di Marcello Rossi
Silvio Berlusconi torna in primo piano e questa volta per la carica più prestigiosa della Repubblica. Nell’ottobre 2008 scrivevamo: in Berlusconi l’italiano medio ritrova se stesso: poca cultura, assenza di grandi ideali sociali, una buona dose di qualunquismo e di cinismo, e, nella difesa della “roba”, un comportamento mafioso e una furbizia creativa. E il centrosinistra resta a guardare, stordito dai molti consensi – un quarto dell’elettorato – che Berlusconi riesce a mettere insieme. Poco importa che questo successo sia realizzato contro la Costituzione e contro le leggi ordinarie: la nuova regola è che il consenso di per sé lava ogni bruttura e dà diritto a governare.
Tredici anni dopo sembra che il consenso dei parlamentari e dei delegati regionali chiamati a eleggere il nuovo presidente della Repubblica lo si possa raggiungere ancora una volta senza tener conto di quell’articolo 54 della Costituzione che recita che i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore.
Disciplina e onore: due concetti che non riflettono il modus agendi di chi – tra le sue molte imprese di dubbia onorabilità – introdusse il bunga-bunga a Palazzo Chigi, costrinse i suoi peones a sostenere in Parlamento che una giovanissima prostituta marocchina era la nipote di Mubarak e che delle molte virtù della Merkel aveva notato solo l’eccessivo fondoschiena. Cose di poco conto, penserà qualcuno. Certo, cose di poco conto rispetto a una condanna passata in giudicato.
Di fronte a questi misfatti io credo che Berlusconi candidato alla presidenza della Repubblica sia solo un diversivo anche per la destra della Meloni e di Salvini per proporre poi, al momento opportuno, un altro candidato: forse Casini, che è uomo di destra ma che ultimamente è stato eletto a Bologna con il consenso determinante del Pd: il politico buono per tutte le stagioni, il re travicello della situazione.
I talk show televisivi, che sono ormai il punto di riferimento della politica, con i loro sondaggi propongono a presidente della Repubblica Mario Draghi ma l’alta finanza – vedi il «Financial Times» e l’«Economist» – vorrebbe che Draghi restasse alla presidenza del Consiglio e pour cause: è molto più facile fare una politica liberista da presidente del Consiglio che da presidente della Repubblica. Comunque Mario Draghi, colui che finora ha guidato il “governo dei migliori” – che i greci, e poi non solo loro, chiamavano “aristocrazia” e non “democrazia” –, ha molte probabilità di essere eletto presidente della Repubblica perché tra i possibili papabili sembra avere più frecce nella sua faretra.
Draghi presidente indurrebbe a nuove elezioni? Assolutamente no. Il nuovo presidente chiamerebbe alla presidenza del Consiglio una persona di sua fiducia (Franco o Cartabia?) e così, per quanto indirettamente, ma non troppo, manterrebbe anche la direzione del governo. Finalmente si aprirebbero le porte a quel presidenzialismo all’italiana tanto caro alla destra, e i liberisti europei si sentirebbero rassicurati da questo Giano bifronte della politica italiana.
E la sinistra? Facciamo finta che la sinistra esista. Il Pd – che in molti ancora si ostinano a credere che sia un partito di centrosinistra – insieme ai cespugli che gli ruotano intorno sostiene per bocca del suo presidente che il nuovo presidente della Repubblica va cercato tra i politici e deve uscire da un accordo di tutti i partiti perché, secondo l’articolo 87 della Costituzione, rappresenta l’unità nazionale. Non sarà un’operazione facile trovare un politico che abbia queste caratteristiche: o si ricorrerà a Draghi, ritenuto ormai “il migliore”, ricadendo in ciò che dicevamo sopra, o si giocherà al ribasso e si sceglierà una persona che, per la sua inconsistenza politica, non disturberà le forze in campo.
Ma perché per scegliere la più importante carica dello Stato ci si deve rivolgere solo alla casta dei politici? Io, per una scelta corretta, ricorrerei a quel “dovere” dell’articolo 54 della Costituzione – disciplina e onore – e aggiungerei “cultura”, e comincerei a guardare prima tra gli esperti di diritto costituzionale, poi tra gli economisti e da ultimo tra i filosofi e i letterati perché per rappresentare l’unità nazionale occorre molto di più di un’appartenenza politica.
E quello che mi sembra fondamentale è che il nuovo presidente senta, per la sua disciplina, per il suo onore e per la sua cultura, che la Repubblica italiana è nata da quella lotta di popolo contro il nazifascismo che si chiamò Resistenza. Mi piacerebbe sentir dire con Calamandrei: ora e sempre Resistenza.