di Luca Michelini
1. La nuova enciclica di Papa Francesco merita alcune brevi riflessioni, che spero possano contribuire a sgomberare il campo da fraintendimenti e a suscitare un dibattito chiarificatore.
Da studioso del nazionalismo economico e anche di quello cattolico, la prima cosa che mi colpisce è proprio l’antinazionalismo esplicito e dettagliato di Fratelli tutti: «la storia sta dando segni di un ritorno all’indietro. Si accendono conflitti anacronistici che si ritenevano superati, risorgono nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi. In vari Paesi un’idea dell’unità del popolo e della nazione, impregnata di diverse ideologie, crea nuove forme di egoismo e di perdita del senso sociale mascherate da una presunta difesa degli interessi nazionali».
Questa condanna del nazionalismo colpisce, in secondo luogo, perché è anche una presa di distanza esplicita dalla Chiesa del passato: «la Chiesa ha avuto bisogno di tanto tempo per condannare con forza la schiavitù e diverse forme di violenza. Oggi, con lo sviluppo della spiritualità e della teologia, non abbiamo scuse. Tuttavia, ci sono ancora coloro che ritengono di sentirsi incoraggiati o almeno autorizzati dalla loro fede a sostenere varie forme di nazionalismo chiuso e violento, atteggiamenti xenofobi, disprezzo e persino maltrattamenti verso coloro che sono diversi».
2. Voglio insistere su questi aspetti dell’enciclica perché di fatto sottendono un netto anticorporativismo. Si tratta, cioè, della presa di distanza da ciò che la Chiesa è stata per molto, troppo tempo, prima del Concilio Vaticano II. Alcuni commentatori sottovalutano questo passaggio. Rileggono questa enciclica sociale all’interno della tradizione iniziata con la Rerum novarum: dove il rilievo dato ai corpi intermedi (corporazioni, corpi intermedi tra Stato e cosiddetta società civile, cioè il mercato) ha sempre sotteso uno sguardo rivolto all’indietro, cioè alla società di antico regime. Secondo una riflessione che ha aperto la strada al compromesso con il fascismo, cioè con la più compiuta espressione del nazionalismo. Salvaguardando, al contempo, l’autonomia della Chiesa. Una autonomia fatta non solo di dottrina, ma anche di patrimonio e di azione sociale. Il compito, in fondo, era quello di riconquistare palmo a palmo quel dominio sulla società che la Chiesa aveva perduto con la Rivoluzione francese, per apprestarsi a riconquistare il dominio sullo Stato.
3. Ecco allora che l’antiliberalismo di Fratelli tutti assume un connotato differente da quello che risulta da una lettura continuista delle encicliche sociali. Secondo aspetto dell’enciclica da sottolineare: non è il liberalismo inteso come moderna liberaldemocrazia a essere oggetto di critica. La liberaldemocrazia viene invece difesa, insistendo sulla fratellanza come motore morale della libertà e dell’eguaglianza. L’enciclica critica, invece, il capitalismo liberista.
Niente di nuovo, si dirà. Anche in questo caso la Chiesa ribadisce una critica a quell’egoismo materialistico relativistico tipico del pensiero e della società liberale. Eppure anche in questo caso mi sembra di poter affermare che lo sguardo di Fratelli tutti è rivolto all’oggi e al domani e non al passato. Non possiamo dimenticare, infatti, che ha fatto breccia profonda all’interno della Chiesa proprio il cosiddetto liberismo economico, anche nelle sue forme più estreme e disgregatrici dell’umano consorzio.
4. Quanto è avvenuto in Italia assume, anche questa volta, un valore esemplare. Mai dimenticarsi che il più immane processo di privatizzazione dell’economia e di liberalizzazione dei mercati che è avvenuto nel mondo occidentale si è realizzato nel nostro paese ed è stato condotto da esponenti del cattolicesimo politico-economico. Mai dimenticarsi che la liberalizzazione ha coinvolto soprattutto, se non esclusivamente, il mercato del lavoro perché in altri mercati prevale fiorente la rendita oligopolistica, ora industriale, ora finanziaria, ora economico-politica. Mai dimenticarsi che gli esponenti di questo cattolicesimo liberista sono ancor oggi operanti: in America Latina, nel mondo intero, in Italia. Mai dimenticarsi che il nazionalismo e l’autoritarismo xenofobo, razzista e corporativo (cioè antidemocratico) hanno avuto una declinazione anche liberista: in Italia, in America Latina, nel mondo. L’esperienza della pandemia ci ha insegnato che siamo arrivati a un passo dal baratro: perché all’interno del liberismo cattolico che si è presentato come “progressista” e antinazionalista si è arrivati a pensare di disfarsi di conquiste sociali fondamentali come la sanità pubblica, riducendola a un affare di mercato.
