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Miccia corta

miccia cortadi Lanfranco Binni

Ora, mentre le truppe del Nazareno si preparano a scatenare la potenza di fuoco del «Fronte repubblicano» nel ridotto del Parlamento, e le oche del Quirinale hanno salvato il presidente della Repubblica per il rotto della cuffia, e il nuovo governo giallo-verde si insedia nelle stanze del potere, e Berlusconi minaccia di incatenarsi ai cancelli delle sue aziende, e il Movimento 5 Stelle esibisce i suoi temi più di “sinistra” (reddito di cittadinanza, lavoro non precario, riforma pensionistica, beni comuni, sviluppo sostenibile, lotta contro la corruzione, riforma della giustizia), e la Lega brandisce come clave i suoi ruggiti più di “destra” (presidenzialismo, riforma fiscale non progressiva e a vantaggio dei ricchi, comunitarismo di sangue, caccia agli immigrati “clandestini”, agli zingari, ai sovversivi dei centri sociali, alle Ong, omofobia, familismo cattolico), e i giornalisti dei media tradizionali e social proseguono il loro narcotraffico su temi superati dalla cronaca in attesa dei nuovi assetti di potere in cui posizionarsi o da infangare su committenza dell’opposizione Berlusconi-Renzi, non molti a “sinistra” e a “destra” sembrano aver capito la vera natura del cambiamento in corso, decisamente inedito e fuori dagli schemi post-novecenteschi della “democrazia liberale”. Anche se è innegabile che nello spazio ristretto dei palazzi del potere oligarchico si vadano riproponendo in forme inedite vecchi riti di una politica subalterna ai vincoli dell’economia e all’eterodirezione europea e atlantica.

Ora la tradizionale e persistente dinamica conflittuale tra sinistra e destra si trasferisce nell’area della nuova maggioranza di governo, lasciando in posizioni marginali e inefficaci il Pd con le sue ruote di scorta dai radicali a LeU, e il partito berlusconiano con cui peraltro la Lega continuerà a intrattenere sordidi commerci. All’interno della maggioranza parlamentare le posizioni diverse dei due contraenti del «contratto di governo» tenderanno inevitabilmente a entrare in conflitto in ragione delle caratteristiche diverse (interessi, culture) dei rispettivi elettorati. Perché è la forza degli elettorati del 4 marzo il vero dato nuovo del processo in corso; il loro voto ha contato davvero, e il tentativo di neutralizzarlo con l’esaurimento del disegno dei «forni», di forno in forno, il giro dei forni in più di 80 giorni, per approdare a un astuto governo tecnico del presidente della Repubblica, è clamorosamente fallito.

Nella notte del «populismo» tutte le vacche sono grigie, ma l’assimilazione del M5S e della Lega in un’esorcizzata e pretesa identità unitaria di estrema destra è una vera assurdità. Gli attuali gruppi dirigenti della Lega sono l’esito di una lunga esperienza di governo a livello nazionale e locale in cui tutto si è intrecciato, dall’oltranzismo securitario alla chiusura identitaria, dalle complicità con il berlusconismo alle pratiche corruttive, dall’odio per gli stranieri alla giustizia fai da te. Ma è innegabile che, nella crisi di un sistema politico ed economico che ha scaricato sulle classi subalterne le contraddizioni di problemi mai risolti (l’immigrazione, la precarietà, le crescenti povertà), abbia saputo intercettare settori significativi di elettorato popolare (operai, artigiani, piccoli imprenditori) anche da settori di antica tradizione Pci. La collera sociale di questo elettorato che i vari governi di destra e di “sinistra” hanno abbandonato alle magnifiche sorti e progressive delle banche e del mercato, e di un’Unione europea che ne è fondamentalmente espressione, richiede attenzione e risposte, relazioni di pratica sociale, per individuare le vere ragioni della collera e operare distinzioni biopolitiche nella loro vita quotidiana, a riconoscere i veri nemici, a recuperare diritti negati.

