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Kéramos

20,00 

Massimo Jasonni

Kéramos – Scritti per Il Ponte

336 pagine

EAN: 9788888861586

SKU: 01061586

Il vaso, la brocca o, piú in genere, qualsiasi recipiente è, nella lingua greca antica, kéramos: nome certo riferibile all’oggetto di comune uso domestico, ma attribuibile anche, in forza di tradizioni popolari avvalorate da piú fonti, a un dio.
L’apparente contraddizione conferma l’ambivalenza del motivo religioso nell’orizzonte primigenio e l’attitudine del mondo pagano a contemperare temi sacri e realtà profane, valori assoluti e abitudini quotidiane. La lezione è grande, e l’uomo contemporaneo è chiamato a non perderne il senso: il vaso, invero, non esaurisce la sua ragion d’essere nella funzione di raccolta di liquidi, ma costituisce oggetto in sé prezioso, degno della mensa degli dèi.
Artigianato e arte, in quest’alba radiosa dell’Occidente, corrono di pari passo: il vasaio, modellando la creta, si fa custode di una risalente narrazione, per poi imprimere rinnovata fantasia nella scelta dei tempi e dei modi di cottura della materia prima. Eleganza delle linee, cromatismi prescelti e disegni diversamente elaborati definiscono un’opera in cui la terra – divenuta vera e propria ceramica – racconta usi e costumi della gente, canta miti e leggende, intreccia i destini degli dèi e degli eroi. Né si tratta di mero uso casalingo, perché kéramos – “sua maestà” il vaso – viene accuratamente collocato sulle tombe e parla, auspice un fruscio di vento tra le fronde, l’immortale linguaggio della pietà per i defunti. Cosí è per il Kerameikós, necropoli interna a quel demo ateniese delle officine dei vasai, che si diffonde oltre l’Acropoli e lungo l’Eridano: luogo di sepoltura che prende appunto il nome, per Pausania, dalla figura mitologica di Kéramos, figlio di Dioniso e Arianna. Cosí la memoria non si arrende alla ferrea legge del tempo e testimonia di quell’imperituro legame tra le generazioni che Capitini definiva «compresenza».
Vasi di fiori, ancora, e libagioni ravvivano templi e oracoli, propiziando il favore delle divinità e ancorando ciò che è destinato a perire all’idea dell’eterno ritorno inscritto nel ciclo delle stagioni e nei ritmi della natura.
La cura con cui l’uomo, raccogliendo le acque piovane, lenisce la propria e l’altrui sete è, di per sé, sacra: perché in quelle acque di provenienza celeste sono già impressi, in qualche modo, il flusso delle sorgenti, lo scorrere dei fiumi, la vastità del mare. Sacro è il gesto che ne ripete il ritmo, all’atto del porgere la bevanda al commensale: istituendosi, tra il primo e il secondo, rapporto analogo a quello che intercorre tra opinioni dei mortali e disvelamento della verità, nel pensiero parmenideo, e tra esperienza giuridica ed eticità, nella concezione socratica della legge. Né si parla solo di acqua, ma anche del nobile liquore che ha per nume tutelare il padre di Kéramos: Dioniso, dio della vite e della sapiente trasformazione delle uve. L’antico dio della brocca, evocando cosí, nel nome del vino, ebrezza e trasgressione, dilata la sua primigenia natura di tutore dell’oggetto ceramico alla piú generale veste di nume dell’allegria. L’ordine ristretto e domestico delle cose conduce all’aperto: al tempo delle fiere, dei mercati e delle festività campestri.
«Il Ponte» ha rappresentato il luogo di “celebrazione”, in questi ormai ultimi miei dieci anni, di un festoso scambio tra amici di idee e di esperienze non solo politiche ma, come voleva Calamandrei, piú in genere culturali. L’evocazione di un orizzonte mitologico, già in sé energicamente proiettato nella filosofia, testimonia il personale debito di riconoscenza nei confronti della rivista. Con essa ho sempre condiviso l’idea della necessità di ritorno al classico, tanto piú in un’ora distratta e convulsa, quale quella in cui viviamo.
A Marcello Rossi devo anche, e da ultimo, la divisione del presente lavoro in quattro settori. Per pólis intendo, oltre alla dimensione attuale della politica, il polo, lo stadio di attrazione che può consentire all’uomo di emergere dalla palude, per guardare platonicamente piú in alto. Le belle lettere paiono oggi in via di estinzione a causa di un comportamento sociale patogeno che logora la parola e, in uno con essa, il pensiero: sta alla scuola e alla rifondazione radicale dell’Università il loro accurato, paziente, recupero e la loro riproposizione alle generazioni che verranno.

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