di Luca Baiada

Una pronuncia della Cassazione dà nuove possibilità all’esecuzione forzata sui beni di uno Stato estero[i]. Le condanne ai risarcimenti a carico della Germania, per stragi e deportazioni, si susseguono da anni e sono eseguibili; l’ultima è di agosto, del Tribunale di Brescia, per oltre un milione di euro[ii]; la realizzazione effettiva dei crediti è sempre più urgente. E poi ogni orientamento della giurisprudenza, su questo, potrebbe riguardare la guerra mondiale come crimini molto più recenti. Sono delitti di Stato anche i casi di Giulio Regeni e Andrea Rocchelli.

La controversia che ha portato alla nuova decisione ha ancora alla base il credito di un ente greco per la strage di Distomo del 1944, con una sentenza emessa in Grecia e resa esecutiva in Italia nel 2006. Siamo di fronte a un altro ramo del contenzioso che ha riguardato la Villa Vigoni, a Como, deciso l’anno scorso in senso sfavorevole ai creditori, ma per motivi che riguardano solo quel bene[iii]. Identico è il credito, diverso l’oggetto su cui i creditori tentano di eseguirlo. Incidentalmente va ricordato che l’assoggettamento della Villa all’esecuzione è stato escluso in modo non definitivo: in quel processo non c’è stato un esame sul merito del Deutschlandvertrag e dell’Accordo di Londra.

Adesso, invece di un’esecuzione immobiliare c’è un pignoramento presso terzi: i crediti delle ferrovie tedesche nei confronti di quelle italiane. Chi compra in Italia un biglietto per la Germania paga qui tutto il viaggio; periodicamente Berlino riceve quello che spetta, ma prima del versamento l’importo è aggredibile. Se i creditori riescono a perfezionare il procedimento, RFI e Trenitalia devono versare il denaro ai familiari delle vittime, invece che alle ferrovie tedesche. È lo stesso principio del pignoramento di uno stipendio o di una pensione, contro un debitore che non arriva a fine mese. Ma non piace alla Germania, che ha mezzi di difesa più robusti di un pensionato.

La nuova pronuncia della Cassazione contribuisce alla tutela dei privati creditori degli Stati.

Anzitutto c’è un’osservazione valorizzabile anche per il futuro. Per apprezzarla va tenuto conto che la Corte internazionale di giustizia il 3 febbraio 2012 (la Germania si era rivolta all’Aia anche a seguito dell’ipoteca su Villa Vigoni) aveva ribadito l’immunità statuale nella sua massima estensione. Ma quale fu, all’epoca, l’effetto della decisione nel diritto italiano? La Cassazione:

La sentenza della Corte internazionale di giustizia non vincola direttamente, siccome resa in una controversia tra soggetti di diritto internazionale quali due Stati sovrani (quali la Repubblica federale tedesca e la Repubblica italiana, con intervento volontario di un terzo, la Repubblica ellenica), né i soggetti, né gli organi, tra cui quelli giurisdizionali, di cittadinanza di uno di quelli, essendo gli uni e gli altri assoggettati soltanto alle norme di diritto interno o nazionale: tant’è vero che è stata necessaria una legge di recepimento[iv].

La Cassazione sta dicendo che fu la legge 14 gennaio 2013 n. 5, «Adesione della Repubblica italiana alla Convenzione delle Nazioni unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni», a stabilire quell’ingresso in Italia degli effetti giuridici delle decisioni dell’Aia. Prima della legge del 2013, quindi, in Italia la decisione dell’Aia non legava le mani ai giudici, che potevano considerarla come una delle interpretazioni possibili del diritto internazionale, nulla di più. Si tenga conto anche che alla Corte internazionale non si era discusso di crediti della Repubblica italiana, eppure aveva potuto interloquire solo l’Avvocatura dello Stato, non la difesa dei creditori nei confronti di Berlino.

