manovra di centrodi Rino Genovese

Non è difficile definire la manovra finanziaria del governo Renzi, che fa il paio con il cosiddetto jobs act. In sintesi, una manovra di centro spostata verso destra. Che cos’è infatti la riduzione dell’Irap, dopo la prospettiva di un’ulteriore sterilizzazione dell’articolo 18 rispetto a quella già attuata dal governo Monti, se non un assegno in bianco firmato dal governo al padronato senz’alcuna contropartita? Squinzi, incassando soddisfatto il regalo, si è affrettato a dire che non ci sarà, nonostante tutto, nuova occupazione in mancanza di una ripresa della domanda. E pour cause! Se le imprese non hanno commesse perché mai dovrebbero assumere? La riduzione delle tasse è solo una strizzatina d’occhio da parte del governo. La generale depressione resta a tutt’oggi impregiudicata: non si intravede uno straccio d’investimento pubblico nella legge di stabilità. Il taglio delle tasse alle imprese è stato già realizzato dal governo francese con il “patto di responsabilità” voluto da Hollande. Risultato: il tasso di disoccupazione continua a crescere in Francia, gli imprenditori saranno stati forse responsabili nel mettere da parte i soldi, non certo nell’investirli.

Se le cose stanno così, che cosa ci fa dire che la manovra tutto sommato è di centro sia pure spostata a destra? La sua mentalità complessiva. Si dice di voler incoraggiare la ripresa e si aiutano gli imprenditori; a questi si abbassano le tasse ponendo le premesse per un aumento delle imposte regionali o per nuovi tagli alla sanità; al tempo stesso, però, si confermano gli ottanta euro in busta paga ai redditi più bassi e si dichiara di voler dare una mancia alle neomamme meno abbienti. È una filosofia che traluce. Un colpo al cerchio e uno alla botte, l’eterna democristianeria italiana – ma in quel suo avatar, ormai metabolizzato, che si chiama berlusconismo. Come l’annuncio degli ottocentomila posti di lavoro prossimi venturi.

Di positivo – a volerlo cercare con il lanternino, perché bisogna pur essere obiettivi – c’è il confronto, a tratti duro, con la commissione europea: l’Italia decide di smettere di “fare i compiti a casa” e apre al deficit, o meglio, a una riduzione della sua riduzione. D’accordo, ma non basta. Sarebbe arrivato il momento di mettere in discussione nei suoi fondamenti il patto di stabilità europeo, mentre, nei singoli paesi, soltanto con una seria patrimoniale su base progressiva si potrebbero liberare risorse per gli investimenti pubblici.

Oggi, 25 ottobre, la Cgil manifesta in piazza a Roma. Ci auguriamo che possa partire da qua un ciclo di lotte capace di rimettere al centro dell’agenda la questione lavoro, tanto nella difesa dei diritti quanto nella loro estensione. Ci auguriamo anche che la minoranza Pd smetta di restare nella palude e ne tragga le conseguenze decidendo di stare da una parte sola, da quella dei lavoratori.