Joseph Ratzingerdi Massimo Jasonni

È tornato in attività, nella Chiesa cattolica, il vulcano che erutta non un mero confronto tra persone, o tra autorità, ma un conflitto tra modelli di riproposizione del cristianesimo nel tempo della tecnocrazia. La cosa era risaputa, e non da poco, ma trasse un impulso decisivo dal pensionamento di Ratzinger, che costituiva fatto non isolato nella storia delle istituzioni ecclesiastiche e tuttavia significativo con l’elezione del nuovo pontefice. Non fu facile convincere l’opinione pubblica che l’esclusione di un teologo della portata di Ratzinger rientrasse nel disbrigo di affari correnti. È vero che il diritto canonico e il corso della teologia non escludevano quella possibilità, ma doveva trattarsi, comunque, di ragioni eccezionali, giustificabili solo in forza della salus Ecclesiae.

Ora Ratzinger scende di nuovo in campo, in occasione degli scandali rappresentati dagli abusi commessi dai chierici sui minori, e lo fa con l’autorevolezza di sempre: col timbro e con la penna che contraddistinsero i lavori di un’ermeneutica biblica di eccellenza e, più di recente, la lectio magistralis di Ratisbona1. Nessuno, in curia e fuor di curia, poteva mettere in discussione quel magistero, peraltro incisivo sui cammini e sui destini del Concilio Vaticano II.

Le parole dell’emerito sono uscite a stampa in modo confuso, giacché nemmeno è sicuro che si tratti di versione integrale, o non, del testo, e in veste apparentemente modesta: pubblicate o pubblicande su un mensile interdiocesano tedesco2. L’intitolazione stessa della rivista, «Klerusblatt», mostra, tuttavia, la propensione a un uditorio bavarese, anche laico, gelosamente memore del Kulturkampf e sensibile al peso che la tradizione assume per la fede cattolica. In ogni caso, il «Corriere della sera» lo acquisisce e lo divulga in data 11 aprile, quanto meno in parte essenziale, qui da noi3.

Cosa afferma il papa pensionato? Afferma che la pedofilia costituisce peccato certo grave in sé e per sé, ma anche fenomeno culturalmente radicato e comprensibile solo alla luce del più generale processo di degenerazione morale e sociale che ha investito la Chiesa e, con essa, l’Occidente cristiano. Il crimine non è penalisticamente circoscrivibile, perché si inserisce nel complessivo problema dell’incompatibilità fra tecnica e religione. Ratzinger non ricorre a citazioni, ma è chiaro che allude al funerale del sacro, su cui poetava Hölderlin, nonché a quella morte di Dio, e con essa di tutte le metafisiche, su cui rifletteva La gaia scienza. Il riflesso della voce di Nietzsche illumina in modo folgorante le cause del degrado etico e del vuoto normativo che stanno alla base di un collasso civile.

Con la globalizzazione prende piede, secondo Benedetto XVI, un andazzo che costringe sul piano etico la Chiesa al silenzio e che coinvolge, nella dissoluzione della morale cristiana, tutta la cultura europea. Ne discende un annichilimento dello spirito religioso e una riduzione del messaggio evangelico ad «apparato politico». Sul tema è impossibile non ripensare a Heidegger, laddove il friburghese delinea la genesi dell’oscuramento medievale dell’Essere, nel nome di un dio invano nominato; e ne vede gli effetti nella forma moderna e organica di politica cattolica che guadagna terreno con il gesuitismo4.

Il «collasso della teologia morale» fa il paio con la perdita del fondamento giusnaturalistico su cui poggiava la Tradizione. La morale è confinata «entro i meri scopi dell’agire umano». Il bene e il male, nella loro oggettività, scompaiono e prevale, forte dell’idea che il fine giustifichi i mezzi, la teoria secondo cui ciò che conta, eticamente, è «ciò che sul momento e a seconda delle circostanze è relativamente meglio». Qui il Nostro si sofferma: mostrando di condividere la critica dell’oscurantismo controriformistico, in forza del quale l’infallibilità della Chiesa riguarda non solo la fede, ma anche i costumi; per poi chiarire che, tuttavia, la fede richiede una «protezione giuridica» e che c’è «un minimo morale che è inscindibilmente connesso con la decisione fondamentale di fede che deve essere difeso». Il quadro sottende, e radicalmente, il motivo dell’incarnazione e apre a una rilettura laica del pensiero cristiano.

Il Diritto, per primo, e la Morale, al suo fianco, declinano l’intollerabilità della formazione di «clubs omosessuali» nei seminari e l’indisponibilità di beni, quali l’integrità sessuale dei fanciulli.

Dalla notte dei tempi tornano alla mente pagine forti della gnosi cristiana: vi rimbomba l’eco dei sermoni con cui Eckhart preconizzava l’abbandono di Dio e la solitudine immedicabile dell’uomo. Il raccordo con il discorso di Ratisbona è evidente, specie laddove Ratzinger si fa apocalittico nei toni e nei contenuti. Ma c’è un qualcosa di più: ci riferiamo, per esempio, alla morte di Böckle, nei primi anni novanta, presentata come volontà del «buon Dio». Böckle era in allora una delle punte di diamante di quella teologia morale tedesca, che aveva guadagnato lustro ed era salita di grado nelle gerarchie ecclesiastiche e nelle cattedre universitarie per avere avversato il magistero “tradizionalista” di Wojtyla.

