extracomunitariadi Rino Genovese

Il titolo è grossolano, da giornale di cronaca nera – eppure riassume e descrive in modo oggettivo ciò che si è determinato al primo mattino dell’8 gennaio scorso in un piccolo appartamento del centro di Firenze. Un giovane senegalese arrivato da poco in Italia – “clandestino” secondo una certa vulgata – ha ucciso una trentacinquenne statunitense domiciliata appunto in quell’appartamento. Entrambi avevano bevuto e probabilmente assunto sostanze stupefacenti. La crudeltà risulterebbe dalla circostanza che lui, dopo averle sbattuto la testa fino a provocarle un paio di fratture al cranio, ha infierito strangolandola. Perché? La difesa di lui, che ha confessato il delitto, è consistita nel dire che non aveva intenzione di uccidere ma solo di reagire al modo sbrigativo in cui lei l’avrebbe messo alla porta dopo un rapporto sessuale piuttosto estemporaneo (i due si sarebbero conosciuti quella notte stessa in un locale).

Se i fatti sono questi, le osservazioni sono le seguenti. La violenza – che nel mondo contemporaneo è diventata un mezzo di comunicazione al pari di altri, anche quando assume l’aspetto gratuito della crudeltà – scatta più facilmente in uno stato di alterazione, ma affonda le radici nella compresenza e collisione tra pretese e culture differenti. Per una turista americana – che vive Firenze come un luogo di svago e un posto in cui far tardi la notte – appare ovvio portarsi a casa un giovane senegalese senz’arte né parte: è il gioco della bianca con il nero. Per un africano che – facile supporlo – tira a campare tra mille difficoltà, il gioco del nero con la bianca non finisce lì, c’è da tentare di ricavarne qualcosa di più: non mi riferisco tanto ai soldi, quanto a quella cosa impalpabile e tuttavia fortissima che si chiama riconoscimento. “Ma come? Mi liquidi subito dopo aver fatto l’amore?” Il momento comunicativo della violenza appare qua. Ti maltratto, ti uccido perfino, affinché tu comprenda che non puoi trattarmi così. La distruttività, la crudeltà, sono il di più che appare quando la richiesta di riconoscimento si fa perentoria e insoddisfatta, in un contesto che a noi sembra quello di un grande fraintendimento circa le reciproche motivazioni di un incontro.

Ora andiamo a spiegare tutto questo ai nostri xenofobi, ai nostri leghisti, o finanche a quelli che, difendendo la sacrosanta libertà delle donne, non vedono come lotta per il riconoscimento e “lotta dei sessi” (per usare una vecchia espressione protonovecentesca) s’intreccino inevitabilmente nel mondo contemporaneo. Rischiamo di non essere compresi, lo sappiamo. Allora, con semplice understatement, ci limitiamo a far notare che, se extracomunitario l’uno, è extracomunitaria anche l’altra.