coalizione-socialedi Fabio Vander

Il dibattito intorno allo slogan “Coalizione sociale” di Landini, sembra aver perso lo smalto dei primi giorni e c’è il rischio che si risolva nell’ennesimo fallimento della sinistra italiana o comunque nella realizzazione di un fatto tutto interno alle dinamiche sindacali.

Lo ha ammesso lo stesso Landini, dicendo che manifestazioni come quella di Fiom del 25 ottobre o lo sciopero generale Cgil-Uil, anche se forti, possono riuscire, ma non hanno ormai più incidenza politica reale. Il governo Renzi, come i precedenti, va avanti lo stesso. Donde la necessità di rafforzare il sindacato, con il supporto e il concorso di forze varie che lo integrino, lo sostengano, ne implementino le proposte, ecc.

Il piano di discorso (e quindi la scala di priorità) della sinistra politica mi sembra però altro. Cominciando con l’evitare di ritrovarci con una variante aggiornata del vecchio collateralismo o “cinghia di trasmissione”. Se prima del sindacato verso i partiti della sinistra, oggi della sinistra “sociale” verso un sindacato mal messo. Due debolezze che messe insieme non fanno una forza e una prospettiva.

In questo senso, il rifiuto da parte di Landini di assumere l’obiettivo di un nuovo partito politico della sinistra italiana pare piuttosto un pregiudizio, capace solo di mettere piombo sulle ali di “Coalizione sociale”.

Un approccio che per altro evidenzia un limite di cultura politica. Bene ha fatto su «il manifesto» Paolo Favilli a scrivere: «continuare a contrapporre “coalizione sociale” a “coalizione politica” (Lista Tsipras?) non ha alcun fondamento né analitico, né politico». Il partito politico resta infatti ancora «luogo di democrazia organizzata» e del resto l’«unionismo», e comunque il sindacalismo, è non meno «soggetto a logiche oligarchiche e autoreferenziali». Di qui l’invito a rinunciare alle «retoriche sulla molteplicità e vitalità innata nei “movimenti”», per immaginare un progetto e un percorso strutturato di rifondazione della sinistra italiana. Del resto mi sembra che cose simili dicesse sempre su «il manifesto» Alberto Leiss, laddove indicava il pericolo, per una prospettiva meramente “sociale”, di scadimento «in soluzioni neocorporative».

E invece il nostro problema è eminentemente politico. E soluzioni eminentemente politiche richiede. Si prenda il tema decisivo della “rappresentanza” del lavoro. Tema che più politico non si può. Certo non surrogabile con forme improvvisate di politicizzazione del sindacato. Non è questa la via. Perché qui è in questione non solo il futuro della sinistra, ma della stessa democrazia e nel senso proprio delle istituzioni democratiche, del sistema delle tutele dei diritti individuali e collettivi, dei rapporti fra le parti sociali, della partecipazione dei cittadini, ecc.

A questa altezza bisognerebbe collocare il progetto di rifondazione della sinistra, dei suoi statuti, della sua organizzazione, della sua missione nel tempo nuovo.

Missione storica proprio per contrastare fenomeni immani come il neoliberismo e le diseguaglianze esplose a livello planetario. Per questo però, come scrive Nadia Urbinati su «la Repubblica», «la sinistra non deve diventare un agglomerato indistinto», ma trovare «una linea interpretativa capace di dare un’unità di discorso e di intenzioni alla pluralità delle opinioni». Ma per avere identità, unità, chiara individuazione degli obiettivi e degli avversari, uno strumento migliore del partito politico ancora non è stato inventato.

In questo senso da segnalare è l’articolo di Luciana Castellina su «il manifesto». Costituisce una lezione di politica alle interpretazioni più antipolitiche (per esempio quella di Guido Viale) di “Coalizione sociale”. La Castellina ricorda che oggi più che mai occorre un «nuovo soggetto politico», proprio per «la voragine che si è aperta a sinistra»; per però subito dopo precisare che deve trattarsi segnatamente di un «partito». Non esistono scorciatoie.

Certo bisogna partire dalla società, dai bisogni e dai movimenti ma, fa notare proprio a Viale, queste realtà non sono per natura «illibate e naturalmente unitarie», bisogna cioè organizzarle, costituirle in forza politica, capace di progetto e prospettiva. In altre parole per soddisfare i «bisogni immediati» occorre saperli ricondurre a «un progetto di trasformazione del modo stesso di produrre, di consumare e dunque degli stessi bisogni e valori. La mediazione politica e culturale è dunque sempre più, e non meno, necessaria». Immediatezza dei bisogni e mediazione politica. In questo consiste la lezione.

Un «nuovo partito politico», dunque, insieme a un «grande movimento di massa, sociale e politico al tempo stesso».

Ma sarà facile a farsi?