Ciò su cui Ratzinger insiste, e pare non consentire, nella sostanza, a ripensamenti, riguarda il motivo della deellenizzazione: il tracollo del giusnaturalismo trae spunto da una scissione tra teologia cristiana e spiritualità classica che produce effetti nichilistici nel rapporto tra l’uomo e i suoi simili e, in definitiva, tra uomo e mondo. Basterà leggere “Essere”, laddove Ratzinger scrive “Dio”, per trovare conferma dell’influenza di Heidegger e, prima ancora, della potente attenzione riservata a Spinoza: se è vero che natura idest Deus, che il mondo, quale ci appare, coincide con Dio, la morte del sacro fa tutt’uno con la distruzione della natura. Anche il degrado della politica, resa schiava della prepotenza delle forze economiche multinazionali, rientra a pieno nell’éthos dell’invivibilità: l’uomo non pensa, non cerca, entro la sua propria temporalità, un rapporto con la ciclica stabilità dei ritmi di natura, si perde.

Chi scrive si guarda bene dall’entrare nelle segrete dei palazzi pontifici, né è mosso anche solo dal più pallido desiderio di percorrere corridoi vaticani. In quelle mura e per quelle vie tutto concorre al fine di velare (meglio sarebbe a dirsi nascondere) le problematiche di cui sopra. Si vuole sostenere che non vi è contrasto, e nemmeno dialettica interna; che non vi è divergenza tra modelli di evangelizzazione. Ma così non è, perché il Postmoderno esclude ogni spazio alla risorgenza di una morale cristiana: è esso stesso, nella sua prepotente invadenza, che getta alle ortiche le vischiosità clericali e chiama all’appello in modo intransigente.

Qui interessa, invece, la lettura che la cosiddetta cultura laica ha dato dell’intervento ratzingeriano.

Davvero singolare è che si sia focalizzata l’attenzione sugli aspetti strategici (rectius: tattici) intraecclesiali, trascurando il merito del problema. Così è che ci si è rammaricati che l’ex pontefice abbia rotto il silenzio per intervenire su un terreno scottante, foriero di confusioni e potenzialmente offensivo della maestria con cui il papa in carica si era mosso. Per questa via si è creduto di poter ridurre un urto radicalmente teologico alla banalità dell’ennesima lite tra Lega e M5S. E si è posto in soffitta il dogma cristiano del dovere di non tacere.

Non dandosi pace del novello Meister Eckhart, inusitatamente redivivo sulla scena, qualche opinionista ha addirittura formulato l’ipotesi della firma falsa sul documento; qualche altro, patentato vaticanista, ha avanzato il sospetto di un complotto contro Francesco, immaginato persino ignaro della performance del collega. Ora siamo davvero al risibile o, se si preferisce, alla conferma della validità dell’adagio salveminiano secondo cui la nostra è una repubblica papalina: atteso che la firma sull’atto pare autografa, che l’autore non ne ha sconfessato la paternità e che lo scritto appare ictu oculi di pugno di Joseph Ratzinger. I tratti sono quelli, la punteggiatura è quella, l’appartenenza al grande flusso del pensiero tedesco, piaccia o dispiaccia, è sempre e sicuramente quella. Vi traspare un’anima che appassionatamente si affida all’insegnamento di Anselmo e di Abelardo, secondo cui fides quaerit intellectum. La ragione dei moderni non può non trarne lumi per recuperare l’antica sophía e rendere la nostra vita, così sia, moralmente e politicamente degna di essere vissuta. Lo spegnimento della fiaccola della fede comporta, oggi, il sonno della ragione.

Altra accusa che la pubblicistica laica muove all’impostazione critica di Ratzinger sta nell’attribuzione di tutte le colpe al Sessantotto. Riduzione insostenibile, ritenendosi impensabile che ogni male connesso al disordine sessuale possa essere imputato a quel fatidico anno della contestazione studentesca. In realtà, insostenibile è la polemica, poiché essa omette di considerare che il teologo cita di sfuggita il Sessantotto, per dilatare l’analisi a tutto l’arco che va dai primi anni sessanta alla fine degli anni ottanta. È quello stesso arco che aveva di mira Pasolini quando stigmatizzava il consumismo e ne focalizzava gli effetti nei termini di una devastante «mutazione antropologica».

Le querelles teologiche non sono di secondaria importanza, come ricordava – non a caso citato con cura – Romano Guardini. Per dirla con Marx, esse confluiscono nella Politica, giacché la critica del cielo si traduce, in realtà, in una critica della terra.

Non si parla, dunque, di questioni astrattamente metafisiche, o di sesso degli angeli; né tanto meno si parla di ovvietà confinabili nell’opposizione tra destra e sinistra, tra ritenuta conservazione o autoproclamata innovazione. Più semplicemente la lettura di Ratzinger ci trascina entro quel dramma degli esiti ultimi dell’umanismo moderno che mercificano le esistenze e prospettano venti di guerra.

1 Cfr. il Discorso del Santo Padre su Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni, tenuto in occasione dell’Incontro con i Rappresentanti della Scienza, Regensburg, 12.09.2006, ora reperibile on-line al seguente indirizzo: http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2006/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20060912_university-regensburg.html.

2 Cfr. P. Rodari, Ratzinger: preti pedofili a causa del ’68, «la Repubblica», 12.04.2019.

3 Per il testo integrale cfr. Papa Ratzinger: la Chiesa e lo scandalo degli abusi sessuali, «Corriere della sera», 11.04.2019.

4 M. Heidegger, Quaderni neri 1938/1939 [Riflessioni VII-XI], Milano, Bompiani, 2016, pp. 428-429.