di Adriano Russo
Fuocoammare ha come tema centrale quello della solidarietà. Un tipo di solidarietà che Emile Durkheim definiva con il temine di «solidarietà meccanica», tipica delle società semplici e comunitarie, poco investite dai processi di urbanizzazione e modernizzazione delle grandi città
In questo tipo di società vige un forte senso di appartenenza e un tipo di legame sociale che prescinde dall’influenza dei rapporti economici, dai processi competitivi e dalle dinamiche individualistiche e utilitaristiche invece congeniali agli abitanti delle vaste aree metropolitane
Il documentario è ambientato a Lampedusa, un contesto sociale per certi versi molto simile alle realtà comunitarie alle quali faceva riferimento il sociologo francese nei suo scritti qualche tempo fa. Si tratta di una comunità molto coesa al suo interno dove tutti conoscono tutti e nella quale ognuno vive secondo codici e pratiche rituali che sono ben consolidate e radicate negli usi e nei costumi del tempo. La pesca rappresenta da sempre la maggiore fonte di reddito, ma soprattutto il mestiere che tiene in vita la tradizione del popolo e quella degli anziani saggi. Essa sancisce il legame con la dimensione simbolica e sacrale dello spirito comunitario dell’isola, uno spirito che vuole perpetuarsi attraverso la trasmissione dei saperi alle giovani generazioni.
Tra queste usanze c’è per esempio quella di chiedere alla radio locale una canzone come dedica ai pescatori dell’isola perché possa essere di buon auspicio alla loro uscita in mare, mentre le donne sono in casa a occuparsi delle faccende domestiche, come cucinare e rammendare i letti.
Una tradizione che ne richiama implicitamente un’altra molto più importante, quella di salvare la vita delle persone che vengono ritrovate o che affogano in mare aperto, come i tanti immigrati che fuggono dalle loro patrie per via della guerra (Lampedusa, come è risaputo, rappresenta un crocevia fondamentale per il loro viaggio, o meglio per la loro odissea).
La questione cruciale è che si tratta di una tradizione che contiene un codice comportamentale particolarmente rilevante perché si fonda su di un tipo di solidarietà che va al di là della retorica politica, delle pratiche di intervento e di tutte le vicende legate alla questione dell’immigrazione.
Soccorrere vite umane è visto come un imperativo morale, «un dovere di ogni uomo che vuole definirsi tale», come afferma il medico di Lampedusa, in una scena molto toccante del documentario. Egli presta nel quotidiano cure mediche ai migranti superstiti e dispensa loro consigli utili di varia natura, ma ha un chiodo fisso nella mente, ossia l’immagine dei corpi di coloro che, nonostante i soccorsi, non riescono a farcela. Purtroppo è una drammatica routine alla quale però il dottore non riesce mai ad abituarsi, specialmente perché riguarda molto spesso donne e bambini che muoiono a seguito delle ustioni e delle ferite riportate durante il viaggio.
In Fuocoammare è presente una dimensione valoriale significativa che il dottore lampedusano cerca di trasmettere a Samuele, un ragazzo di dodici anni protagonista del documentario, in occasione di una sua visita oculistica in ambulatorio. Samuele è un ragazzino che inganna il tempo giocando insieme a un amico con la fionda e cacciando gli uccelli sull’isola, oppure standosene a casa ad ascoltare le vecchie storie della sua famiglia. In una di queste storie la nonna ricorda lo stato di paura che incuteva il mare quando sembrava si colorasse di rosso per via del riflesso provocato dai razzi luminosi che venivano lanciati in aria dalle navi nel corso della Seconda guerra mondiale (da qui il nome «Fuocoammare» che costituisce anche il titolo della rinomata canzone popolare).
Nel film emerge dunque da una parte l’autenticità e la fierezza della tradizione degli abitanti dell’isola e dall’altra la tragedia dei migranti. Di particolare rilevanza è in questo senso la scena di un gruppo di profughi che racconta la propria storia intonandola con il verso di una canzone, tipo canto gospel, che narra in tutte le sue fasi le numerose peripezie affrontate da quando questi sono stati costretti a lasciare la loro terra. Forse un gesto che suona come un tentativo di interazione, più che di integrazione, come una richiesta disperata di aiuto, di ascolto e di comprensione.
Questo documentario di Gianfranco Rosi racconta uno scenario drammatico che tutti conoscono e che è da molti anni di dibattito pubblico perché riguarda la vita e la morte di tante persone innocenti. Ci descrive il senso di umanità e la sensibilità degli abitanti di un paese, in modo particolare quella di un medico, Pietro Bartolo, e ci lascia intravedere una speranza di cambiamento, racchiusa nella trasparenza e nella genuinità di un giovane ragazzo lampedusano, Samuele Pucillo, forse non ancora pienamente consapevole della drammaticità di una realtà che lo riguarda molto da vicino.
Fuocoammare canalizza l’attenzione generale verso una linea guida morale improntata sui principi della solidarietà sociale e verso un “dover essere” che andrebbe vissuto come «impegno individuale e sociale», per usare ancora una volta un’espressione vicina a Emile Durkheim. Si tratta di un percorso di responsabilizzazione e di umanizzazione di cui Lampedusa e i lampedusani costituiscono un nobile e fedele esempio da seguire. «Perché – come sostiene R. Rauty – una società dimostra il suo grado di civiltà dal posto che riserva al suo interno a ciascuno dei suoi membri».