di Mitja Stefancic

Non è stata premiata una donna con il Nobel per l’Economia, come volevano le voci di corridoio negli ultimi giorni. Sarebbe stata appena la seconda volta, dopo Elinor Ostrom nel 2009, ma così non è stato. Sulle principali candiate elencate come possibili vincitrici di questo prestigioso riconoscimento (Esther Duflo, Anne Osborn Krueger, Claudia Goldin e Janet Currie) hanno prevalso gli americani William D. Nordhaus e Paul M. Romer, ottenendo il riconoscimento per i loro contributi sullo studio dei cambiamenti climatici, sull’innovazione tecnologica e la crescita endogena.

William Nordhaus (classe 1941) insegna economia alla Yale University ed è stato in passato consigliere economico sotto l’amministrazione di Jimmy Carter. Il lavoro di Nordhaus ha inciso in maniera significativa sulla ricerca sul rapporto tra economia, inquinamento e riscaldamento globale, anche attraverso l’uso di modelli di misurazione integrata come ad esempio «DICE» (Dynamic Integrated Climate-Economy Model), adoperati per un dato periodo anche dall’Agenzia americana per la protezione dell’ambiente. Più giovane di lui, Paul Romer (classe 1955), insegna la stessa materia alla Stern School of Business di New York. Si dice che tra i pensatori che più hanno influenzato i suoi contributi vanno annoverati Joseph Schumpeter e Robert Solow. Romer è uno dei principali sostenitori della teoria della crescita endogena, secondo la quale la crescita economica si basa essenzialmente sulle dinamiche del progresso tecnologico.

In un mondo economico in cui le grandi idee sembrano essere tornate nuovamente in voga e al centro dei progetti di ricerca, Nordhaus e Romer hanno saputo distinguersi per aver approcciato il tema del cambiamento climatico da un punto di vista macroeconomico. L’annuncio dei vincitori del Nobel è stato dato lo stesso giorno in cui un Panel sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite ha reso pubblico un report che descrive i preoccupanti rischi derivanti dai cambiamenti climatici (scarsezza di cibo, incendi più frequenti causati dal riscaldamento globale, problemi di conservazione dell’ecosistema), rischi che potrebbero manifestarsi in maniera prepotente tra meno di vent’anni e mettere in seria crisi le idee di progresso coltivate nel corso degli ultimi decenni, perlomeno a livello economico e istituzionale.  Si tratta di semplice casualità?

William Nordhaus e Paul Romer sono due autori prolifici, due macroeconomisti frequentemente referenziati dagli altri colleghi, ciascuno a modo suo e nel campo economico di riferimento. Come si legge nella nota ufficiale, Nordhaus è stato insignito del premio Nobel per aver incluso i cambiamenti climatici nell’analisi macroeconomica di lungo periodo, mentre a Romer è stato riconosciuto il merito di aver saputo integrare le innovazioni tecnologiche nell’analisi macroeconomica. Se a Nordhaus si può attribuire soprattutto la capacità di aver evidenziato in modo convincente i problemi che hanno origine nell’emissione dei gas serra, a Romer si può dar atto di aver indicato nell’accumulazione di idee innovative una delle principali forze a sostegno della crescita economica nel lungo periodo, avendo dimostrato come certe forze economiche possano incoraggiare le imprese a produrre nuove idee e innovazioni.

Sorge spontaneo il quesito su come interpretare l’assegnazione del premio Nobel in questa duplice ottica. Non possiamo non trovarci di fronte a un senso di confusione, misto ad ambiguità. Da un lato l’assegnazione del Nobel per l’economia indica la volontà di rimettere al centro delle politiche economiche di tutti i paesi (non solo quelli avanzati) una riflessione su dove stiamo andando, su come definire ciò che è economicamente sostenibile e ciò che non lo è. Dall’altro lato sembra però che si dia un premio a due economisti che non mettono in discussione il modello sociale e produttivo basato sul perseguimento della crescita economica e che, dunque, tendono ad accettare il sistema di produzione attuale senza prenderne le distanze.

Se si volesse leggere tra le righe un messaggio più profondo nell’assegnazione del Nobel per l’economia, si potrebbe concludere che vi è una sempre maggior presa di coscienza sui danni che il sistema economico globale sta arrecando alla natura, all’ecosistema e, in definitiva alle stesse persone che il mondo lo abitano. Parafrasando Nordhaus (1993) potremmo dire che stiamo giocando d’azzardo con la natura e ce ne rendiamo perfettamente conto. Non vi è però il consenso politico necessario per chiedere una reale alternativa ai modelli di sviluppo economico basati sulla crescita e sull’innovazione tecnologica. Forse perché questo significherebbe una necessaria rivoluzione tout court, che al momento è inimmaginabile.