di Roberto Passini

Due battaglie da sempre sono state proprie del «Ponte»: quella per la democrazia e quella per il socialismo, o meglio, come diceva Walter Binni, quella per la libertà nel socialismo.

Libertà nel socialismo: un problema ormai da storici che la nostra classe politica ha messo da tempo in soffitta. Eppure la nostra Costituzione si può leggere proprio sotto questa luce. Come altrimenti interpretare l’art. 1, l’art. 3, l’art. 4 e l’art. 11? E cosí l’art. 33 e tutti gli articoli che regolano i rapporti economici (artt. 35-47)? E a questo riguardo non è a caso che destra e sinistra abbiano affermato in piena consonanza che occorra procedere a una riforma della Costituzione, sostenendo tutti che non sarebbero stati toccati i principi fondamentali. Ma, quand’anche questo fosse stato vero, la riforma della Parte seconda (Ordinamento della Repubblica) avrebbe cambiato di fatto tutto l’impianto. La prima parte della Costituzione non si può legare indifferentemente a qualsiasi altro testo, ha un senso solo se ha come corollario l’attuale seconda parte. Ha un senso, in altre parole, se statuisce che l’Italia è una repubblica parlamentare e non una repubblica presidenziale. Purtroppo la maggioranza dei nostri politici – di destra e di sinistra – ritengono che una repubblica giocata sulla centralità del parlamento e sulla forza dei partiti – che ormai sembrano scomparsi – non serva piú: è molto piú funzionale una repubblica presidenziale, all’americana, in cui i partiti sono sostituiti da lobbies dirette da “capi” con forte carisma mediatico. Una repubblica presidenziale in cui ciò che rimane dei partiti non si differenzia per una diversa visione del mondo, ma per una maggiore o minore efficienza all’interno del capitalismo. Una repubblica presidenziale in cui il potere legislativo si scioglie nel potere esecutivo e anche i pubblici ministeri sono alle dipendenze dell’esecutivo: in definitiva una monocrazia, come dice Gianni Ferrara.

È proprio per combattere questo modo di pensare che non è inutile ricordare come nasce la nostra Costituzione.

Il 22 dicembre 1947 L’Assemblea costituente eletta dal popolo italiano il 2 giugno 1946 approva la Costituzione della Repubblica italiana, che di lí a pochi giorni, il 1 gennaio 1948, entra formalmente in vigore. La nuova Costituzione è un capolavoro di democrazia e di principi supremi: diritto al lavoro, solidarietà e diritti inviolabili dell’uomo, uguaglianza sostanziale, proporzionalità e partecipazione, forte presenza del pubblico e dello Stato nella società e nell’economia, governo parlamentare, autonomia e decentramento amministrativo, magistratura autonoma e indipendente, sistema di garanzie costituzionali vigorose. È una democrazia sociale pluriclasse che vuole scongiurare, nell’intenzione dei costituenti, i guasti fatti dal capitalismo e dai conseguenti fascismi, valorizzando primariamente il lavoro, i diritti sociali e l’uguaglianza sostanziale, anche attraverso la partecipazione attiva dei lavoratori e dei cittadini all’organizzazione politica economica e sociale del paese (non la cosmesi procedurale degli ultimi vent’anni).

Nel Patto costituzionale sono ben presenti quei guasti come le cicliche crisi, distruttive, del sistema di produzione capitalistico (1873, 1929). Infatti la Costituzione delinea al suo interno un modello di democrazia “altro” rispetto al liberalismo anteguerra, quella democrazia che Costantino Mortati, forse il più grande giurista della Costituente, definirà «democrazia necessitata». Una democrazia sociale ed economica che accanto ai principi fondamentali suddetti affiancherà gli strumenti per il loro inveramento: il Titolo III («Rapporti economici» – artt. 35-47 –), interamente disapplicato da oltre 40 anni.

Personalmente penso che da molto tempo la quasi totalità dei giuristi e dei politici, scomparsi gli ultimi protagonisti della Costituente, non abbia capito o non abbia più voluto cimentarsi col grande lascito culturale della società, presente nella Costituzione. Eppure il popolo italiano ha imposto alla politica il rilancio della Carta, riconfermandola per ben due volte, a maggioranza assoluta – caso unico nel mondo occidentale – nei due referendum costituzionali del 2006 e 2016 in cui ha rigettato le manomissioni, invasive, dell’impianto parlamentare poste in essere dal centrodestra e dal centrosinistra.

È proprio da qui che bisogna ripartire, in tempo di crisi sanitaria ed economica, rilanciando la parte sociale ed economica della Carta, l’intervento dello Stato nell’economia, la programmazione e la pianificazione pubbliche. Adesso più che mai.