di Rino Genovese
Quando si sbaglia si sbaglia, non si può far altro che ammetterlo. Nonostante la nostra antipatia per Renzi – che viene dal personaggio, dallo scoutismo originario fino all’approdo arrivistico-rottamatorio, oltre che dallo stile della sua comunicazione ricalcato su Berlusconi ma perfezionato dall’uso dei nuovi media –, e nonostante il giudizio del tutto negativo sulla proposta di legge elettorale approvata alla Camera, alcune delle scelte di politica economica annunciate dal presidente del consiglio, in particolare quelle riguardo alla riduzione dell’Irpef e all’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie, vanno nella direzione giusta. C’è una discontinuità nei confronti dei governi Monti e Letta che non ci saremmo aspettati di vedere. Diamo atto a Renzi di averci sorpreso (per quello che contiamo, cioè zero), e siamo contenti di esserci sbagliati su questo punto. Tutto lasciava pensare che, nella sostanza, avrebbe sottostato all’austerità europea. Invece Renzi si sta muovendo nel senso di un allentamento dei vincoli e in quello di una revisione del patto di stabilità .
Per essere chiari, se anche le sue mosse fossero dettate da un’intenzione in fin dei conti elettoralistica (non dimentichiamo che il governo ha davanti a sé, come prova del fuoco, le prossime elezioni europee), ciò non toglie che dare più soldi in busta paga ai lavoratori, al punto a cui sono arrivate le cose, è una boccata di ossigeno non solo per gli stessi lavoratori ma per l’economia in generale, che soffre di una paurosa restrizione della domanda. È una sfida moderatamente progressista, quella lanciata da Renzi, cui fanno da contrappeso alcuni aspetti del Jobs act che, al contrario, non ci piacciono per niente, perché sembrano proporre non un’inversione di tendenza ma un rafforzamento della precarietà del lavoro.
Si ritorna qui al punto di partenza, e cioè al blairismo di Renzi. Ci sono oggi i margini per realizzare una politica di liberismo progressivo, in una situazione di crisi innescata alcuni anni fa da processi non di poco momento di finanziarizzazione dell’economia, con le loro annesse bolle speculative? È possibile confidare nel mercato, o nei mercati, per una ripresa? O non ci sarebbe bisogno, invece, di un nuovo intervento statale ad ampio raggio (per intenderci, non soltanto per salvare le banche in difficoltà , com’è stato fatto), da sostenere non a partire dai singoli Stati sovrani (dov’è oggi la “sovranità nazionale”?) ma da politiche messe in campo a livello europeo e nell’ottica, quasi utopica, di entità statali sovranazionali?
Questa, a nostro avviso, l’autentica sfida. Intanto però non possiamo non dirci contenti di una riduzione dell’Irpef.