Ha caratteristiche diverse l’elettorato del M5S, come si è già detto più volte su «Il Ponte»: un elettorato sostanzialmente giovanile, espressione di un ceto medio ricattato dalla precarizzazione e dall’assenza di lavoro, ma anche di settori consistenti di classe operaia, con una confluenza significativa di voti da aree tradizionalmente di sinistra. Come si è già detto, i veri vincitori delle elezioni del 4 marzo sono stati questi due elettorati diversi ma con elementi di contiguità e talvolta di sovrapposizione. Un governo M5S-Lega che parlamentarizzi i temi preliminari e contraddittori del «contratto», innescando un processo in cui emergeranno inevitabilmente differenze di visione politica, convergenze su obiettivi condivisi, relazioni con altre forze parlamentari, determinerà un campo dinamico di rapporti tra Parlamento e “territori”. Il metodo didattico seguito in particolare dal M5S nella prima fase dei “forni”, di informare puntualmente su ogni passaggio degli incontri con la Lega e con il Pd, e poi del lavoro con la Lega per la stesura del contratto, ha messo a nudo le posizioni delle varie forze politiche, gli stessi limiti di tatticismo politicista del M5S. Gli elettorati sono stati comunque informati su quanto stava accadendo, e ne è risultato un grado di elevata attenzione alla politica, alle sue dinamiche, ai suoi scontri, che è sicuramente un dato nuovo della situazione italiana. Gli elettori del M5S, della Lega, di altre forze politiche, sono oggi in grado di seguire con attenzione le sorti dei loro voti.

Se la politica è stata vissuta per tanto tempo, e non solo negli ultimi decenni, come una questione privata di gruppi di potere che produceva disinteresse ed estraneità, astensionismo elettorale, oggi non è così. La volontà degli elettori del 4 marzo, i veri autori dell’attuale crisi di sistema (e che continuano a esserlo), è stata chiarissima: spezzare con decisione e “dal basso” i riti di una democrazia rappresentativa che rappresenta soltanto ristretti gruppi di potere a difesa di interessi privati che confliggono con gli interessi generali di una società di tutti ispirata ai valori di una Costituzione inattuata e gestita a uso di chi dagli anni novanta del Novecento ne ha fatto scempio, provocare un cambiamento radicale delle politiche sociali ed economiche, mettere in discussione la collocazione dell’Italia in Europa e nel mondo.

La crisi del sistema politico italiano è profonda ed è inserita in un quadro internazionale di cui le forze politiche hanno parlato poco durante la campagna elettorale e nei mesi successivi all’esito del 4 marzo ma che ha agito nella stessa crisi italiana: l’accelerazione del confronto economico e militare tra Occidente e Oriente, la corsa alla guerra nello scenario mediorientale con un nuovo protagonismo di Israele con i suoi missili nucleari puntati sull’Iran e i massacri di palestinesi per sgomberare definitamente il campo dalla questione, le migrazioni di popoli in fuga dalle guerre e dai cambiamenti climatici provocati dalle rapine neocoloniali di un capitalismo internazionale il cui modello di sviluppo è drammaticamente in crisi. L’Italia, colonia atlantica e anello debole dell’Unione europea, è inserita in questo corso attuale della Storia. Su questo terreno si misurerà la capacità del nuovo governo di recuperare sovranità costituzionale, mettendo in discussione le servitù militari della Nato e l’asservimento economico all’Europa del nord.

All’interno del paese è la qualità della democrazia la questione centrale. La democrazia è la lotta per la democrazia, con una visione lunga sul futuro. Crisi del sistema politico e crisi del modo di produzione sono mortalmente intrecciate. Il problema è: progettare e dare forma sociale a un “cambiamento” reale che non si limiti a contenere i danni di un sistema economico distruttivo e senza futuro, ma sviluppare un processo di liberazione delle potenzialità umane (né servi né padroni). Chi ha parlato in questi anni di “democrazia diretta” come strumento di nuova democrazia, sviluppi pratica sociale su questo terreno. La crisi della democrazia rappresentativa messa a nudo dagli elettori del 4 marzo impone altre prospettive, altre visioni, altre pratiche.

Nel complesso cortocircuito che sta prendendo forma (tra M5S e Lega nell’area di governo, tra il governo e gli elettorati che l’hanno votato, tra “vecchio” e “nuovo”) entrano in gioco altri elementi: il più importante è la formazione culturale e politica degli eletti al Parlamento. Il gruppo dirigente della Lega si è formato negli anni novanta, all’inizio della stagione berlusconiana di cui ha condiviso il percorso fino all’attuale coalizione di centro-destra; identitarismo, comunitarismo e xenofobia ne costituiscono il sempreverde Dna. Il gruppo dirigente del M5S si è formato negli anni della crisi del berlusconismo e dell’approdo della sinistra storica al liberismo, l’unica “sinistra” che hanno conosciuto; per questo si è sempre dichiarato «né di destra né di sinistra», ma ha comunque agito fin dall’inizio all’interno di quella sinistra sociale che alla deriva liberista contrapponeva i valori dei beni comuni (acqua pubblica, ecc.), della difesa della Costituzione dalle deformazioni berlusconiane e renziane, di un’altra economia da sperimentare nelle reti sociali, della democrazia diretta: con questi temi e orientamenti il M5S è entrato in Parlamento nel 2013, sviluppando un efficace ruolo di opposizione al sistema politico che è stato fondamentale per battere il referendum renziano del 4 dicembre 2016 e ottenere un imprevedibile e clamoroso successo (primo partito) alle elezioni del 4 marzo.

