Italicum sovieticodi Fabio Vander

Durante la discussione sulla fiducia alla nuova legge elettorale, Vendola ha definito «Sovieticum» l’Italicum di Renzi, per i suoi profili di antidemocraticità, ma anche per il fatto in sé di porre la fiducia su un tale provvedimento. Il punto è in effetti che la nuova legge elettorale genera il contrario di una democrazia matura e dell’alternanza. Non basta infatti il ballottaggio, come pure rivendica Renzi. Bisogna vedere chi ci va al ballottaggio, con quanti voti (perché col superpremio di maggioranza, col 25% al primo turno si può poi prendere una rappresentanza smodata, ecc.), chi saranno gli antagonisti al ballottaggio, quante possibilità reali hanno di vincere, ecc.

Senza queste premesse di sistema, il ballottaggio è un rischio (come, per il vero, il turno unico).

Corrado Castiglione su «Il Mattino» ha proposto un’interessante serie di considerazioni: il portato dell’Italicum sarà «un governo monocolore, con un partito saldamente radicato nella maggioranza dei seggi, e un’opposizione ridotta a una galassia di partiti medi e piccoli. Qualcuno ha gridato alla scomparsa dell’opposizione».

Scomparsa dell’opposizione. Il contrario di una democrazia matura. Anzi il contrario di una democrazia.

Un’analisi confermata anche dal costituzionalista Michele Ainis, che sul «Corriere della sera» ha scritto: «L’Italicum determina l’elezione diretta del premier, consegnandogli una maggioranza chiavi in mano. Introduce perciò una grande riforma della Costituzione, più grandiosa e più riformatrice di quella avviata per correggere le attribuzioni del Senato. Ma lo fa con legge ordinaria, anziché con legge costituzionale».

I vizi dell’Italicum vanno così a sommarsi a quelli della «riforma costituzionale» di Renzi: perché «quest’ultima toglie al Senato il potere di fiducia, toglie dunque un contrappeso al sovrappeso dell’esecutivo. Mentre a sua volta dimagrisce il peso dell’opposizione: con una soglia di sbarramento fissata al 3%, in Parlamento si fronteggiano un polo e una poltiglia».

Ricapitolando: 1) riforma costituzionale per legge ordinaria; 2) rafforzamento dell’esecutivo; 3) indebolimento del Parlamento, 4) abolizione di una Camera (in quanto soggetto politico e della sovranità); 5) indebolimento delle opposizioni (ridotte a “poltiglia”) e dunque ulteriore rafforzamento del potere centrale.

Ma considerazioni preoccupate si leggono anche sull’«Avvenire». Secondo Marco Olivetti la legge elettorale, segnatamente con il ballottaggio, dovrebbe favorire la realizzazione di un moderno sistema bipolare, ma in verità proprio la convergenza di Pd, destra di Alfano e transfughi della opposizione di Sel e M5S, non fa che confermare le «dinamiche centripete del sistema politico di questi mesi, le quali hanno poco a che vedere col risultato elettorale del 2013. Un assetto che è difficile non definire trasformistico, ben ricollegabile alla logica profonda della storia politica italiana, che la nuova legge elettorale – grazie al premio alla lista, e non alla coalizione, da essa previsto – potrebbe in futuro confermare, magari dietro una patina maggioritaria (che del resto non mancava neppure ai tempi di Depretis e Giolitti)».

Ecco un altro “effetto collaterale” dell’Italicum: la riconferma dell’eterno trasformismo italiano. A ciò si aggiunge la crisi dei partiti politici, evidenziata dalla frattura nel Pd al momento del voto di fiducia. Questo fatto, si legge infatti sempre sull’«Avvenire», costituisce l’ennesima riprova che oggi «restano solo aggregazioni politiche lasche (non più partiti politici in senso moderno) e il trasformismo trionfa. Depretis e Minghetti e l’Italia del 1880 sono un’utile metafora per capire l’Italia del 2015».

Italicum, crisi dei partiti, trasformismo, tutte cose che stanno insieme e che si capiscono solo vedendole sinotticamente.

Anche su «il manifesto» considerazioni simili. Tommaso Nencioni sottolinea a sua volta il carattere di lunga lena di quanto avviene oggi. In questi decenni abbiamo assistito allo «smantellamento della democrazia sociale» costituita dagli artefici della Costituzione del 1948, in primis dei partiti democratici: «sulla crisi dei partiti si è innestato un neo-notabilato interessato all’esclusiva auto preservazione». La conseguenza ultima è stata che «il gioco partitico è stato parallelamente assorbito all’interno del recinto neocentrista e trasformista».

Gira gira, stiamo sempre lì.

Che fare? Nencioni scrive: «urge un lavoro più radicale di ri-definizione del terreno stesso dell’agire politico» a partire dalla constatazione della frattura fra democrazia e «poteri economici sovranazionali», ma occorre anche ripensare il «binomio democrazia/conflitto».

Certo però ripensare non basta. Si deve anche agire. E da subito. Immaginare la costruzione di un nuovo partito della sinistra, messo però nella prospettiva di un più vasto progetto di rifondazione della politica e della democrazia. Solo con questo respiro la sinistra potrà recuperare un ruolo e una funzione adatti al giorno e all’ora.