di Marcello Rossi

L’articolo 85, secondo comma, della Carta costituzionale recita: «[…] il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica». Ma Parlamento e delegati regionali, dimentichi di questo articolo, hanno eletto il Presidente già in carica, cioè il vecchio Presidente.

C’è chi sostiene che «nuovo Presidente» vada interpretato come “Presidente per il nuovo settennato”, ma allora la Carta, che è particolarmente parca nell’uso delle parole, avrebbe dovuto statuire che Parlamento e delegati regionali si riuniscono per eleggere il Presidente per il nuovo settennato. In altre parole, è fondamentale stabilire a chi attribuire l’aggettivo “nuovo” e la Carta non pone dubbi in proposito.

C’è ancora chi sostiene che in una situazione particolarmente difficile come quella che viviamo (pandemia e Pnrr), al di là delle regole costituzionali, non si poteva fare a meno di rieleggere Mattarella – cioè riproporre l’esistente – perché un nuovo Presidente della Repubblica avrebbe potuto mettere in crisi l’attuale establishment con l’eventualità di elezioni politiche che avrebbero potuto mettere in forse la realizzazione del Pnrr. A estremi pericoli estremi rimedi.

Se veramente si riteneva che l’Italia stesse attraversando uno stato di grave emergenza, cosa di cui dubito fortemente, il Parlamento, di fronte a tanto pericolo, avrebbe potuto prendere la decisione di protrarre per un periodo determinato, ma comunque breve, la presenza di Mattarella al Quirinale, rimandando di conseguenza l’elezione del nuovo Presidente alla soluzione dell’emergenza. Non mi nascondo che anche una decisione di tal genere sarebbe stata fuori dalle indicazioni della Carta, ma sarebbe stata più in linea con lo spirito della Carta, più di quanto lo sia stata la rielezione del vecchio Presidente. E ci saremmo risparmiata anche la messa in scena di quel kolossal molto più simile alla Cleopatra di Elizabeth Taylor o a Ben-Hur di Chariton Heston che non a una normale (secondo norma) elezione di un Presidente di una Repubblica fondata sul lavoro, che della morigeratezza dovrebbe fare un proprio segno distintivo, e questo perché il Presidente della Repubblica italiana non è il re sabaudo che regnava ma non governava, né il re d’Inghilterra che fonda il suo potere sulla tradizione ed è soltanto un organo di rappresentanza. Nella nostra Costituzione il Presidente della Repubblica, ponendosi come mediatore fra i tre poteri fondamentali – il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario – costituisce una sorta di ago della bilancia che deve compensare ogni più piccolo conflitto e squilibrio che si venga a delineare fra i tre poteri, per evitare che la politica governativa si indirizzi per vie divergenti dalle direttive politiche prefissate nella Costituzione. E questo perché la nostra Costituzione è – o almeno dovrebbe essere – una Costituzione programmatica. Uso in subordine il condizionale perché tutti i governi democristiani della Prima repubblica si sono sistematicamente dimenticati di questa caratteristica e la politica del governo ha battuto sempre vie divergenti rispetto alle direttive prefissate dagli articoli della Carta, tanto che Calamandrei, nel mettere in luce il fenomeno, commentava: «questo è l’assurdo della situazione italiana: che chi si richiama alla Costituzione, fa la figura di essere un sovversivo, che la questura ha l’ordine di tener d’occhio!». E la situazione non è cambiata con i governi berlusconiani e non della Seconda repubblica, con la differenza che chi si richiama alla Costituzione non appare più un sovversivo ma un ingenuo e un illuso. E la cosa è così evidente che ormai si parla addirittura di Costituzione “reale”, volendo con l’aggettivo marcare la differenza fra il dettato degli articoli della Carta e la prassi politica.

Io credo che Mattarella nel suo rifiuto a una rielezione, che per giorni e giorni ha portato in campo, si sia rifatto all’articolo 85 della Carta. Ha ceduto poi di fronte alla richiesta pressante del Parlamento – i rappresentanti del popolo – non prendendo in considerazione che il Parlamento doveva attenersi ai dettami della Costituzione («La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione»), e non la Costituzione ai desiderata del Parlamento. Il Presidente della Repubblica, in quanto garante della Costituzione, avrebbe dovuto rispondere al Parlamento con un chiaro e netto non possumus, e non perché aveva previsto per sé un nuovo e diverso percorso di vita, ma perché con questo rifiuto affermava il valore primario del dettato costituzionale.

E se avesse voluto approfondire il perché di tanta pressante richiesta dei rappresentanti del popolo gli sarebbe stato evidente che costoro non tanto difendevano gli interessi del popolo quanto quelli di se stessi. Vorrei commentare parafrasando Luigi Mercantini: Eran trecento, eran giovani e forti, …e sono vivi.