di Valdo Spini
Quello di Michele Achilli, L’urbanista socialista. Le leggi di riforma 1967-19921 è un libro importante, perché tratta non solo di un argomento di grande rilievo, ma perché illustra anche le caratteristiche e le personalità di quello che fu un vero e proprio movimento di intellettuali, tecnici, operatori politi e sociali che si sono mossi intorno al Partito socialista italiano proprio sul tema dell’urbanistica. Un lavoro del genere non era stato ancora fatto e si rivela molto prezioso. Un vero e proprio movimento, si diceva, con i suoi addentellati non solo culturali ma anche sociali. Non è un caso che un’espressione che Achilli amava molto usare era quella di «urbanista condotto», per significare un tecnico che si muoveva sul territorio per migliorare le condizioni di chi vi abitava.
Michele Achilli, milanese, è stato un esponente della sinistra lombardiana del Psi, ma con un suo percorso originale. Aderente alla corrente di Lelio Basso, si distaccò da quest’ultimo quando questi partecipò alla scissione del Psiup, rimanendo nel partito e aderendo alla corrente di Riccardo Lombardi. In seguito alla scomparsa del pavese Alcide Malagugini, Michele Achilli entrò in parlamento nel 1967 e vi portò la sua competenza di architetto, impegnato nel prestigioso studio Canella. Da allora Achilli fu eletto deputato ininterrottamente nel collegio Milano-Pavia, poi fu senatore nella legislatura 1987-1992.
Quando, intorno al «Progetto Socialista», al congresso del Psi di Torino, nel 1978, viene presentata una mozione unica di Craxi, Giolitti e Signorile, con l’adesione quindi della sinistra di Lombardi, Michele Achilli se ne distacca e forma una sua corrente di opposizione con Alberto Benzoni e Tristano Codignola, che raccoglie circa il 4% e che ha una sua vita autonoma dal resto della sinistra socialista. Nel 1993 esplode la crisi del Psi e il segretario Bettino Craxi dà le dimissioni. Michele Achilli cerca di dare un contributo costruttivo in quella drammatica situazione. Mi permetto di ricordare anche un fatto personale, il suo appoggio alla mia candidatura alla successione di Craxi nell’Assemblea nazionale dell’11 febbraio. Lo stesso Achilli parteciperà, nel 1994, all’esperienza della federazione laburista, sorta in seguito allo scioglimento del Psi.
Michele Achilli ha sempre portato nell’azione politica il peso delle sue specifiche competenze di architetto. Per questo ha voluto giustamente rievocare un affresco complessivo di quella che è stata una pagina importante della cultura italiana: l’urbanistica dei socialisti. Riccardo Lombardi dava una particolare importanza alla materia, e anche questo contribuiva ad aggregare energie e personalità di tutto rispetto. Tra i nomi che Achilli rievoca troviamo il meglio dell’urbanistica italiana di quegli anni. Ne ricordo solo due: Giovanni Astengo e Luigi Piccinato.
Quando Achilli entra in Parlamento, la vicenda della riforma urbanistica proposta prima dal democristiano Fiorentino Sullo e poi dal socialista Giovanni Pieraccini si è già consumata con lo stop imposto dalla crisi del luglio 19642. Ai lavori pubblici è andato il socialista Giacomo Mancini, verso la cui politica (si veda la vicenda della Legge-ponte del 1967) Achilli esprime un consenso molto convinto.
Anni dopo invece sarà il protagonista di parte socialista della riforma della casa, una legislazione fortemente a favore dell’intervento pubblico sulle aree per l’edilizia economica e popolare, basata sulla definizione della casa come “servizio sociale”, quindi componente importante del salario reale dei lavoratori. Siamo nel periodo del governo di centrosinistra guidato da Emilio Colombo, e la legge sulla casa era fortemente richiesta dal movimento sindacale unitario di Cgil-Cisl-Uil e quindi, la legge stessa viene in qualche modo trattata anche con l’opposizione di sinistra. Il governo Colombo doveva però cadere sotto i colpi della rivolta di Reggio Calabria del movimento dei «boia chi molla», che veniva a indebolire direttamente, in quanto calabrese, Giacomo Mancini, diventato nel frattempo segretario del Psi, e veniva a inserirsi in un generale spostamento a destra che doveva portare, dopo le elezioni anticipate del 1972, alla formazione, anche se effimera, del governo centrista Andreotti-Malagodi.
non ha mai voluto avere incarichi di governo, perché questo era l’atteggiamento della sinistra socialista verso i governi di centrosinistra3, ma la sua vicenda dimostra come si poteva veramente influire sulla legislazione anche dalla posizione di parlamentare.
Sembra oggi un fatto lunare: attualmente infatti di intervento pubblico per la realizzazione dell’edilizia economica e popolare non si parla più e le conseguenze sono visibili anche nello scollamento tra istituzioni, partiti politici tradizionali e base sociale del paese. E quei riformisti socialisti che lo propugnavano, se certamente furono sconfitti, avevano però compreso la necessità di riforme incisive veramente in grado di soddisfare esigenze profonde del paese.
Casa vertenza di massa4 è il titolo di un precedente libro in cui Achilli descrive quella battaglia. Il libro ha non a caso la prefazione di Riccardo Lombardi, il leader socialista che più di ogni altro aveva compresa l’importanza della riforma urbanistica per contrastare quella rendita edilizia che veniva a incidere sul salario dei lavoratori attraverso il costo della casa. Incidendo sul salario dei lavoratori, la mancanza di riforma urbanistica si poneva di fatto anche in contrasto con lo stesso capitalismo industriale, limitando quindi le potenzialità di crescita e di innovazione del paese.
La riforma urbanistica invece non ci fu né allora né dopo, come hanno illustrato nel loro libro Mariella Zoppi e Carlo Carbone5. La mancanza di una riforma urbanistica generale ha tenuto in vita, con varie pezze e rattoppi, la legge urbanistica del 1942, che, se da un lato ha dimostrato una grande longevità, non è certamente più in grado di governare i problemi del nostro tempo. Lo stato del territorio ne è evidente riprova.
Ma tornando ad Achilli, a lui va un grazie convinto per avere dato un contributo molto importante a rompere quella damnatio memoriae che circonda le vicende del socialismo italiano e quindi a illustrare la complessità, il pluralismo e l’articolazione della sinistra italiana di quegli anni, che si è troppo spesso offuscata riducendo la storia di quel periodo al binomio Dc-Pci, una semplificazione inesatta quanto pericolosa.
1 Venezia, Marsilio 2018.
2 Cfr. Giovanni Pieraccini nel socialismo riformista italiano, a cura di A. Giacone, «Quaderni del Circolo Rosselli», n. 4, Pisa, Pacini, 2018.
3 Ricordiamo che la sinistra lombardiana era uscita dal governo dopo la crisi del luglio 1964 che aveva posto fine al governo Moro I, proprio per il fermo imposto alla riforma urbanistica. Solo nel 1981 la corrente ritorna al governo con l’ingresso di Claudio Signorile nel governo Spadolini I, motivando tale ritorno con il laicismo della presidenza del Consiglio.
4 M. Achilli, Casa vertenza di massa, prefazione di R. Lombardi, Venezia, Marsilio, 1972.
5 M. Zoppi e C. Carbone, La lunga vita della legge urbanistica del ’42, Firenze, didapress, 2018.