di Omar Makimov Pallotta

1. L’orizzonte di pensiero di Piero Calamandrei è uno dei più ampi che il Novecento abbia avuto la fortuna di testimoniare. Di qui il comprensibile imbarazzo di chi ambisca a padroneggiarlo. Una cosa, tuttavia, è certa: la perfetta messa a fuoco delle riflessioni del giurista fiorentino è possibile solo in seguito a una corretta metabolizzazione delle sue considerazioni sull’Europa federata. Per questo motivo va salutata con gioia la recente pubblicazione di Questa nostra Europa, raccolta di alcuni tra i più importanti interventi del Calamandrei federalista ed europeista curata da Enzo Di Salvatore per i tipi di People. Il federalismo, per il professore toscano, consiste nella «rinuncia degli Stati federati alla pienezza della loro sovranità»[1], la quale verrebbe in parte ceduta «a uno Stato centrale sopraordinato»[2], al fine di ricostruire l’Europa non già come «equilibrio di forze contrapposte», bensì come «federazione di popoli»[3]. I contributi di Calamandrei in tema di federalismo europeo non peccano mai di astrattezza, ma hanno radici ben salde nella realtà: egli è sacerdote del federalismo e predica la sua dottrina nei consessi più disparati proprio nel periodo in cui è impegnato in prima persona nell’edificazione della Costituzione repubblicana; e non a caso: l’afflato federalista trova allora il suo acme proprio perché è nella nascenda Carta costituzionale che avrebbe dovuto trovare fertile terreno. Calamandrei punta il dito contro «il solito scemo pessimista […] il quale osserva che la Costituente è fatta per risolvere problemi interni»[4]. Il federalismo ha una funzione servente rispetto al mantenimento della pace tra i popoli e, per il giurista, sia lo strumento che l’obiettivo avrebbero dovuto trovar spazio tra le disposizioni costituzionali di futura approvazione[5]. Questo sarebbe poi avvenuto: l’art. 11 della Costituzione, tuttora immutato, consente (e ha, di fatto, consentito) le limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni.

2. I diritti di libertà, vittime illustri del ventennio autoritario che l’Italia si lasciava alle spalle e oggetto privilegiato di studio di Calamandrei, avrebbero trovato nella federazione europea, secondo quest’ultimo, una (più) idonea salvaguardia, perché sottratti a «potenziali attentati provenienti dalla sovranità interna dei singoli Stati»[6]. Già nella fondamentale prefazione al volume di Ruffini sui diritti di libertà, Calamandrei parlava del «germe di un’idea», ossia del fatto che la garanzia scambievole dei diritti di libertà dovesse essere sottratta al potere dei singoli Stati e affidata al controllo di una federazione. E ciò perché «il rispetto della persona umana, di cui i diritti di libertà sono espressione giuridica, non è un’esigenza di ordine individuale e neanche una questione di politica interna che ogni Stato possa risolvere per conto suo, ma è condizione indivisibile per il mantenimento della pace tra i popoli»[7]. Calamandrei ammonisce il lettore evidenziando come la tutela delle libertà individuali sia indivisibile, ossia non suscettibile di una gradazione differente a seconda dell’ente sovrano che le garantisca; la salvaguardia delle medesime deve essere vicendevole e, per questo, affidata a un’entità che stia sopra lo Stato e che ne assorba le prerogative essenziali, tra le quali vi è, per l’appunto, la tutela dei diritti. Calamandrei pensa a una Corte europea cui i cittadini possano ricorrere direttamente in presenza di una supposta violazione delle loro situazioni giuridiche da parte dello Stato[8]; sarebbe stata di lì a poco istituita la Corte Edu, certo non organo giurisdizionale di un’entità federale, ma comunque importante presidio di garanzia delle libertà, nonché la Corte di Giustizia delle Comunità europee, che – lungi dall’attrarre a sé in via esclusiva il ruolo di giudice dei diritti (che le Corti costituzionali statali, la cui attività pretoria prendeva generalmente le mosse nel medesimo periodo, avrebbero gelosamente rivendicato) – nei decenni successivi avrebbe salvaguardato anche le libertà dei popoli degli Stati membri, considerandole “comuni” e, quindi, parte di quel diritto comunitario che i giudici di Lussemburgo sono tenuti a far rispettare.

