di Marcello Rossi
Se vince il no la politica italiana può essere attraversata da diversi scenari. Vediamone alcuni.
Il primo, il più probabile, è che Renzi salga al Colle e rimetta il mandato nelle mani del presidente della Repubblica e questi, che è “creatura” di Renzi, lo rimandi alle Camere per una nuova fiducia. E qui si pone il problema: chi è disposto a dare la fiducia? Se si esclude a priori il M5S, non resta che Forza Italia di Berlusconi-Parisi, ma l’operazione potrebbe essere rischiosa per Forza Italia perché il gruppo che fa riferimento a Brunetta e Toti potrebbe non essere disponibile e potrebbe aprire una crisi in vista di un apparentamento con la Lega e con Fratelli d’Italia. Anche nel Pd, comunque, la fiducia della cosiddetta sinistra non è scontata. Non credo che si vada a una scissione, ma potrebbero prendere corpo un’astensione o addirittura un voto contrario. Ma poi, di fronte a una vittoria del no, Renzi, dopo tutto quello che ha sostenuto, con quale programma potrebbe chiedere la fiducia? È vero che l’uomo è capace di giocare più parti in commedia e con molta disinvoltura promettere mari e monti, ma a tutto c’è un limite. Già in una esternazione che aveva il sapore della verità Renzi ebbe a sostenere le sue dimissioni se il referendum non fosse andato secondo le sue aspettative – e di questo è stato poi ampiamente rimproverato dai suoi – ma a me sembra che una volta tanto abbia detto una cosa giusta e che, di fronte a un risultato negativo, non gli resti che declinare l’invito di Mattarella.
Ma se declina Renzi, si chiedono in molti, chi determinerà le sorti del Pd? Come rinunciare a cuor leggero a un “comunicatore” così abile, a un “rottamatore” così determinato, a un “politico” così scaltro? A me in verità Renzi, più che un novello Cesare Borgia, sembra un Pier Soderini, e direi che l’epigramma di Machiavelli gli calzi a pennello1, ma io appartengo alla schiera di coloro che ritengono che “comunicatori” e “rottamatori” siano stati e siano la morte della politica e per questo, forse, non faccio storia.
Dunque, tornando a Mattarella, come si comporterà, dopo che Renzi sarà stato costretto a rinunciare? Negli ambienti romani già si parla di un governissimo “tecnico”, “di garanzia” o “di scopo” – sostenuto da Pd, centristi e Forza Italia e presieduto dall’attuale presidente del Senato, Pietro Grasso – per il varo di una nuova legge elettorale.
Che la vittoria del no comporti una nuova legge elettorale rispetto a quella che Renzi e la Boschi avevano messo in cantiere è più che naturale, ma che Pd, Forza Italia e centristi, sotto la guida di Grasso, realizzino una “buona” legge elettorale è tutto da dimostrare. D’altronde quand’è che una legge elettorale è “buona”? Al proposito si potrebbero portare in campo molte teorie ma, secondo me, una legge elettorale è “buona” quando afferma il principio «una testa, un voto» e garantisce il rispetto delle opposizioni. Il che, in soldoni, significa il ritorno al proporzionale e il rifiuto del premio di maggioranza, che, comunque lo si voglia giustificare, ha il sapore di una truffa. Ma purtroppo sono, queste, due condizioni che il “governissimo” in questione non prenderà mai in considerazione. Inoltre, se il gossip romano ha una sua verità, non si capisce come e perché le forze che Mattarella chiamerebbe a formare la nuova legge elettorale – Pd, Forza Italia e centristi – sarebbero rappresentative del no, dal momento che, esclusa Forza Italia, si sono schierate per il sì. Misteri della politica, misteri che però nascondono una loro verità: tarpare le ali al Movimento cinque stelle che risulterebbe essere il vero vincitore della partita, insieme a Massimo D’Alema.
Se vince il no, inoltre, non ci si può fermare alla legge elettorale. Occorrerà che il governo che uscirà dalle elezioni, che finalmente il presidente della Repubblica sarà costretto a concedere, metta mano alla Costituzione almeno su due punti (l’ho già scritto ma lo ripeto perché in questo caso repetita iuvant): a) attui un dimagrimento consistente delle due Camere: 200 senatori e 400 deputati, pagati la metà di quello che oggi percepiscono, sarebbero più che sufficienti e b) quanto al Titolo V, dopo che le Regioni hanno dato quella deprimente prova di sé che tutti conosciamo, ripensi tutto quanto l’ordinamento e si renda conto che non ci possiamo permettere 20 Regioni che si muovono come se fossero 20 Stati. Forse bisognerà riprendere in mano Cattaneo e Salvemini o meditare queste parole che Mario Bracci nel lontano 1945 scrisse proprio sul «Ponte»: «Se l’Italia dovesse essere ordinata come stato federale, certamente le regioni attuali non sarebbero una base territoriale adeguata […]. Bisognerebbe ricercare la base territoriale dello Stato federale in limiti assai più vasti e magari adottare quella grande divisione che è viva nelle abitudini italiane, cioè l’Italia settentrionale, l’Italia centrale, il Mezzogiorno, la Sicilia e la Sardegna, salvo qualche statuto speciale per le zone di frontiera»2.
In definitiva se vince il no, quel popolo italiano che già un’altra volta, quando regnava Berlusconi, ha detto no, ci libererà dall’incubo di quei “soderini” che in questi ultimi anni si sono atteggiati a giovani leoni per seguire i “disinteressati” consigli della J. P. Morgan, la più grande banca d’affari del mondo, che ci propone di smantellare il nostro sistema democratico perché questo richiede il mercato. Dunque il no è un no alle “inderogabili” leggi della finanza e un sì alla Costituzione nata dalla Resistenza.
1 Recita l’epigramma: La notte che morì Pier Soderini / l’anima andò de l’inferno a la bocca; / gridò Pluton: «Ch’inferno? Anima sciocca, / va su nel limbo fra gli altri bambini».
2 Mario Bracci, Aspetti pratici del problema regionale, «Il Ponte», n. 9, dicembre 1945, p. 772.