La bella e la bestiadi Rino Genovese

All’inizio c’era un problema troppo semplice per essere risolto semplicemente: si trattava di fare una nuova legge elettorale dopo che la precedente, ormai da tutti ritenuta pessima, aveva ricevuto infine il marchio d’incostituzionalità dalla Corte, che modificandola l’ha resa una legge elettorale proporzionale sui generis in quanto nata con l’impianto da premio di maggioranza tipico del “porcellum”. Si sarebbe potuto mirare a una riforma che prevedesse il doppio turno nei collegi (la proposta del Pd), o si poteva ritornare al sistema precedente, il “mattarellum”, eliminando il barocchissimo meccanismo dello scorporo, e così accentuandone il carattere maggioritario; oppure si potevano mettere in campo altre ipotesi in linea con quanto sentenziato dalla Corte costituzionale, che ha stigmatizzato la mancanza di scelta da parte dell’elettore dovuta alle liste bloccate. Si sarebbe poi andati in parlamento – i voti alla Camera ci sono, al Senato si sarebbe dovuto trovarli – e, cercando un accordo con una parte delle opposizioni basato anche sulla prospettiva di un ritorno alle urne a breve, si sarebbe fatta una legge elettorale valida per la Camera e il Senato – magari inserendo nel pacchetto, in omaggio a una mentalità da “revisione della spesa”, una riforma costituzionale che prevedesse il taglio del numero dei parlamentari.

Ma no, troppo semplice. Si doveva piuttosto mettere in campo una di quelle riforme “epocali” che per lo più non riescono al fine di creare un’effervescenza nel paese intorno a un cambiamento che richiede tempi tanto lunghi da garantire il governo in carica (anche con la minaccia di un ritorno alle urne con una legge elettorale come quella in vigore, che nessuno ha voluto) fino al 2018, anno di scadenza della legislatura. Questa la grande trovata della Bella, al secolo Maria Elena Boschi, e della Bestia ispiratrice, al secolo Matteo Renzi. Ai quali bisogna ricordare alcune circostanze, peraltro anche ovvie: 1) che l’avere raggiunto il consistente risultato del 40,8% dei suffragi in un’elezione per il parlamento europeo, con una percentuale dei votanti molto più bassa rispetto a quella delle elezioni politiche nazionali, non dà loro alcuna investitura per modificare l’architettura costituzionale in punti essenziali; 2) che l’avere contrattato, in un incontro tra pochi intimi, una riforma della legge elettorale molto simile, sotto diversi profili, a quella precedente, non li esime dal confronto in parlamento con i dissensi e le “fronde” che si determinano; 3) che avere legato una riforma elettorale, pensata solo per la Camera, a una sostanziale abolizione del Senato, nelle intenzioni da eleggere in modo indiretto, con la fine del cosiddetto bicameralismo perfetto, li espone a un iter così incerto (ve li vedete voi i senatori che, come docili capponi, si infilano da se stessi nel forno?) che il fallimento è altamente probabile.

Non ci si sottrae quindi alla sensazione che la Bella e la Bestia abbiano intrapreso una via impervia e accidentata soltanto per potere tenere a galla il più possibile il loro governo. E anche per gettare poi, più o meno qualunquisticamente, la responsabilità dell’eventuale scacco sulle spalle di chi si opporrebbe alle riforme. Da ultimo, Gotor e altri senatori di area bersaniana, facendo un po’ di conti, si sono accorti di un effetto incredibile che la riforma del Senato produrrebbe: con il consistente taglio del numero dei senatori, ridotti a un centinaio, ma lasciando invariato il numero dei deputati alla Camera (630) e magari perseverando con le liste bloccate in elezioni che conferiscono un grosso premio di maggioranza, il futuro presidente del Consiglio e leader di partito disporrebbe, già sulla carta, di una maggioranza assoluta di voti per eleggere il presidente della Repubblica (o farsi eleggere lui stesso qualora avesse raggiunto i cinquant’anni d’età). È la prova di quanto avevamo sempre sospettato. La Bella e la Bestia non mirano a una nuova legge elettorale, e nemmeno a farla finita con il bicameralismo perfetto. No: puntano a un presidenzialismo mascherato, cioè al solito bonapartismo in formato ridotto la cui ombra si allunga sulla già fragile democrazia italiana da una ventina d’anni a questa parte.