tom sawyerdi Piergiovanni Pelfer

Il lavoro è una dannazione divina, dice la Bibbia. L’uomo era stato creato per vivere nell’Eden senza far nulla, tutto il necessario era disponibile e a portata di mano. Mark Twain definisce bene il lavoro nel suo romanzo Le avventure di Tom Sawyer: «Tom disse a se stesso che il mondo non era poi così desolato, in fin dei conti. Senza rendersene conto, aveva scoperto una grande legge delle azioni umane, vale a dire che per indurre un uomo o un ragazzo a bramare qualcosa, è necessario soltanto far sì che quella cosa sia difficile da ottenere. Se fosse stato un grande e savio filosofo, come l’autore del presente libro, si sarebbe reso conto, a questo punto, che il lavoro consiste in qualsiasi cosa una persona è costretta a fare, mentre il divertimento consiste in qualsiasi cosa una persona non è costretta a fare. E ciò lo aiuterebbe a capire perché fare fiori artificiali o sorvegliare un mulino è un lavoro mentre lanciare grosse palle contro birilli o scalare il Monte Bianco è soltanto divertimento. Vi sono ricchi gentiluomini, in Inghilterra, che guidano carrozze con tiri a quattro, per trenta o quaranta chilometri al giorno, in estate, perché un simile privilegio costa loro parecchi quattrini; ma, se venisse offerto loro un compenso per questa fatica, ciò la tramuterebbe in lavoro, e in tal caso darebbero le dimissioni».

C’è inoltre il fatto assolutamente nuovo che per produrre la stessa quantità di merci, gli stessi servizi, servirà sempre meno lavoro: prima le macchine poi gli automi sostituiranno sempre più l’uomo. Il problema che si porrà, e già si è posto, è che insieme alla necessaria redistribuzione della ricchezza totale prodotta si dovrà pensare a una equa redistribuzione del lavoro. L’idea di lavorare 35 ore settimanali andava in questa direzione anche se nel prossimo futuro le ore lavorative necessarie per ogni cittadino lavoratore diminuiranno ben oltre questo valore.

Almeno fino a ora non risulta che tra gli obiettivi principali in un paese a economia capitalistica ci sia la piena occupazione. Anzi, se ci vogliamo attenere alla teoria economica standard il buon funzionamento dell’economia capitalistica è garantito da una percentuale variabile a seconda del momento di disoccupati. Quindi, direbbe Aristotele usando i suoi sillogismi, la ricchezza complessiva viene prodotta dagli occupati ma anche dai disoccupati, senza i quali il sistema non funzionerebbe bene. Per questo da un po’ di tempo a questa parte si parla del cosiddetto basic incom (reddito minimo garantito) su cui la Cee ha promosso molti progetti di studio e i vari paesi europei stanno sperimentando soluzioni diverse.

C’è poi un altro aspetto rilevante connesso al lavoro: lavoro significa trasformare qualcosa in qualche altra cosa. Ora qui entra in gioco il terribile Secondo Principio della Termodinamica che tradotto in linguaggio un po’ volgare, ma chiaro, dimostra che alla fine di ogni trasformazione viene prodotta una certa quantità di merda artificiale la cui caratteristica è di non essere facilmente riciclabile come succede invece per i cicli naturali. Questo crea, come ben sappiamo dal problema dei rifiuti che stanno ricoprendo il pianeta, difficoltà di ogni natura, compreso il cambiamento climatico. Risulta evidente che se non si cambia modello di sviluppo il pianeta Terra non potrà continuare ancora a lungo a essere vivibile.

Di fronte a tutto questo è sorprendente vedere i sindacati dei lavoratori inneggiare al lavoro comunque, dovunque e di qualsiasi tipo. Il lavoro è dignità si continua ad affermare sposando così la tesi dell’etica protestante e capitalistica che per essere in grazia di dio devi lavorare per arricchirti e avere successo. Tanto è penetrata questa ideologia che tutto viene subordinato a questo obiettivo. Prima la lotta per la propria affermazione e poi tutto il resto, i piaceri e le gioie della vita.

E nelle manifestazioni si vedono i lavoratori inneggiare a «Sì Trivelle», come a «Sì Tav» a braccetto nel corteo con le imprese che in questo modo fanno profitti con finanziamenti pubblici sottratti a investimenti per il miglioramento della qualità della vita di tutti. Un inciso sul Tav, in generale. Facciamo l’ipotesi fantascientifica che le oligarchie che dominano l’economia e la finanza abbiano in mente lo sviluppo di pochi grandi centri e città perfettamente connessi con reti di ogni tipo ad alta e altissima velocità, lasciando il resto dei territori abbandonati a se stessi e a un livello di sviluppo e di connessione molto peggiore. «Non sto parlando, no, per contraddire a ciò che ha detto Bruto: son qui per dire quel che so di Cesare», come direbbe l’Antonio di Shakespeare. Sarebbero i cittadini convinti dell’utilità del Tav per lo sviluppo del loro paese?

Sempre su questa strada potremmo arrivare (o forse ci siamo già arrivati) a inneggiare all’industria delle armi, in grande espansione in questo periodo, visto il moltiplicarsi di conflitti e di guerre, perché in questo modo potremmo ottenere molti posti di lavoro. Non solo ma l’industria della guerra ha anche un grande effetto moltiplicatore dal punto di vista occupazionale: infatti si potrebbero produrre farmaci e costruire ospedali per curare i feriti e le malattie di ogni tipo prodotti dalle guerre.