di Luca Lenzini
«Dal greco Brùcho: “digrignare (i denti)”; consiste
nel digrignamento dei denti facendoli stridere,
dovuto alla contrazione della muscolatura masticatoria,
soprattutto durante il sonno»
Wikipedia, ad vocem Bruxismo
«Prendete due coetanei, suppergiù cinquantenni. Uno fa finanza e negli ultimi anni è diventato molto ricco, l’altro fa impresa e negli ultimi anni ha dovuto vendere l’azienda di famiglia. Destinati a non capirsi e non piacersi, hanno invece scritto un libro a quattro mani. Titolo tratto da una canzone di Jim Morrison: Tutto è in frantumi e danza, sottotitolo L’ingranaggio celeste, editore La Nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi. Nell’anno 1999 che prometteva di introdurci a un nuovo millennio di benessere e benefici strabilianti portati dalla globalizzazione, Guido Maria Brera, all’epoca 30 anni, era uno dei soci fondatori del Gruppo Kairos, si occupava di hedge fund e stava per entrare, e più volte, nelle classifiche dei super ricchi d’Italia. Edoardo Nesi, 35 anni, era il fiero rappresentante della terza generazione di un’azienda di imprenditori tessili di Prato, gli affari andavano bene e pensava di vivere nel migliore dei mondi possibili.
Nessuno dei due, nessuno di noi, poteva immaginare la crisi che avrebbe impattato il mondo occidentale. Nesi non poteva immaginare che raccontando la sua vicenda in un libro, Storia della mia gente […], avrebbe vinto il Premio Strega. Brera non poteva immaginare che avrebbe scritto un best-seller, I diavoli […], sui chiaroscuri del suo mestiere, la concentrazione della ricchezza in pochissime mani, l’aumento della povertà, la sparizione della classe media».
Sono queste le parole che introducono un’intervista («Corriere della Sera», 22.4.17) ai due autori di Tutto è in frantumi e danza, pubblicato nel 2017 e ampiamente recensito e commentato dai media di ogni tipo, ma forse sottovalutato quanto allo spessore propriamente drammatico che il testo, in apparenza un saggio a metà tra autobiografia e trattato di storia dell’economia, lascia talora trasparire.
Il tema è il riflesso della globalizzazione sul vissuto dell’ex-imprenditore pratese (a suo tempo “renziano”), e sul finanziere d’assalto formatosi nella City e operante «tra Brunico e Milano» come manager finanziario: il libro non è dunque privo d’interesse per il lettore che voglia spiare in modo ravvicinato e per così dire stereoscopico, da outsider, le dinamiche psico-sociali della Grande Crisi che ebbe il suo culmine nel 2007 e da allora ha segnato la storia di intere nazioni nonché le esistenze dei loro abitanti.
La stessa intervista, tra una citazione da Bono Vox e una da Federico Caffè, non manca in effetti di schiudere spiragli preziosi su come vanno le cose epocali là dove gli Arcana Imperii si traducono in scelte finanziarie e al tempo stesso morali. A un certo punto, per esempio, osserva il Brera: «Io non mi sono mai posto il problema se fosse giusto o no investire contro un’azienda. L’ho fatto, fa parte del mio lavoro. Ma quando c’è stata la crisi della Grecia, mi sono trovato a dover investire contro uno Stato. Avrei preferito non farlo, ma i politici, di colpo, ci hanno detto che i Bond greci potevano fallire. Mi stavano dicendo che io, che avevo prestato i soldi dei miei clienti alla Grecia, potevo perderli. Avevo un imperativo morale a vendere quei titoli. Quello è stato il passaggio storico in cui la finanza è diventata soggetto politico. Non era George Papandreou a governare la Grecia. Eravamo io e quelli come me. Vendevamo i titoli greci e la Grecia era costretta a fare le riforme e mettere in ginocchio i suoi cittadini per non fallire».
Davanti a un tale scenario al lettore-outsider tornerà irresistibilmente alla memoria la suggestiva metafora usata da un osservatore, nel 2015, per descrivere il metodo o modus operandi dei rappresentanti del “Trio” (ovvero BCE, FMI e UE) nelle trattative con il governo greco (guidato da Alexis Tsipras), waterboarding: «forma di tortura consistente nell’immobilizzare un individuo in modo che i piedi si trovino più in alto della testa, e versargli acqua sulla faccia» (Wikipedia). Soltanto una sventata interpretazione dell’andazzo globale, tuttavia, poteva far dubitare che gli Imperativi Morali non fossero all’ordine del giorno anche in quel delicato frangente ellenico (da quelle arcaiche lande non proviene, per l’appunto, anche l’insegna della premiata ditta Kairos, ovvero “tempo opportuno”?); ma va rammentato che in un’altra intervista il Brera ebbe a osservare che anche se lui avesse deciso di non speculare sui titoli greci, l’avrebbe fatto qualcun altro al suo posto e l’esito sarebbe stato il medesimo.
Qui il pensiero del lettore va, piuttosto, a certe pagine di Bauman o Levi in cui sono descritti il funzionamento della Germania in epoca nazista e la vasta “zona grigia” che di quell’efficientissimo funzionamento fu complice; d’altra parte va considerato che per uno scrittore, come aggiunge da parte sua il Nesi, «il senso di colpa è una delle armi migliori» al fine di stimolare l’arte di raccontare, sicché ne deduciamo che senza le notti arrovellate sue e del Brera il nostro best-seller nemmeno avrebbe visto la luce, così privandoci della comprensione dei meccanismi dell’Ingranaggio Celeste. Vale perciò la pena pagare il prezzo del Kairos, conclude il finanziere, affrontandone le conseguenze: «Alla fine, nelle notti insonni, io ho scritto. E ora che il libro è finito mi sento un po’ svuotato. E spaventato dalle notti che mi aspettano. Dormo ancora male e poco, e mi è venuto il bruxismo».