Oggi che è al governo, con un ruolo non più di opposizione ma di gestione del potere politico, in un rapporto complesso con le vecchie posizioni della Lega (espressione anche del condominio di centro-destra), la forza del Movimento può crescere (o rischiare di perdersi nelle nebbie dei palazzi del potere) contribuendo a costruire un blocco sociale con altre forze che in questi ultimi decenni si sono opposte al berlusconismo e al renzismo, la galassia di associazioni, gruppi, comitati che ha animato le lotte per i diritti sociali sviluppando pratiche mutualistiche e di “nuova socialità” (la recente assemblea nazionale di «Potere al Popolo» ha messo a confronto numerose esperienze sulla linea dell’autogestione e dell’autorganizzazione). Nell’attuale cortocircuito tra governo e territori, tra presente, passato e futuro (quale lavoro? quale modello di sviluppo alternativo alle macerie del capitalismo?, quale rapporto tra nuove tecnologie e democrazia?) il fantasma del socialismo, che si aggira anche per l’Italia, difficilmente declinabile (quale socialismo?) ma tenacemente carsico nella cultura politica di chiunque voglia realmente sovvertire l’orrore economico del capitalismo, riemergerà come sempre avviene nei momenti di crisi. Allegato a questo numero della rivista, il fascicolo dedicato alla Comune di Parigi (la Comune del 1871 e le sue implicazioni attuali, “comunaliste” e “mutualiste”) è un contributo non accademico ma politicamente attuale, alla riflessione su questi temi. Il cortocircuito è anche, come sempre, tra passato e presente, necessario alla formazione di una visione politica alta e lunga, oggi più che mai urgente e necessaria.

Nel 1968 Franco Fortini riscrisse l’Internazionale di Eugène Pottier (1871) intervenendo più volte sul testo fino al 1994, l’anno della morte. L’unico riferimento storico alle esperienze centrali del passato di un socialismo libertario, il solo socialismo da perseguire, lo dedicò proprio alla Comune:

 

Sull’aria dell’«Internazionale»

Noi siamo gli ultimi del mondo. – Ma questo mondo non ci avrà.
Noi lo distruggeremo a fondo. – Spezzeremo la società.
Nelle fabbriche il capitale – come macchine ci usò.
Nelle sue scuole la morale – di chi comanda ci insegnò.

Questo pugno che sale – questo canto che va
è l’Internazionale, – un’altra umanità.
Questa lotta che eguale – l’uomo all’uomo farà,
è l’Internazionale. – Fu vinta e vincerà.

Noi siamo gli ultimi di un tempo – che nel suo male sparirà.
Qui l’avvenire è già presente. – Chi ha compagni non morirà.
Al profitto e al suo volere – tutto l’uomo si tradì.
Ma la Comune avrà il potere. – Dov’era il no faremo il sì.

Questo pugno che sale – questo canto che va
è l’Internazionale, – un’altra umanità.
Questa lotta che eguale – l’uomo all’uomo farà,
è l’Internazionale. – Fu vinta e vincerà.

E tra di noi divideremo – lavoro, amore, libertà.
E insieme ci riprenderemo – la parola e la verità.
Guarda in viso, tienili a memoria – chi ci uccise e chi mentì.
Compagno, porta la tua storia – alla certezza che ci unì.

Questo pugno che sale – questo canto che va
è l’Internazionale, – un’altra umanità.
Questa lotta che eguale – l’uomo all’uomo farà,
è l’Internazionale. – Fu vinta e vincerà.

Noi non vogliamo sperar niente. – Il nostro sogno è la realtà.
Da continente a continente – questa terra ci basterà.
Classi e secoli ci hanno straziato – fra chi sfruttava e chi servì:
Compagno, esci dal passato – verso il compagno che ne uscì.

 

Il prossimo numero del «Ponte» lo dedicheremo ad Aldo Capitini, rivoluzionario nonviolento e libero religioso, sperimentatore e teorico dell’«omnicrazia», il potere di tutti (massimo socialismo, massima libertà) da costruire attraverso pratiche di «nuova socialità» e «democrazia diretta».

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