di Rino Genovese
Già i sondaggi erano tutt’altro che confortanti, ma, dopo avere visto qualche sera fa l’intervento di Barbara Spinelli in tv a nome della lista Tsipras, mi sono detto che ormai è sicuro: “L’altra Europa per Tsipras” non supererà la soglia di sbarramento del 4% dei voti. Il fallimento è insomma altamente probabile.
Che cosa c’era che non andava nell’intervento di Spinelli? Tutto ciò che ha detto era completamente condivisibile: ci vuole più e non meno Europa per uscire dalla crisi dell’euro; l’abbandono della moneta unica significherebbe dal venti al trenta per cento di svalutazione per l’ipotetica nuova lira, inoltre il meccanismo della svalutazione, su cui l’industria italiana aveva basato un tempo le sue fortune, non sarebbe sufficiente oggi di fronte a un’economia mondiale interconnessa il cui vero problema – non solo in Italia ma in Europa – è dato dalla caduta della domanda interna e non dalle difficoltà di esportazione. Per questo – aggiungo io, ma era implicito nelle parole di Barbara che argomentava pacatamente, ispirata dalla semplice ragione – sarebbero necessarie serie politiche redistributive capaci di dare una scossa a un motore inceppato. Servirebbe non un ritorno alla natura ma una transizione ecologica, con prodotti ad alto contenuto tecnologico (più innovazione e tecnologia, dunque, e non meno), per sfuggire alle strette di una depressione avvitata su se stessa.
Allora cos’è che non andava? Risposta: l’evanescenza della proposta politica unita all’atteggiamento di Spinelli, più da osservatrice e da studiosa che da militante. Ha evitato per esempio qualsiasi polemica non tanto con Salvini, il segretario della Lega lì presente (che, in quanto esponente di una destra estrema, non era un competitor diretto), ma con Grillo che invece pesca nell’elettorato di sinistra. Anzi, in continuità con alcuni suoi pezzi giornalistici, ha definito “interessante” il movimento grillino, consentendo così al potenziale elettore di dirsi: “Beh, interessante per interessante meglio votare per questo che ha comunque il 25% e a Strasburgo ci va di sicuro”.
Nel corso di una trasmissione televisiva si sono così palesate le debolezze dell’iniziativa intrapresa or non è molto da un pugno di “saggi”, tutte persone stimabili, che però più di una lista arcobaleno con la sua (da tempo) provata inconsistenza non hanno potuto mettere su. E l’inconsistenza è tale sia quando la cosa si presenti come un accordo tra partiti e partitini che non riescono a mettere da parte le loro rivalità, sia quando la si vorrebbe espressione della cosiddetta società civile, la cui dubbia realtà – nell’Italia odierna – sconfina in un prepolitico affine all’antipolitica propria della “società incivile”. Avere inoltre intitolato la lista a un nome difficilmente afferrabile da chi non abbia seguito la vicenda greca, un personaggio che ha zero possibilità di diventare il presidente della commissione europea come si vorrebbe, rende l’operazione complicata, lambiccata perfino, a fronte dell’elementare richiesta di un Grillo, che neppure si è candidato, di un referendum pro o contro l’Europa.
Ciò di cui si avverte la necessità è di un messaggio semplice e chiaro – di sinistra, certo, ma mediante un partito. Non è un mistero che Sel si sia adeguata piuttosto riluttante, con il suo 3%, a sostenere una lista “unitaria” che difficilmente prenderà molto di più. Alla fine forse si dirà che sarebbe stato meglio andare incontro alla sconfitta ma tenendo il punto. Che è quello di una forza politica stabilmente a sinistra del Pd e tuttavia capace di dialogare con questo, all’occorrenza. Del resto finché non si sposta a sinistra il socialismo europeo – non fosse altro che per le dimensioni di questa corrente politica – non si potrà immaginare una fine dell’austerità, e l’Europa resterà chiusa nell’immobilità neoliberista.