di Rino Genovese
Nel precedente articolo dicevo che in Italia a sinistra nulla si muove, e poteva sembrare un’affermazione temeraria a pochi giorni da una probabile scissione del Pd e dal congresso costitutivo di una formazione politica che si chiama Sinistra italiana. Ma, a proposito di una separazione che era nelle cose da tempo (e che perfino oggi, mentre scrivo, ancora non è stata formalizzata), qualcosa si sarebbe potuto muovere se fosse stata fatta nel momento giusto, quando il governo Renzi imponeva il suo jobs act, mentre adesso appare piuttosto una scissione dei gruppi dirigenti. Quali i contenuti, infatti, se i protagonisti della stessa non hanno il coraggio di mettere anzitutto in questione, in maniera apertamente autocritica, le scelte del passato che li videro artefici di un progetto del tutto inconsistente come quello del Pd?
Tra i promotori della scissione solo Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana, ha parlato di socialismo: lui sembra essersi accorto che senza un riferimento ideale forte, senza un aggancio alla storia del movimento operaio – che certo non si può riproporre in maniera nostalgica o come una sorta di vangelo – oggi non può esserci alcuna battaglia politica neppure semplicemente democratica. Il capitalismo neoliberista, negli scorsi decenni, ha profondamente alterato gli equilibri democratici costituiti nel dopoguerra; ed è venuto in chiaro, in particolare dopo l’ultima crisi, che nessun progresso può esserci  – nessuna forma di emancipazione collegata, per esempio, a un uso collettivamente liberante della tecnologia – senza una critica degli squilibri anche ambientali prodotti da un modello di sviluppo ingiusto e sbagliato.
Per Roberto Speranza, capofila dei bersaniani, la responsabilità della scissione non può che ricadere sulle spalle di Matteo Renzi, sulla sua assoluta presunzione leaderistico-plebiscitaria. Cari bersaniani, non avevate ancora capito che tipo era quando gli avete concesso di saltare dalla poltrona di segretario (raggiunta con il perverso meccanismo delle “primarie”) a quella di presidente del Consiglio, licenziando di brutto Enrico Letta? Se è così, quale mancanza di penetrazione psicologica la vostra! Il calcolo di condizionarlo, imbrigliarlo, tenerlo in pugno si è rivelato un sogno, perché completamente perverso è il meccanismo delle “primarie”, addirittura per l’elezione del segretario del partito, che avevate predisposto senza pensare che avrebbe potuto sfuggirvi di mano. Oggi Renzi punta a una rilegittimazione attraverso un congresso-farsa insito nella stessa concezione del Pd. A voi, cari bersaniani, non resterebbe che cantilenare il motto “chi è causa del suo mal…”.
A Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia, che, a quanto risulta, fino all’ultimo si è adoprato per ammansire Renzi e persuaderlo a una mediazione con gli oppositori, va la qualifica di “renziano pentito”. Bisogna dargli atto di avere ammesso il proprio errore con onestà . Ma, a parte il fatto di considerare i suoi compagni di scissione (ammesso che lui alla fine riesca a scindersi davvero…) delle “brave persone” (come gli abbiamo sentito dire, cosa di cui non dubitiamo), quali sono i contenuti politici delle sue motivazioni? L’unica di cui ci abbia detto è la rottura con il governo Renzi sulla questione delle trivelle nell’Adriatico: certo non poca cosa per il presidente di una regione che ha svariati chilometri di spiagge, ma nulla di più che un dissenso su un tema specifico, poco adatto al respiro generale che dovrebbe avere la costituzione di una forza politica.
Veniamo così a Sinistra italiana, questa “nuova” formazione che proprio nuova non è, essendo in sostanza una Sel allargata a qualcun altro. È evidente, sta scritto nelle cose elettorali della politica, che un piccolo partito del tre o quattro per cento debba pensare a fare alleanze, qualunque sia il sistema con cui si andrà al voto. Oggi la sponda che si delinea è quella dei fuoriusciti dal Pd (per tacere di quella scarsamente comprensibile che pretenderebbe di offrire l’ex sindaco di Milano Pisapia). Il compagno D’Attorre è stato un po’ troppo impulsivo nel presentare una mozione al congresso costitutivo di un partito a cui, mentre nasceva, già si proponeva lo scioglimento in qualcos’altro. La sua mozione è stata infatti respinta a larghissima maggioranza. Ma tant’è: D’Attorre ha soltanto anticipato il prossimo futuro nella cui sfera si intravede una specie di listone di tutti gli anti-renziani… D’accordo, ma con tutta la buona volontà un po’ poco per poter dire che a sinistra qualcosa davvero si muova.