3. Dalla lettura degli scritti raccolti nel bel volume edito da People si evince come il processo federativo debba sempre fare i conti con «il mito della sovranità statale»[9]. Si badi, però: il suo superamento, avverte Calamandrei, è scritto nella storia dell’umanità, che è «una dimostrazione sperimentale della continua attuazione pratica dell’idea federalista»[10], a partire da aggregazioni elementari come la famiglia fino ad arrivare allo Stato. Un movimento impetuoso verso l’alto che deve essere inevitabilmente sorretto da una «coscienza religiosa», ossia da una ferma convinzione, da parte delle entità federantisi, di cedere la loro sovranità in favore dell’ente federale, che prima ancora di diventare «forma giuridica» deve essere «realtà politica e spirituale»[11]. Calamandrei, tuttavia, afferma che «alla federazione non si arriverà se non attraverso una rinuncia degli Stati federati alla pienezza della loro sovranità»[12], lasciando così intendere che, istituita la federazione, gli Stati membri avrebbero comunque conservato la loro sovranità, seppur non “piena”. A ben vedere, però, nello Stato federale le entità federate dissolvono completamente la loro sovranità in quella, nuova, della federazione. Questo doveva essere, invero, l’approdo della speculazione calamandreiana, ma la povertà di “spirito” degli Stati europei nel secondo dopoguerra lasciò le riflessioni del giurista fiorentino sulla carta; al federalismo si preferì il funzionalismo e le sovranità statali rimasero impregiudicate. Ciò che accadde con l’istituzione delle Comunità europee lo chiarì Hans Peter Ipsen in un passaggio riportato da Enzo Di Salvatore nella sua ricca introduzione alla raccolta: non si assistette tanto a una cessione di porzioni di sovranità da parte degli Stati, quanto piuttosto a «una delega all’esercizio di poteri sovrani, intesa come rinuncia all’esercizio autonomo di tali poteri (per limitati settori) in favore dell’esercizio in comune degli stessi. Ogni ipotesi di disintegrazione della sovranità (e dunque dello Stato) era da escludere recisamente»[13]. Insomma, per riecheggiare le parole del Tribunale costituzionale tedesco nella celebre sentenza sul Trattato di Maastricht, gli Stati erano e restano a tutti gli effetti «Herren der Verträge», ossia signori dei Trattati e fonti di legittimazione del processo di integrazione. In definitiva, a essere stata condivisa a livello sovranazionale fu la potestà d’imperio su determinati settori, non già la sovranità.