Malgrado questi buoni motivi per non sentirsi condizionati, in quell’anno da febbraio 2012 a gennaio 2013 nessuna pronuncia italiana si discostò dalla decisione dell’Aia. All’epoca pendevano ancora persino processi penali, ma la Cassazione si adeguò:

[L’orientamento favorevole ai creditori] non è stato, o non è stato ancora, fornito della necessaria condivisione, e […] per questa ineluttabile considerazione, non può essere portato ad ulteriori applicazioni. […] In avvenire il principio del necessario ritrarsi della immunità per gli Stati che agiscano jure imperii quando l’azione incida sui diritti individuali di rilievo primario per i cittadini [può] essere in tutto o in parte acquisito dalla comunità internazionale. Ma allo stato ciò non è[v].

Davanti alla giustizia militare l’esito fu altrettanto allineato:

La Corte militare di appello ritiene che, così come richiesto dal responsabile civile [la Germania], occorra senza dubbio adeguarsi alla decisione della Corte internazionale di giustizia: questa Corte, d’altro canto, ha già in precedenza considerato «in modo positivo la circostanza che la Corte internazionale di giustizia, adita dalla Germania il 23 dicembre 2008, possa risolvere ogni controversia sulla questione» (cfr. Corte mil. app., 26 aprile 2011, Albers) e sarebbe adesso certamente incoerente non attenersi a quanto è stato appunto deciso in tale sede internazionale[vi].

Poco prima, uno studio del Consiglio della magistratura militare aveva sostenuto che la decisione dell’Aia corrispondeva a una regola internazionale, così solida da preesistere alla Costituzione e da aver ricevuto valore cogente dal suo art. 10: «Ne deriva che quella regola è stata recepita nel nostro ordinamento nella sua interezza; e che, rispetto ad essa, non si pone, né si può porre, la questione di compatibilità con il nostro sistema costituzionale»[vii].

Nel 2012, in Cassazione adeguarsi è ineluttabile, per la giustizia militare discostarsi è incoerente e un dubbio di costituzionalità non si pone né si può porre. Giustizia, niente. Poi, invece, arrivano le ordinanze di rimessione del Tribunale di Firenze e la sentenza della Consulta. Sono da considerare benvenute, per aprire gli occhi chiusi; ma quest’anno si impara che prima del 2013 la pronuncia di incostituzionalità non era indispensabile: con uno scatto di coraggio si poteva ancora condannare la Germania.

Resta il fatto che, in linea generale, per la Cassazione quell’ingresso delle decisioni dell’Aia nel diritto italiano non deriva da altre norme, neppure dall’art. 10 della Costituzione. Bisogna ricordarlo. Se anche – a volte si è sentito dire – la Germania ricorresse di nuovo all’Aia, e riuscisse a ottenere una seconda pronuncia favorevole, la decisione della Corte internazionale non vincolerebbe i giudici e non avrebbe effetto per i cittadini. Se poi vi fosse un ulteriore atto legislativo italiano per dare forza nel diritto interno ad affermazioni inaccettabili, sarebbe incostituzionale.

Nella nuova decisione della Cassazione – tenendo presente che dopo la sentenza n. 238 del 2014 della Corte costituzionale c’è giurisdizione, in Italia, per «atti di uno Stato straniero che consistano in crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona» – va segnalato un nuovo argomento in favore di questi crediti:

I giudici italiani, sia quelli investiti del giudizio di cognizione che quelli incaricati dell’esecuzione dei titoli giudiziali legittimamente formati in base alle regole di rito, hanno il dovere istituzionale, in ineludibile ossequio all’assetto normativo determinato dalla sentenza n. 238 del 2014 della Consulta, di negare ogni esenzione da quella giurisdizione sulla responsabilità altrove riconosciuta che fosse invocata davanti a loro, tanto nella sede propria del giudizio di cognizione o di delibazione della sentenza straniera, quanto nella sede […] dell’esecuzione forzata fondata su questa[viii].

