rispostadi Marcello Rossi

Non voglio riaprire una polemica con Rino Genovese prima di tutto perché sono stato proprio io a invitarlo a «fare le pulci» all’articolo che lui non condivideva, e poi perché bisognerà finalmente porre fine a questa pur simpatica diatriba.

Tuttavia quello che voglio puntualizzare è che io non ho mai pensato a un ritorno ai nazionalismi, neppure a quelli che non sono «nazional-populismi o localismi estremizzati, in senso xenofobo». Pensavo che questa mia posizione venisse fuori chiaramente nell’articolo presente proprio nel numero di luglio (7/16) in cui compare l’editoriale dello “scandalo” e che non a caso è intitolato Autonomie locali e Costituzione e ancor più nell’antologia La Libertà da me curata nel 2015.

Proprio nell’antologia riporto non casualmente un articolo di Tristano Codignola in cui si dice: «Noi vogliamo demolire questa struttura tradizionale che è quella dei poteri centrali, dell’autorità dall’alto, del procedere per decreti legge: noi vogliamo polverizzare i poteri dello Stato, frantumare l’autorità dello Stato nelle infinite autorità delle piccole comunità lavoratrici». E nell’articolo a cui alludevo si riporta, sempre di Codignola, uno scritto in cui si dice: «Si tratta di ricostruire ex novo lo Stato: di ricostruirlo su basi ampie e solide, capaci di sostenere un edificio così totalmente diverso dal precedente da prescinderne in guisa pressoché assoluta».

Genovese sa che io condivido interamente queste posizioni, pertanto l’accusa di voler mantenere in vita gli Stati nazionali con le loro monete e i loro confini è puramente gratuita. Io penso a una “Repubblica delle autonomie” che si sostituisca alla Stato nazionale e che culmini negli Stati Uniti d’Europa. Un’Europa politica di nuovo conio, che dia un senso alle autonomie cittadine, provinciali e regionali entro cui si dovrebbe suddividere il territorio.

Ma qui il discorso si fa complesso. Quello che però mi sembra chiaro è che l’attuale Unione europea si regge sugli Stati nazionali e se pensiamo a una distruzione di questi ultimi a maggior ragione non possiamo mantenere in vita questa Unione europea. Prima questa scompare, prima potremo pensare a una nuova organizzazione che, secondo me, dovrebbe avere un’ispirazione socialista. Il come della fine lo ritengo secondario, ma la fine deve essere la precondizione della nascita del nuovo (ribadisco socialista) e non del ritorno al passato.

Un’Europa che giustappone 27 Stati, senza altra condizione che la loro posizione geografica, non mi sembra accettabile e non la ritengo «una costruzione sovranazionale logica e razionale». Io penso a un’Europa del sud (Portogallo, Spagna, Francia, Italia, Grecia) come primo nucleo di uno Stato federale vero con una caratterizzazione socialista. So benissimo che anche questi Stati non sono ancora pronti per questo, ma con Calamandrei dico: «Nessuno può dire se e quando si arriverà a un’Europa unita e federata, come nessuno può dire se e quando l’Europa organizzerà la propria economia in senso socialista. […] ma prima o poi, prima di altre catastrofi o dopo di esse, l’impulso ad allargare i confini della patria non mediante guerra e conquista, ma mediante una libera associazione di popoli [e non di Stati], dovrà pure arrivare a costituire l’interesse fondamentale degli europei. Meglio decidersi prima che dopo».