di Rino Genovese
Dalla Francia arriva una conferma: le “primarie” (che seguito a scrivere con le virgolette per segnalare come in Europa siano una cattiva imitazione di quelle americane organizzate con l’iscrizione degli elettori con largo anticipo, e perciò una cosa relativamente più seria) sono una burletta che facilita la deformazione della democrazia rappresentativa. La candidatura alle elezioni presidenziali di Benoît Hamon (un frondeur che avrebbe potuto riscattare il socialismo francese dal pessimo quinquennato di Hollande), nonostante sia risultata vincente alle “primarie” a larga maggioranza, non decolla e perde pezzi: lo sconfitto Valls – secondo alle “primarie” ed ex premier del governo di Hollande – non la sosterrà , e così nemmeno l’ex sindaco di Parigi Bertrand Delanoë.
Oltre al solito regolamento di conti interno, oltre alle differenze di linea politica tra il “sinistro” Hamon e la destra del partito, si assiste nell’elettorato a una rincorsa al “voto utile” che indubbiamente una sua logica ce l’ha, anche se va in direzione contraria allo spirito del doppio turno elettorale alla francese. Che sarebbe questo: anzitutto si vota  per il proprio candidato, in seconda battuta, al ballottaggio, per quello meno sgradito. Ma la politica francese sta implodendo, per non dire che è già implosa: lo stesso ritiro di un presidente in carica dalla corsa alla rielezione, in terribile deficit nei sondaggi, è qualcosa di mai visto; l’uscita dal governo del ministro dell’economia Emmanuel Macron, un “tecnico” originariamente vicino a Hollande, che ha dato vita a un suo movimento, nulla di più che un comitato elettorale, ha disorientato il Partito socialista, che ha dovuto scegliere tra una sinistra e una destra interne, mentre un elemento di quest’ultima, su posizioni dichiaratamente centriste liberali, si sfilava dalla contesa delle “primarie” e si presentava alle elezioni presidenziali per proprio conto.
Ora, il cosiddetto voto utile (nient’altro, dopotutto, che un sottostare ai sondaggi) consiste nel calcolo che, essendo Macron al momento il candidato meglio piazzato per il ballottaggio contro l’incubo Marine Le Pen, converrebbe sostenerlo fin da subito. L’azzoppamento di Fillon – il candidato della destra tradizionale, altro vincente delle “primarie”, poi scoperto a regalare circa un milione di denaro pubblico alla moglie e ai figli – segna inoltre l’impasse in cui è finito, a sua volta, il partito di derivazione gollista. Il che impedisce il consolidato canovaccio dell’alternanza secondo cui, al fallimento di Hollande, avrebbe fatto seguito il ritorno della destra al governo.
La politica francese – lo dicevo – è implosa. A questo punto neppure si può essere sicuri che non si determini una scissione vera e propria nel Partito socialista. La disunione prodotta dalle “primarie” ha completato l’opera di un quinquennato disastroso, basato su una “politica dell’offerta” fatta di ampi sconti fiscali agli imprenditori in cambio di nulla. Se almeno ci fosse stato un accordo tra le diverse correnti per una candidatura unitaria del partito, le cose sarebbero potute andare diversamente. Ormai eccessiva è la divaricazione tra la “fronda” di Hamon e il resto di un partito che si vorrebbe socialdemocratico ma soggiace in larga misura a una deriva neoliberale. Ciò che accadrà , la probabile vittoria alle presidenziali di Macron, che non ha alcun partito alle spalle e sarà costretto a racimolare una maggioranza a destra e a sinistra, porrà la politica francese in una condizione vagamente italiana. Quando poi si dice che ci vorrebbe il presidenzialismo! Nella temperie attuale, al contrario, nemmeno un sistema politico fondato da un uomo della provvidenza come il generale de Gaulle riesce a reggere.