5. Terza annotazione: non scorgo in Fratelli tutti quell’anelito alla pacificazione sociale tipico di diverse forme di corporativismo nazionalistico e confessionale: «amare un oppressore non significa consentire che continui ad essere tale; e neppure fargli pensare che ciò che fa è accettabile». Rinunciando a indicare un preciso e unico modello sociale e politico da realizzare, Fratelli tutti apre di nuovo il campo alla politica, il cui spazio è quello del conflitto («la vera riconciliazione non rifugge dal conflitto, bensì si ottiene nel conflitto»): «l’incuranza sociale e politica fa di molti luoghi del mondo delle strade desolate»; ci vuole uno «Stato presente e attivo»; non si può accettare che l’economia «assuma il potere reale dello Stato». L’enciclica ridà di fatto dignità al problema dello Stato, affrontandolo, questa volta, con gli strumenti della cultura moderna, non certo con quelli del corporativismo medioevale, del nazionalismo o del liberismo. Mi sembra, insomma, che l’enciclica si ponga il problema dello Stato facendo leva su quella cultura che, a cominciare dalla Rivoluzione francese (il cui motto è ripreso nell’enciclica), ha inteso il progresso come organico concatenamento tra diritti individuali (quelli delle donne compresi1) e diritti sociali, tentando di piegare a favore dell’interesse generale la logica del profitto e della proprietà privata. La quale deve avere una funzione sociale in una cornice in cui tutti gli individui – migranti, nullatenenti compresi – hanno diritto all’uso dei beni della terra.
Sarebbe politicamente irresponsabile ricordare che questa posizione sulla proprietà privata non fa che riproporre, senza novità alcuna, una lunga tradizione di pensiero. È invece la cornice ideale e morale in cui essa è ora inserita a renderla nuovamente operativa e in forme del tutto nuove rispetto al passato.
6. Quarta annotazione: trovo scarsa continuità con le precedenti encicliche sociali perché Fratelli tutti non mi sembra dia eccessiva importanza al cosiddetto “principio di sussidiarietà”, recente incarnazione del ruolo dei corpi intermedi tra Stato e mercato. Il principio è ancora richiamato, certo (ogni enciclica vuole e deve presentarsi come continuità dottrinale), anche se una sola volta e in un’accezione particolarmente audace – ogni essere umano deve diventare artefice del proprio destino – e soprattutto aperta. In fondo, il principio di sussidiarietà può essere considerato come uno dei prodotti della fine del secolo breve: i corpi intermedi, epicentri di varie forme di economia sociale di mercato, pur agendo talvolta come argine alle forme più antiumane di capitalismo e spesso come sostituto dello Stato sociale, sono stati di fatto uno degli strumenti del suo smantellamento.
7. Potremmo chiederci se questa enciclica è il coronamento di quella riflessione che un grande studioso ha individuato avere un centro propulsore molto preciso nell’azione di Papa Bergoglio: «l’urgenza di una Chiesa povera per poter riacquistare voce e credibilità in una società dominata dall’oppressione e dallo sfruttamento»2. Non è questa la sede per tentare una risposta. Quello che si può dire è che questa enciclica cade in un mondo che ha deliberatamente fatto carta straccia proprio di quella cultura sulle cui spalle sale la Chiesa che Papa Bergoglio vorrebbe. E il fuoco di sbarramento che già offre la pubblica opinione ora liberista ora nazionalista, se non propriamente oscurantista e confessionale, ci avverte che sarebbe davvero ridicolo non accettare l’invito di Fratelli tutti a un serio dialogo con questo tipo di Chiesa. Altrettanto ridicolo sarebbe però abbeverarsi a una fonte senza andare alla sua sorgente, che abbiamo scoperto essere viva e fresca e rigogliosa e che ha una propria autonomia. Ben più di quanto è in grado di rimandarci questa enciclica.
1 Con parole che sembrano dirette anche alla Chiesa, si scrive: «l’organizzazione delle società in tutto il mondo è ancora lontana dal rispecchiare con chiarezza che le donne hanno esattamente la stessa dignità e identici diritti degli uomini. A parole si affermano certe cose, ma le decisioni e la realtà gridano un altro messaggio».
2 Giovanni Miccoli, Francesco. Il Santo di Assisi all’origine dei movimenti francescani, Roma, Donzelli, 2013.