4. Come evidenzia Matteo Di Simone nel saggio che chiude la raccolta degli scritti di Calamandrei, l’Unione europea è rimasta schiava di quella «immanente tensione di fondo causata dalla compresenza di due visioni diametralmente opposte»[14], ossia la prospettiva federale e quella confederale; le recenti e preoccupanti riemersioni di quest’ultimo modello sono il prodotto del ritorno sulla scena politica europea di quei nazionalismi che speravamo di aver marginalizzato a colpi di integrazione. Ma l’Europa ermafrodita – per usare un’espressione cara a Giuliano Amato – non avrebbe potuto in alcun modo scongiurare rigurgiti sovranisti proprio perché delle sovranità nazionali non era mai riuscita a sbarazzarsi. E tuttora si paga lo scotto della pavidità mostrata dagli Stati europei nel secondo dopoguerra, quando al nerbo del federalismo si preferì la remissività del funzionalismo. Ed eccoci, allora, ad affrontare la sfida di una pandemia, un fenomeno globale che mette a nudo quell’interdipendenza di cui parlava Calamandrei, senza che si veda nemmeno l’ombra di un coordinamento sovranazionale. E se alcuni plaudono al recente dietrofront della Banca centrale europea, che ora promette un quantitative easing di centinaia di miliardi, altri, come Luigi Ferrajoli, si chiedono perché l’Unione tardi a esercitare le competenze in materia di «salute umana […] contro i grandi flagelli» che i Trattati espressamente le attribuiscono[15]. Manca, come ha ammonito Francisco Balaguer Callejón, una «risposta all’altezza della promessa di solidarietà che ispira il processo di integrazione»[16]. Eppure Calamandrei già ci avvertiva: «Solo nella solidarietà europea, primo passo verso la solidarietà mondiale, è la salvezza»[17]. Le lacune evidenziate, per usare ancora le parole di Matteo Di Simone, sono solo «l’acme di una impasse che in realtà affonda le sue radici più indietro nel tempo»[18]. Forse è ormai tardi per pretendere dall’Europa quel guizzo che per settant’anni ha tardato ad arrivare e, di conseguenza, dovremo forse abituarci a un’Europa «terra di nessuno tra i due eserciti che si fronteggiano»[19]. Tuttavia, vi sono segni dell’emersione di una sfera pubblica globale (si pensi al movimento nato dalla solitaria protesta dell’attivista Greta Thunberg)[20] che potrebbe costituire il fertile humus di un costituzionalismo planetario, la cui implementazione è ormai, a detta dello stesso Ferrajoli, indifferibile. Ma se non può esistere una Costituzione senza uno Stato, per aversi un costituzionalismo planetario servirà una salda volontà politica, quella «fede operosa»[21] che – unica – può indirizzare e dare forma giuridica al moto ascendente di cui parla Calamandrei: «se il movimento […] abbraccerà tutto il mondo, scomparirà la possibilità di una guerra tra uomini, e gli uomini spenderanno le loro energie nella guerra contro la natura»[22]. Qualcuno potrà dire, e non mancheranno prove a supporto, che di questa volontà politica non ve n’è traccia e che, in definitiva, si tratti di pura utopia. Lasciamo, allora, rispondere Calamandrei: «In sostanza, la funzione delle utopie, la funzione degli ideali verso i quali ci si dirige come verso l’arcobaleno che è là alla fine della nuvola, sull’orizzonte, è proprio questa: di aiutarci a camminare in questo duro passaggio attraverso la vita, pur sapendo che quando si arriverà là dove si credeva fosse l’arcobaleno, ritroveremo soltanto un po’ di nebbia; ma l’arcobaleno sarà ancora più in là, e noi continueremo ad inseguirlo senza fermarci»[23].

[1] P. Calamandrei, Costituente italiana e federalismo europeo (1946), in P. Calamandrei, Questa nostra Europa, a cura di E. Di Salvatore, Gallarate, People, 2020, p. 55.

[2] Id., Stato federale e confederazione di Stati (1947), in op. cit., p. 58.

[3] Id., Il federalismo non è un’utopia (1945), in op. cit., p. 46.

[4] Id., Costituente italiana cit., p. 52.

[5] Ivi, p. 54.

[6] Ivi, p. 56.

[7] Id., L’avvenire dei diritti di libertà (1946), Giulianova, Galaad Edizioni, 2018, p. 125.

[8] Id., Stato federale cit., 67.

[9] Id., Appello all’unità europea (1950), in op. cit., p. 101.

[10] Id., Il federalismo non è un’utopia cit., p. 44.

[11] Id., Stato federale cit., p. 66.

[12] Id., Costituente italiana cit., p. 55.

[13] E. Di Salvatore, L’Europa di Piero Calamandrei, in op. cit., pp. 32-33.

[14] M. Di Simone, Europa federata: la lenta dispersione di un’idea, in op. cit., p. 140.

[15] L. Ferrajoli, Il virus mette la globalizzazione con i piedi per terra, «il manifesto», 17.03.2020. L’art. 168, paragrafo 5, del Tfue recita quanto segue: «Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, possono anche adottare misure di incentivazione per proteggere e migliorare la salute umana, in particolare per lottare contro i grandi flagelli che si propagano oltre frontiera, misure concernenti la sorveglianza, l’allarme e la lotta contro gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero».

[16] F. Balaguer Callejón, Solidarietà dimenticata: il fallimento della narrazione pubblica sul coronavirus, in Lacostituzione.info, 20.03.2020.

[17] P. Calamandrei, Appello all’unità europea cit., p. 102.

[18] M. Di Simone, Europa federata cit., p. 154.

[19] P. Calamandrei, op. cit., p. 99.

[20] Sul punto, sia consentito il rinvio a O.M. Pallotta, Is Greta Thunberg revealing the weakness of global constitutionalism?, «The Good Lobby Blog», 15.11.2019.

[21] P. Calamandrei, Stato federale cit., p. 66.

[22] Id., Il federalismo non è un’utopia cit., p.45.

[23] Ivi, pp. 43-44.