Le ragioni di un no[Le nostre ragioni di un no. Altri interventi di Paolo Bagnoli, Francesco Biagi, Lanfranco Binni, Gian Paolo Calchi Novati, Rino Genovese, Ferdinando Imposimato, Massimo Jasonni, Mario Monforte, Tomaso Montanari, Mario Pezzella, Pier Paolo Poggio, Marcello Rossi, Giancarlo Scarpari, Salvatore Settis, Angelo Tonnellato, Valeria Turra]

Il sì ce lo chiede l’Europa? Forse, ma certo l’America. L’ambasciatore Usa a Roma prevede riduzioni degli investimenti, se non passa la riforma costituzionale, come alle elezioni del 1948 bisognava votare Dc altrimenti non arrivavano i dollari. Subito dopo l’ambasciatore, la cancelliera tedesca dichiara il suo appoggio al governo di Roma.

Ma di votare no, l’avevo deciso prima, e non per le promesse da toccasana della propaganda, e neppure per i toni da cinegiornale d’epoca con cui si nasconde la crisi economica.

Questo parlamento, frutto di una legge elettorale incostituzionale, doveva solo metter mano a poca ordinaria amministrazione, fare presto una legge elettorale legittima e andarsene; invece ne ha approvata una peggiore di quella che l’ha eletto, e ora sciupa la Costituzione. Come se un condannato giudicasse il suo tribunale. E tutto questo, anche coi voti di parlamentari pronti a cambiare casacca.

Il diritto di voto si rattrappisce, con una sola Camera elettiva e l’altra autonominata. Il partitismo aumenta, la partecipazione popolare è mortificata. Persino nel referendum che sta per svolgersi, il diritto di voto è incrinato. La nuova norma sul Senato è oscura, non indica in che modo saranno eletti i consiglieri-senatori e rinvia a una legge ordinaria: chi vota sì, accetta un salto nel buio.

I costi della politica non si riducono, aumentano, perché la concentrazione di potere favorisce la corruzione e il sottogoverno.

Invece, il bicameralismo è una garanzia, in un paese di applausi e di zelanti. E poi via, quando si vuole, le leggi passano in un batter d’occhio. Il disgraziato pareggio di bilancio è stato approvato a tempo di record, ed era una legge costituzionale. Già, ma lì lo volevano i padroni del vapore, soprattutto la Germania. In realtà, col bicameralismo monolocale, le procedure legislative sono così farraginose che già ora i giuristi non concordano neppure su quante ce ne sarebbero.

Insomma, lo sbilanciamento dei contrappesi, unito alla pessima legge elettorale, scava un abisso pericoloso fra potere e popolo. La cittadinanza ne esce a pezzi.

Tutto ciò, in un clima di menzogna e di giochi di parole, come quando il bicameralismo perfetto lo chiamano paritario. Attenzione, alle parole. Persino la Dc – il partito del padre di Matteo Renzi – si chiamava partito di maggioranza relativa, ma il Pd finge di avere la maggioranza popolare mentre quattro italiani su cinque non lo votano. La vera maggioranza la stanno semplicemente regalando all’astensionismo. Il divieto di revisione della forma repubblicana (art. 139 della Costituzione), non significa solo divieto di monarchia, ma divieto di spezzare il patto fondante repubblicano, la partecipazione alla vita pubblica (art. 3). Su questo è calato l’oblio.

A proposito di ricordare. Alla fine del confronto fra Renzi e il presidente dell’Anpi, a Bologna il 15 settembre, il presidente del Consiglio ha calato l’asso di cuori: «Questo governo è orgoglioso di aver messo più soldi di qualsiasi altro governo degli ultimi trent’anni per la tutela e la difesa della nostra memoria. […] Nel mio cuore c’è il settantesimo, vissuto a Marzabotto, con Ferruccio e gli altri eredi di quella battaglia, perché voglio garantire che…». A parte la stretta veduta di considerare la memoria una questione di denaro, a Marzabotto non ci fu nessuna battaglia, ma una strage di inermi, la più grave nell’Europa occidentale durante la Seconda guerra mondiale. Se l’oblio lo chiamano memoria, la Costituzione può diventare monarchica anche senza il re.