Insomma, gli effetti della sentenza del 2014 riguardano sia il processo di cognizione che quello di esecuzione. È la posizione di Giuseppe Tesauro, presidente ed estensore nella sentenza della Consulta del 2014, in un convegno al Senato, Stragi e deportazioni nazifasciste: per la giustizia e contro l’ambiguità, a tutela dei creditori: «Se hanno il diritto riconosciuto dall’ordinamento ad avere una soddisfazione, nel caso di specie un risarcimento del danno, che se ne fanno, lo mettono al muro, lo mettono lì, fanno un bel quadro di questo diritto, per guardarselo, oppure possono farlo valere davanti a un giudice?»[ix].

La decisione della Cassazione non esamina la questione dell’esistenza di una remota rinuncia dello Stato tedesco al divieto di esecuzione sui suoi beni. Si tratta degli Accordi del 1952-1954 sulla transizione della sovranità alla Germania (Ãœberleitungsvertrag, detto anche Deutschlandvertrag), e precisamente dell’Accordo per il regolamento delle questioni derivanti dalla guerra e dall’occupazione, parte sesta, artt. 1 e 3. Al tema vanno connessi gli effetti dell’Accordo sui debiti esteri tedeschi, Londra 27 febbraio 1953 (Agreement on German External Debts – Abkommen über deutsche Auslandsschulden o LSCHABK, Londoner Schuldenabkommen), ratificato in Italia con dpr 30 dicembre 1965 n. 1712.

L’Accordo di Londra è uno strumento giuridico ancora vigente, che purtroppo la decisione dell’Aia del 2012 non cita mai, benché in quel processo fosse menzionato in almeno quattro atti, fra cui quello dei giudici Kenneth Keith e Christopher Greenwood. Per l’autorità giudiziaria italiana l’Accordo di Londra è esaminabile d’ufficio; del resto il Tribunale di Roma l’ha ricordato nell’ordinanza 19 giugno 2017, dep. 22 giugno 2017 (causa G.C. e L.C. c. RFT). E l’ha invocato il Tribunale di Brescia, nell’ordinanza del 25 luglio 2011 con cui si è rivolto alla Corte di giustizia dell’Unione europea per una pronuncia pregiudiziale; ma in quel caso la Corte (ordinanza 12 luglio 2012, causa C-466/11, G.C. e altri c. RFT) si è dichiarata incompetente e non l’ha esaminato. All’Accordo ha fatto riferimento anche la Corte europea dei diritti dell’uomo: ANRP c. Germania, 45563/04, 4 settembre 2007, e Sfountouris c. Germania, 24120/06, 31 maggio 2011, in quest’ultimo caso citando una decisione del Bundesgerichtshof del 26 giugno 2003.

Si tratta di un tema dirimente: con una rinuncia di Berlino al divieto di esecuzione, non occorre neppure porsi la questione se gli effetti della pronuncia della Corte costituzionale si estendano, oltre che al processo di cognizione, anche a quello di esecuzione.

La decisione di quest’anno, comunque, è un progresso significativo.

[i] Cass., terza sezione civile, 25 giugno 2019, dep. 3 settembre 2019, n. 21995.

[ii] Trib. Brescia 24 luglio 2019, dep. 3 agosto 2019, n. 2375.

[iii] Cass., terza sezione civile, 26 ottobre 2017, dep. 8 giugno 2018, n. 14885.

[iv] Cass., terza sezione civile, 25 giugno 2019, cit., par. 14.

[v] Cass., prima sezione penale, 30 maggio 2012, dep. 9 agosto 2012 n. 32139, imputati Albers e altri, p. 18.

[vi] Corte mil. appello 26 ottobre 2012, dep. 10 dicembre 2012 n. 107, imputati Winkler e altri, p. 120.

[vii] Consiglio della magistratura militare, Comitato scientifico, studio trasmesso con delibera 4 giugno 2012, p. 6.

[viii] Cass., terza sezione civile, 25 giugno 2019, cit., parr. 22 e 23.

[ix] https://www.youtube.com/watch?v=gpDYeJPX4gU.