Orwelldi Mario Monforte

Ricordate 1984 di Orwell? È piú illuminante di tanti tomi di dotte elucubrazioni. L’apparato statale addetto alla repressione di ogni dissenso interno era detto «ministero dell’Amore»; quello addetto alla guerra permanente, «ministero della Pace»; quello addetto al controllo di cibo e beni e loro distribuzione, dandoli con il contagocce al popolo, «ministero dell’Abbondanza»; quello addetto alla falsificazione e manipolazione, «ministero della Verità», che riscrive, modifica, cancella storia, eventi e protagonisti, ed elimina dalla lingua le parole negative o pericolose per l’«ordine costituito», o le sostituisce con altre neutre.

Non sta diventando cosí questa nostra Italia, sotto i proclami e i discorsi della “classe politica”, e l’opera permanente dei professionisti della menzogna (mediatici e del sistema della formazione)?

I nomi dei partiti sono foglie di fico che coprono tutt’altro, o l’opposto. La crisi è una sorta di fenomeno naturale: si deve dire «recessione» o meglio «ripresa lenta». L’appropriazione di masse di surplus sociale (schiaffo in faccia ai piú che arrivano a fatica a fine mese e ai tanti che non ce la fanno) è dichiarata legittima per le cosiddette retribuzioni, liquidazioni, pensioni di manager (privati, statali, semistatali) e per le prebende della classe politica e degli addetti agli apparati statali. La subordinazione dello Stato italiano (imposta all’intero paese) a Usa, Nato, Ue-Bce, Stato germanico, organismi internazionali, è detta «trattati di alleanza», «vincoli internazionali», «trattati europei», «l’Europa ci chiede» – rimandando a una fantomatica comunità internazionale. Le guerre a cui partecipa lo Stato italiano, come supporto agli Usa, sono denominate «operazioni umanitarie», o «di pace», o di «affermazione della democrazia» unita ai «diritti umani», o al piú di «polizia internazionale». La macelleria mondiale, aperta, retta e gestita da Usa-potenze maggiori-grande capitale transnazionale, è detta «globalizzazione» – beninteso, dalle «esigenze ineludibili». La macelleria sociale interna, che elimina o striminzisce i diritti acquisiti con dure lotte, è detta «modernizzazione» e i provvedimenti che colpiscono la società, mentre accentrano in modo autoritario la gestione del potere statale, sono chiamati «riforme» – dette ovviamente «indispensabili» e spesso «storiche», perché ormai tutto ciò che fa il governo è «storico». Le iniziative, rivendicazioni, proposte a favore della grande maggioranza della popolazione sono dette «populismo» – presentandolo come demagogia e inganno, quasi nazifascismo.

Fermiamoci qui, anche se si potrebbe estendere molto di più questo elenco di “imbrogli linguistici”, di “mistificazioni lessicali”, che funzionano, perché con le parole si “mette in forma” il pensiero e le “bugie” ripetute cinquanta volte e piú (Goebbels lo teorizzò fra i primi) diventano “verità” – o funzionano finché non si smascherano e si contrattacca, senza rispetto per ipocrite “regole formali”.

Va però rilevato ancora un “parto” del maggior protagonista mediatico di questi tempi. Non poteva mancare, esperto com’è nell’elargire promesse accattivanti e nel dire una cosa e fare l’opposto. Renzi (e dalla Cina!) ha dato il suo contributo: «basta parlare di delocalizzazione [di industrie e lavoro], bisogna parlare di internazionalizzazione».

Siamo a posto: non c’è delocalizzazione e non c’è perdita di autonomia (dall’alimentazione alla produzione tecnologicamente avanzata). C’è l’«internazionalizzazione». Si può stare tranquilli di fronte alla desertificazione produttiva (industriale e agro-alimentare) di intere regioni e aree. Alla disoccupazione, sottoccupazione, inoccupazione c’è la risposta: «si farà meglio». Contro l’avanzante e avanzata trasformazione del paese in “pontone” a disposizione (geo-strategica, politica, economica, militare) altrui; contro la distruzione e devastazione sociale e culturale c’è l’«internazionalizzazione» della «globalizzazione», che è la modernità e quindi il «progresso». Io speriamo che me la cavo.