di Roberto Russo
L’estate appena trascorsa ha confermato un triste primato italiano: la sua più meridionale regione peninsulare, la Calabria, è e resta una delle porzioni più povere e dimenticate del Paese. Una regione afflitta da antichi vizi e incurabili mali che, seppur tipici di tutta una nazione, nel Mezzogiorno sembrano ingigantirsi per assumere proporzioni ciclopiche. Una vecchia storia legata a una ben nota “questione meridionale” mai risolta, che ci si trascina dietro almeno dall’Unità d’Italia e che, nelle sue camaleontiche variabili ideologiche, sociali, territoriali e politiche, rimarca una perseveranza nel malcostume dura a morire. Nonostante i falsamente buoni (quanto inutili) propositi delle classi dirigenti locali susseguitesi negli ultimi decenni, lo status di regione ultima, quindi, non solo permane ma, purtroppo, si rafforza inesorabilmente.
“Calabria, Mediterraneo da scoprire”, recita uno slogan del lontano 1996 ancora in voga, promosso dall’Assessorato al Turismo della regione nel rimarcare le potenzialità di un territorio per molti versi baciato da madre natura. Peccato, però, che questo lembo di terra, prevalentemente montuoso ma con ben 800 km di costa, non sembri riuscire a far fronte a una incuria nei confronti dell’ambiente, suo valore supremo, che ha dell’incredibile. In questo, l’estate appena trascorsa, con l’intera area regionale sconquassata da quasi 8.000 incendi boschivi e di macchia mediterranea, ha segnato un record assoluto, lasciando, nell’incredulità degli abitanti e nel silenzio quasi totale dei media nazionali, un segno indelebile nel territorio e nel suo tessuto sociale; un vero e proprio marchio, quasi a voler ricordare, se mai se ne fosse persa coscienza, che quella è terra di nessuno, irrecuperabile, gestita da una malavita che non dà respiro e che ne fa quel che vuole, avallata da una governance che, corresponsabile del disastro già solo per non trovarvi rimedio, non genera alcun futuro e alcuna speranza. Un quadro duro e impietoso, insomma, nel quale ignavia e incapacità di riscatto hanno provocato una drammatica devastazione, sociale quanto ambientale, endemicamente presente anche nel suo sviluppo economico, nella sua ormai quasi inesistente cultura, nella produzione e nelle attività umane tutte.
Le ragioni di tale distruzione, tante e fortemente intrecciate tra loro, saranno da ricercare in un’atavica affezione allo status quo, in un profondo disprezzo del territorio che non trova spiegazioni, ma anche, nella fattispecie, in una completa indifferenza alle tematiche ambientali, sia a livello popolare che istituzionale. Quasi che la Calabria sia il punto focale delle tre emergenze più scottanti dell’intero Paese, anch’esse indissolubilmente intrecciate: legalità, cultura e ambiente. Timidi, seppur significativi, segnali vengono dalla reazione di associazioni e comitati costituitisi per far fronte al degrado, i quali potranno fiorire solo se gli organi di Stato daranno loro adeguato supporto e appoggio.