Occidente disarmatodi Rino Genovese

Scriveva Voltaire nel suo Dizionario filosofico: “Il fanatismo sta alla superstizione come il delirio sta alla febbre e il furore alla collera”. E poco più avanti: “Che rispondere a un uomo che vi dice che preferisce obbedire a Dio anziché agli uomini e che quindi è sicuro di meritare il cielo sgozzandovi?” È l’impasse in cui può essere preso lo spirito di tolleranza: che cosa dire al fanatico? come impostare i rapporti con lui?

Voltaire aveva davanti agli occhi gli orrori delle guerre di religione che avevano devastato l’Europa, ma noi, figli del Novecento, abbiamo a nostra volta esperienza di un orrore diffuso nella forma dei totalitarismi. Che cosa erano per lo più gli sgherri hitleriani e staliniani se non dei fanatici, sia pure non nel senso della religione ma in quello dell’ideologia? E alcune delle efferatezze degli “anni di piombo” italiani non possono, allo stesso titolo, essere messe sul conto del fanatismo? Cominciamo col dire, dunque, che il fanatismo è ben noto alla cultura occidentale, non riguarda unicamente le culture “altre”.

E con il fanatismo si è sempre trattatto, si è costretti a trattare se non si vuole diventare a propria volta immediatamente fanatici. Quella della guerra è soltanto l’ultima delle opzioni. Fin quando hanno potuto le democrazie occidentali hanno trattato con Hitler, era una carta che andava giocata, anche se non funzionò. Con Stalin – che aveva comunque una visione meno aggressiva nei confronti dell’esterno rispetto a quella di un Hitler – l’Occidente è stato alleato e, successivamente, sia pure tra molti sussulti, ha impostato una politica che è sfociata nella coesistenza pacifica. Insomma non è vero che con il “male radicale” (per usare un’espressione di Kant) non si tratta; il punto è piuttosto come trattare e fin dove spingersi nelle trattative.

Domenico Quirico – giornalista della “Stampa” sequestrato e tenuto prigioniero per lunghi mesi in Siria dalle bande ribelli – è stato liberato dietro il pagamento di un riscatto da parte del governo italiano. La cosa interessante, però, non è questa (si sa che i paesi europei, a differenza degli Stati Uniti, in diverse occasioni hanno offerto dei soldi per liberare i propri ostaggi); è piuttosto ciò che ha scritto Quirico una volta rientrato in Italia. Nel suo racconto di grande deluso della “rivoluzione” siriana, l’ex ostaggio dice di essere stato ceduto da un gruppo a un altro e poi a un altro ancora, e di essere stato trattato in modo disumano – con una sola eccezione, quella del gruppo di Al-Nusra, emanazione in Siria della famigerata Al-Qaida, l’organizzazione già diretta da Bin Laden e oggi dal suo vice Al-Zawairi. Ma come? viene da domandarsi: il gruppo più “fanatico” tra quelli di cui è stato prigioniero il nostro giornalista, è quello che con lui si è comportato meglio?

Il paradosso non è tale se scaviamo un po’ più a fondo (come Voltaire ai suoi tempi non avrebbe potuto fare) con gli strumenti della psicologia sociale. Ciò che a ragione – da un punto di vista illuministico – chiamiamo fanatismo, da un altro punto di vista andrebbe detto risentimento estremo. Che cosa sono i combattenti del jihadismo internazionale, specialmente quei giovani provenienti dall’Europa, quasi sempre figli dell’immigrazione, se non dei risentiti estremi? Spesso è dalle condizioni delle periferie metropolitane che nasce quel rancore che, modulato in un’effervescenza politico-religiosa, si fa jihadismo. E se andassimo a osservare quelli che, con le migliori intenzioni, si sono messi in movimento, or sono tre anni, contro Assad, non sarebbe difficile trovare un analogo risentimento contro l’Occidente che non avrebbe fatto abbastanza per sostenerli, o contro la Russia di Putin stretta alleata del regime siriano.

Ma si dirà: sono criminali! Il giudizio non fa una piega, e tuttavia sarebbe semplicistico se evitasse di porsi il problema di come ci si trasforma in criminali, o di come – di banda in banda – ci si passi un ostaggio. Il denaro di un riscatto può essere usato in vari modi: per andarsene in vacanza ai tropici, per cercare un sostentamento in una zona devastata dalla guerra, o per finanziare il gruppo dei ribelli. Ad ogni modo, il fanatismo politico-religioso può funzionare finanche da deterrente nei confronti di una disumanità indotta psicologicamente dal risentimento. La storia resta un affare maledettamente complicato.

E l’Occidente – nonostante gli armamenti ultrasofisticati, nonostante i suoi droni – è oggi disarmato nei confronti del caos di questa storia che stiamo vivendo. Perché il fanatismo si batte con la pazienza della tolleranza, certamente, talvolta perfino con la guerra cui si è costretti – ma poi ci si accorge che manca qualcosa, come avrebbe detto Ernst Bloch. Questo qualcosa è lo spirito dell’utopia. Da troppo tempo la cultura occidentale non riesce più a influenzare le altre culture perché sembra avere smarrito quel tarlo che la rodeva dall’interno e al tempo stesso la vivificava. Il tarlo di un mondo più giusto, di una democrazia non solamente politica ma sociale: quello spirito, insomma, capace di competere da pari a pari con le religioni, di tentare una risposta alle loro derive, superando il risentimento in direzione di un progetto costruttivo.