di un misto di società civile bobo e di affarismo puro e semplice, lo colloca in posizione di continuità rispetto a un hollandismo deciso a non uscire di scena (in effetti, Macron presidente, privo come appare di una maggioranza parlamentare sua propria, sarebbe spinto a ritessere la tela con l’ala destra del Partito socialista); 5) l’implosione del sistema elettorale, che vede per la prima volta il partito erede della Francia gollista fuori dal secondo turno, con il ballottaggio tra il rappresentante di una politica “fai da te” e la discendente della Francia di Vichy abilmente rinnovata in chiave sovranista antieuropea; 6) l’assenza di leadership nella destra tradizionale che, anche in questo caso attraverso le “primarie”, ha scelto con Fillon il peggiore candidato alle presidenziali che mai abbia avuto, il cui appello finale a votare Macron (nella speranza di poterlo condizionare successivamente) è destinato a una presa piuttosto scarsa su un elettorato esasperato e deluso.

Come si vede, le condizioni ci sarebbero tutte per una clamorosa vittoria di Marine Le Pen, e la scelta astensionista di una parte dell’elettorato di sinistra, e di una parte forse maggiore di quello tradizionalmente gollista, potrebbe essere l’elemento determinante del successo, diciamolo francamente, di una donna affascinante e più simpatica del suo antagonista. Quali allora le ragioni per cui, alla fine, pur potendo vincere, non vincerà?

La prima è il suo stesso partito. Come ho avuto modo di sostenere altrove, il Front national è un partito fascista in transizione verso una sorta di peronismo di destra, ma nell’essenziale è ancora il partito di Le Pen padre, quello della fiamma tricolore ripresa dal Movimento sociale italiano, antisemita, razzista, omofobo, e così via. In un paese come la Francia questo non è facilmente perdonato. Inoltre – seconda ragione, più decisiva – l’elettorato di Le Pen è un elettorato rurale e popolare, quello dei perdenti nella fase attuale del capitalismo neoliberista, ma le città dei nuovi ceti emergenti (che a Parigi, a trenta o quarant’anni di età, possono già permettersi canoni di affitto da duemila o tremila euro al mese) sono in maggioranza social-liberali, aperte al multiculturalismo, non ostili all’Europa, ancorché seguaci della vecchia grandeur francese. Questa Francia non è pronta al salto nel buio lepenista e darà la palma a Macron.