Bomba socialedi Giancarlo Scarpari

A Macerata un fascista, con la runa nazista tatuata sulla fronte, già candidato della Lega nel 2017, sale in macchina, va alla caccia di immigrati di colore, spara trenta colpi di pistola contro di loro, ne ferisce sei, tra cui una donna (e si ricorda anche di colpire la sede del Pd); poi, volendo spiegare il raid mediaticamente, si ferma, si ammanta di tricolore, depone un cero votivo a Mussolini, saluta romanamente e si consegna alla polizia.

La rappresentazione richiama in modo inquietante il recente connubio della Lega di Salvini con i fascisti del primo e del secondo millennio (fascio-leghismo è diventato un termine sempre più ricorrente sui media); il vessillo tricolore viene di continuo sbandierato per accompagnare la lotta senza quartiere condotta dai patrioti contro i migranti (da buttare a mare o da deportare secondo l’ipotesi più “moderata”); la strage voluta, preparata ed eseguita contro gli immigrati di colore indica quale sia il brodo di cultura da cui l’autore della stessa ha tratto ispirazione.

La destra inizialmente sbanda.

Berlusconi, alla sua prima uscita, non vede in tutto questo “niente di politico”.

Si tratta di una dichiarazione grottesca, visto il tipo d’autore, le vittime e la rappresentazione fornita. Salvini lo soccorre prontamente, ma con un doppio salto mortale: dopo aver detto di non vedere pericoli fascisti, accusa la sinistra di avere le mani sporche di sangue.

A questo punto Berlusconi cambia maschera e si adegua, evocando la bomba sociale di 600.000 immigrati che vivono di espedienti e di reati e che esasperano la convivenza civile.

Nel frattempo l’autore della strage non parla davanti al giudice, avvalendosi della facoltà di non rispondere; ma, subito dopo l’arresto, fonti ufficiose spiegano le motivazioni del suo gesto: voleva vendicare l’uccisione e lo strazio fatto al corpo di Pamela Mastropiero da un nigeriano immigrato; il suo difensore ci fa sapere che Traini riceve la solidarietà dei cittadini che incontra per strada; il «Corriere» ci intrattiene sulla figura di sua madre, che ricorda la bontà di un figlio così premuroso nei suoi riguardi, i riflettori si spostano sulla ferocia dell’assassino di Pamela e sui nigeriani che spacciano.

Orbene, chi ha infierito sul corpo della ragazza si è reso protagonista di un delitto certamente efferato; non diversamente, però, da quello compiuto da Maurizio Diotallevi, l’estate scorsa a Roma, sul corpo della sorella, che ha ucciso, ne ha segato le membra e ha scaricato i resti in vari cassonetti della capitale, fatto commentato per due giorni dai giornali e subito dimenticato: Ma si trattava di un assassinio compiuto da un bianco, un italiano, avvenuto per questioni di denaro, all’interno della famiglia e per questo è stato confinato nella cronaca nera.

Qui l’elemento scatenante è stato il colore della pelle di chi ha causato lo scempio: in breve la strage, con la sua connotazione politica, è stata spinta sullo sfondo, in primo piano è dilagata sui media, invece, l’invasione degli immigrati – prodotta dall’ingresso annuo di 119.000 stranieri in un paese di 60 milioni di persone – fatto che rende “intollerabile” la loro presenza nel territorio; e questo costituisce la bomba sociale di cui ha parlato Berlusconi e che le televisioni, nazionali e soprattutto locali, hanno rilanciato nei loro “approfondimenti”.

Renzi e Di Maio, con modeste varianti, hanno accettato questo piano del discorso e solo hanno addebitato agli altri la responsabilità dell’ingombrante presenza della “bomba”; il segretario del Pd, già pentitosi per aver fatto discutere in parlamento la legge sullo jus soli (non già per averla affondata), ha volato basso, continuando così a scivolare su di un piano inclinato.

Perché polemizzare più di tanto con Berlusconi su questo e sui suoi compagni (camerati) di strada? Renzi, con l’ex cavaliere e con Salvini, ha da poco varato il Rosatellum, uno strumento contorto, studiato per colpire la sinistra, fidelizzare il suo partito e ciò anche a costo di favorire la destra, questa destra, così percorsa da pulsioni razziste e fasciste.

Bossi e Fini sono infatti solo un ricordo; i pellegrinaggi a Predappio e alle sorgenti del Po erano  folklore o nostalgia; ma i loro eredi inseguono gli estremismi di oggi, cavalcano tutte le spinte illiberali sorte via via in Europa; e la questione dell’immigrazione – un problema reale, ma enfatizzato ad arte e riassunto in alcuni slogan coniati su misura per i teleutenti impauriti – è la leva che in tutti questi paesi sta scardinando giorno dopo giorno le già deboli strutture dello Stato di diritto. I movimenti che si facevano portatori di queste ideologie razziste e illiberali sino all’altro ieri costituivano minoranze aggressive ma controllate dai governi dei loro paesi; via via, però, da movimento di opposizione si sono fatti Stato, dapprima nei territori ex comunisti (oggi neoliberisti sotto protezione Nato), quindi anche nella confinante Austria (sotto l’ombrello del Partito popolare); e con queste variegate colorazioni politiche, là quegli Stati e da noi questi partiti danno sostanza e obiettivi al loro “sovranismo”.

Per questo, di fronte al raid razzista esploso a Macerata, minimizzare, sopire e discutere di bombe sociali prodotte dalla “invasione” dei migranti, dimenticando la strage, i rigurgiti fascisti, le tolleranze, le comprensioni, le oblique o le aperte adesioni (non solo in rete) che l’hanno accompagnata, significa voler mettere la testa sotto la sabbia e disarmare culturalmente, ancora prima che politicamente.

L’avere poi Renzi favorito con la legge elettorale proprio le forze che della lotta senza quartiere contro l’immigrazione si fanno portatori – e questo per recintare il proprio orticello dinanzi all’ennesima scadenza elettorale – costituisce il metro con cui valutare lo spessore e la lungimiranza politica dello statista di Rignano. A questo punto, si può solo sperare che le previsioni di una vittoria completa della destra in queste elezioni, cui tanto il giocatore d’azzardo avrebbe contribuito, non finiscano per avverarsi.

Questa è la “bomba” politica che Renzi, lungi dal disinnescare, ha invece ciecamente coltivato.