di Vincenzo Accattatis

Nel suo negozio di articoli sportivi, nel villaggio palestinese di Hizme, Mohammad al-Kiswani riflette sulla vittoria di Binyamin Netanyahu: «quando vinse, in passato, cercò di asfissiare i palestinesi, questa volta farà peggio». Non piú due Stati, come in passato aveva promesso, ma un solo Stato, con sempre ulteriore occupazione dei territori palestinesi. Netanyahu «ha buttato la maschera», mostrando il suo vero volto (Peter Beaumont e Sufian Taha, Netanyahu’s victory is clear break with US-led peace process, «The Guardian», 18.03.2015). Mohammad al-Mahdi è non meno preoccupato e dice: “certamente le cose peggioreranno, Israele è divenuto un paese carico di odio, di paura e di razzismo”.

C’è un paradosso, dal punto di vista dei palestinesi, nella vittoria di Netanyahu. Per loro, in certa misura, può addirittura essere fatto positivo, perché dirada le nebbie, fa vedere a tutti le cose con maggiore chiarezza: finalmente Netanyahu ha buttato la maschera, ha detto chiaramente al mondo intero che per lui non vale piú la soluzione «due popoli, due Stati», ha rinnegato il suo discorso di Bar-Ilan del 2009.

Di Netanyahu, scrive l’«Economist», diffidano «amici e nemici», non conosce limiti, non ha il senso della misura: he has expanded settlements, thus breaking up Palestinian areas and making mockery of the very notion of Palestinian statehood («occupa territori, disapplicando il principio “due popoli, due Stati”, rendendolo non credibile» – Bibi’s a bad deal, «The Economist», 14.03.2015). Nel corso della campagna elettorale ha offerto anche una recente dimostrazione della sua spregiudicatezza: «è uomo di trattative» o «di occupazione di territori» – o è un colonialista? Certamente lo è: oggi lo si vede in chiara luce.

Alcuni interrogativi. Gli israeliani che hanno votato per lui (30 seggi, contro i 24 andati al suo avversario) vogliono il conflitto con l’Amministrazione Obama e con gli Stati europei – quelli seri, come la Svezia -, che, in applicazione della normativa internazionale, reclamano «due popoli, due Stati»? I repubblicani americani allo sbando, che lo hanno invitato in Congresso e applaudito con entusiasmo, appoggeranno la sua politica – oggi chiaramente enunciata – in violazione dei trattati internazionali? Per i repubblicani americani la rule of law è ancora un principio, oppure lo hanno messo da parte? Per molti occidentali, resta un principio: è qui la distinzione fondamentale.

Prima delle elezioni, l’«Economist» si è chiesto: Netanyahu può vincere ancora (Can Binyamin Netanyahu win again?, «The Economist», 14.03.2015)? Ha vinto di nuovo, ma ora deve governare un paese impoverito, impaurito, con l’Amministrazione americana ostile nei confronti del suo governo, con l’Europa largamente ostile, che vuole la fine delle occupazioni abusive.

Il guerriero Netanyahu vede il mondo in bianco e nero, in una logica militare; vive in una dimensione mitica: la Persia di 2.500 anni fa, che si fonde e fa tutt’uno con l’Iran di oggi.

Gli americani e gli europei devono ragionare a fondo su tutto questo. Anche gli italiani, anche Federica Mogherini, Alta rapresentante della politica estera dell’Unione europea, che si è congratulata con Netanyahu per la sua vittoria. Barack Obama non si è congratulato. Netanyahu è isolato nel mondo occidentale, scrive Marius Schattner, su «Le Monde Diplomatique» di marzo. Anche la Mogherini deve capirlo.